L’Europa che protegge: libertà, sicurezza e giustizia, ma non per i migranti

Nel 1999, il Consiglio Europeo riunito a Tampere sanciva che l’Unione Europea sarebbe stata uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. “Tale libertà non dovrebbe, tuttavia, essere considerata appannaggio esclusivo dei cittadini dell’Unione” riporta il documento conclusivo del summit “la sua stessa esistenza serve da richiamo per molti altri che nel mondo non possono godere della libertà che i cittadini dell’Unione danno per scontata. Sarebbe contrario alle tradizioni europee negare tale libertà a coloro che sono stati legittimamente indotti dalle circostanze a cercare accesso nel nostro territorio.” Il documento continua sancendo che l’Unione s’impegna a rispettare la Convenzione di Ginevra sul diritto di asilo e a rispondere ai bisogni umanitari con la solidarietà.

Sono passati esattamente vent’anni da Tampere e la retorica europea verso l’immigrazione appare completamente rivoluzionata. L’esplosione del terrorismo islamico nel 2001 e poi la crisi economica nel 2008 hanno rafforzato le paure dei popoli, le loro istanze di chiusura, il sospetto verso il futuro e verso il diverso. Nel dibattito europeo, l’immigrazione è diventata presto un tema caldo. Mano a mano che l’Unione eliminava le frontiere interne per diventare uno spazio in cui circolare liberamente, bisognava risolvere il problema di come controllare il transito da un paese all’altro dei non-cittadini, quelli che non facevano parte dei popoli da unire. Da questo bisogno sono nati il Regolamento Dublino, le numerose leggi che formano il Common European Asylum System ma anche l’agenzia Frontex per il controllo delle frontiere esterne. Un approccio comune era necessario per risolvere i problemi ma gli stati erano restii a delegare il loro potere su una questione tanto delicata. Di conseguenza, l’integrazione comunitaria è proceduta due passi avanti e uno indietro, demandando molto potere alla gestione degli stati membri.

Nel 2013, dopo le Primavere Arabe e con la caduta del regime di Gheddafi, l’immigrazione è balzata ancora più alla ribalta del dibattito europeo. Il flusso di migranti, sebbene non colossale a fronte della popolazione europea, era significativo per gli stati che si trovavano più interessati. Dopo anni in cui alcuni paesi europei si sono impegnati a salvare vite in mare e l’accoglienza sembrava un’opzione percorribile, dal 2016 in poi un’ondata di chiusura e rigetto ha percorso l’Europa. All’interno dei paesi membri hanno iniziato a prevalere partiti che indicano i migranti come pericolosi per il benessere e promuovono la chiusura delle frontiere. Allontanandosi da una prospettiva che teneva in considerazione i diritti umani dei non cittadini e l’impegno umanitario dei paesi europei, la questione della migrazione è stata sempre più inquadrata all’interno di dinamiche di sicurezza e controllo. Questa tendenza, forte a livello nazionale, in poco tempo ha contagiato anche il livello europeo.

Ecco perché adesso, nel 2019, ci sembra strano che vent’anni fa i politici riuniti a Tampere si ripromettessero di dar ascolto ai bisogni umanitari dei migranti. Il pensiero che l’Europa, terra di pace e libertà, eserciti un richiamo verso popoli che quella pace e quella libertà non la conoscono fa rizzare a tutti i capelli in testa. Lungi dal fregiarsene come motivo di orgoglio come accadeva nel 1999, gli europeisti cercano di minimizzarne l’effetto e gli antieuropeisti lo additano per dimostrare quale sventura l’integrazione ci abbia portato addosso. Su un’unica cosa sostenitori e avversari dell’Unione sono d’accordo: quale che siano la portata e i responsabili di questo richiamo agli stranieri verso l’Europa, qui non entreranno.

Ecco quanto è cambiata l’idea dell’Europa. Da terra di accoglienza a terra di esclusione, bastione in cui il benessere di chi sta dentro è protetto con la spada. L’interpretazione dell’Europa come fortezza si esprime platealmente nei principi che hanno guidato le politiche europee negli ultimi anni. Un esempio ne è il rafforzamento della frontiera esterna, nella proposta di potenziare Frontex presentata a settembre 2018 dal presidente della Commissione Jean Claude Junker. Oltre a maggiori fondi e mezzi, Junker punta a far aumentare in modo massiccio il personale, molto del quale sarebbe agli ordini diretti dell’agenzia e non degli stati, sempre più capace di fermare gli ingressi.

Un secondo principio, ancora più importante, delle politiche europee sull’immigrazione è la cosiddetta esternalizzazione della frontiera. Per tenere lontani i migranti, l’Unione ha stretto accordi con paesi di transito affinché li fermino prima che raggiungano la frontiera europea. Esempi di questa politica sono i nefasti patti con la Turchia e la Libia, ma molti altri potrebbero essere citati. Senza badare alle palesi violazioni dei diritti umani che molti di questi paesi attuano nel fermare e incarcerare i migranti, l’Unione Europea utilizza gli incentivi economici della cooperazione come moneta di scambio per ottenere che i paesi di transito si occupino dei migranti, nell’ottica dichiarata di «più progresso più aiuti». All’interno di questa politica da coltello fra i denti, l’Unione arriva perfino a cedere la responsabilità del salvataggio dei barconi dei migranti alla Guardia Costiera Libica, che in cambio beneficia di mezzi, fondi e formazione da parte europea, attraverso la cosiddetta Operazione Sophia.

Infografica Migration Policy Eu

Eppure, non sono tutte queste politiche a mostrarci in modo più doloroso quanto siamo lontani dallo spirito di Tampere. Quello che ci indica quanto “l’Europa che protegge” sia ormai interessata soltanto ai suoi cittadini, e sorda a tutti gli altri esseri umani, è soprattutto la retorica che ormai pervade la comunicazione dell’Unione. Sui siti ufficiali dei suoi organi, la migrazione è descritta come una “crisi“, dovuta all’acuirsi di una “pressione“, che porta con sé “preoccupazioni legate alla sicurezza“. Il sito del Consiglio Europeo riguardo alle politiche migratorie riporta in prima riga, orgogliosamente, la riduzione di oltre il 90% degli ingressi irregolari. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2018, Junker si è rammaricato per la tragedia della Siria e, subito dopo, ha riportato come grazie alle politiche europee si sia raggiunto il ‘successo’ di ridurre il numero di rifugiati del 97% nel Mediterraneo orientale e dell’80% nel Mediterraneo centrale. Ha lodato le operazioni dell’UE che hanno contribuito a salvare più di 690 000 persone in mare dal 2015 al 2018, dimenticando che il numero di morti in percentuale alle partenze è cresciuto spaventosamente negli ultimi anni, proprio grazie a politiche più interessate a controllare che a soccorrere.

È in questa retorica di invasione e difesa che alcuni timidi, stentati tentativi di approcciare la questione in altra maniera si perdono. Ancora inascoltata è stata la voce del Parlamento Europeo che promuoveva una riforma del regolamento Dublino, che attribuisce e ridistribuisce sul territorio dell’Unione le richieste d’asilo dei migranti. La riforma prevede nuovi criteri per determinare il paese che ha competenza sul singolo richiedente asilo, un sistema di quote che sia più equo per i paesi che accolgono e che favorisca l’integrazione del migrante nel tessuto sociale. La riforma, però, non è riuscita a passare al vaglio dei ministri degli stati membri ed è quindi fallita.

Incapace di vedere la migrazione come una risorsa da gestire e non come una minaccia da stornare, quest’Europa dove la visione degli stati membri e delle istituzioni europee sulla migrazione è fin troppo coerente nelle sue basi di chiusura e rifiuto, le parole di Tampere suonano come un ritornello beffardo, uno sproposito, un anacronismo che fa soltanto ridere. Altro che faro di esempio per il resto dell’umanità. In questa Unione Europea, la libertà, la sicurezza e la giustizia dello spazio europeo sono appannaggio soltanto dei cittadini.

Angela Tognolini

Immagine di copertina di: https://www.operationsophia.eu

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