UE a impatto zero: l’impegno europeo per l’ambiente

Rispetto al boicottaggio degli autobus di Montgomery, il giornalista climatico David Roberts afferma che “il punto delle campagne per i diritti civili non è liberare le persone di colore, una per una. È cambiare la cultura.” Per cambiare la cultura, tuttavia, serve tempo e pare che noi questo tempo, per evitare il collasso ambientale o gli oceani vuoti in 30 anni, lo stiamo finendo.

La crisi ambientale è complessa, capire chi deve agire, come, con che tempistiche è complesso, la contemporaneità è complessa. La buona notizia è che esiste un attore altrettanto complesso: intergovernativo e transnazionale assieme, da un lato democraticamente eletto e dall’altro ancora fortemente influenzato dall’interesse nazionale, munito di risorse proprie, che spesso non bastano, che spesso non viene ascoltato, ma che si basa sul principio di supremazia del proprio diritto su quello degli stati membri. A chi dice che le scelte individuali non bastano, che gli stati hanno le mani legate – o se le sono legate? – da equilibri di potere, a chi abbraccia, per dirla alla Rebecca Solnit, il cinismo naïve, si dica che esiste un attore che più complesso non si può: l’Unione Europea. 

Unione Europea e ambiente: storia di un grande amore?

C’era una volta (e per fortuna c’è ancora) un’Unione europea che trova le basi giuridiche della propria competenza in materia ambientale negli artt. 11, 191, 192 e 193 del TFUE e nell’art. 3 del TUE. Un’Unione Europea in cui sono il Parlamento e il Consiglio europeo a produrre legislazione e a stanziare finanziamenti per l’ambiente, coadiuvati dalla European Environment Agency, in un’ottica di collaborazione con organizzazioni internazionali e stati terzi, nel rispetto dei principi di precauzione, di azione preventiva, di correzione e di “chi inquina paga”. 

Da Maastricht ad oggi, quello che l’Unione europea ci ha dimostrato è che PIL e rispetto dell’ambiente non sono due grandezza inversamente proporzionali.

Tra il 1990 e il 2017 infatti le emissioni europee di gas serra si sono ridotte del 22%, con un aumento del PIL del 58%. Certo non si tratta di una bisettrice, ma è sicuramente una retta che urla chiaro e tondo “lo sviluppo sostenibile si può fare” (per favore, dimmi che l’hai letta gridando).

Una delle missioni dell’Ue è un’aria più pulita per la sicurezza dei propri cittadini. A dimostrazione di ciò il caso della Polonia, portata davanti alla Corte di giustizia europea nel 2018 per aver abbattuto degli alberi dell’antica foresta di Bialowieza. Alla questione della salubrità dell’aria – come anche all’obiettivo di mantenere le temperature sotto i 2° sulla scia degli Accordi di Parigi – si lega l’azione sul mondo dei trasporti. Il 15 aprile sono entrate infatti in vigore le nuove normative sul trasporto pubblico, le cui emissioni dovranno ridursi del 37,5% dal 2020 al 2030, con un obiettivo intermedio del 15% nel 2025. In programma poi per il 20 giugno 2019 il consiglio ambiente, in cui verrà discussa la proposta di tassazione sul trasporto aereo, suggerita dal Belgio e sostenuta da Olanda, Francia e Lussemburgo, sulla base del fatto che le emissioni dei voli sono aumentate del 12% dal 2012 ad oggi, ma ancora mezzi meno inquinanti quali il treno risultano tassati più pesantemente.

Anche quello dell’energia è un nodo cruciale. Già dal 1997 infatti l’Ue punta sul rinnovabile (i primi obiettivi per il 2010 si aggiravano attorno al 12% di energia e al 22,1% di elettricità prodotta da fonti di energia rinnovabili) e con il voto del 2 aprile 2019 sulla riforma del Fondo europeo per lo sviluppo regionale post 2020 ha ufficialmente detto no all’energia da fonti fossili.

L’impegno europeo guarda anche al riciclo, come testimonia l’adozione nel luglio 2018 di nuove normative che prevedono che, entro rispettivamente il 2029 e il 2030, il 90% delle bottiglie, il 70% delle confezioni e il 60% dei rifiuti urbani siano riciclati. Ma riciclare non basta. E quindi ecco nel novembre 2018 la svolta green forse più conosciuta, con l’approvazione della direttiva per il bando di una dozzina di prodotti plastici monouso, che secondo le statistiche rappresentando il 70% dei rifiuti che galleggiano in mare.

Le sfide dei prossimi decenni: 2020, 2030, 2050

Manca un anno alla prima di una lunga serie di prove dei fatti dell’Unione europea in materia ambientale. È il 2020 infatti la scadenza del Programma per l’ambiente e l’azione climatica (LIFE), regolamento entrato in vigore nel 2014 che si propone di ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990, di produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili e di migliorare l’efficienza energetica del 20%. Il tutto attraverso la riduzione delle emissioni nazionali (Effort sharing), l’implementazione del pacchetto finanziario per l’economia circolare (completata nel 2019) e della strategia per la biodiversità. Gli addetti ai lavori affermano che i target 2020 saranno raggiunti con successo, ma non finisce qui. È stato infatti recentemente approvato il bilancio europeo alla cui sezione Risorse naturali e ambiente prevede di allocare 5,450 miliardi di euro (una cosa come 1,950 miliardi in più di oggi) a progetti a sostegno dell’ambiente e delle azioni per il clima.

Tutto questo è mirato a raggiungere i traguardi prefissati per il 2030, altra data limite in cui l’Unione europea si dovrà sedere a tavolino per capire se sta facendo qualcosa per salvare il pianeta o meno. Gli obiettivi per il 2030 sono infatti: ridurre le emissioni di gas serra del 40% (rispetto sempre ai livelli del 1990), produrre rinnovabile per almeno il 32% e migliorare l’efficienza energetica del 32,5%. Come? Attraverso la costruzione dell’Unione energetica. Tutto questo tuttavia non basta per mantenere le temperature sotto i 2°, come da Accordi di Parigi. Ecco perchè il 28 novembre 2018, a Katowice, è stato adottata la roadmap A clean planet for all che vede entro il 2050 un’UE climate-neutral. In quanto roadmap non propone strategie o politiche, ma mira a cambiare la cultura e ad armonizzare gli attori nella transizione verso un’economia a emissioni zero, lavorando su settori come l’efficienza energetica, il rinnovabile, la mobilità pulita, l’economia circolare, le infrastrutture, la bio-economia e la gestione delle emissioni rimanenti.

Com’è possibile tutto questo? Principalmente grazie all’Emission trading system – il sistema di scambio delle quote di emissioni di gas serra che fissa un tetto di emissioni decrescente nel tempo, di modo che le emissioni diminuiscano realmente  – e ai finanziamenti a tecnologie per le energie rinnovabili e per la cattura e lo stoccaggio dei gas (programma NER300) e alla ricerca e all’innovazione (Horizon 2020).

Elezioni alle porte: si può fare di più?

Tralasciando il fatto che per la legislazione europea l’ambiente non sia destinatario in sè di diritti, ma solamente oggetto normato in favore della sicurezza dei propri cittadini e dello sviluppo (sostenibile) della propria economia, gli obiettivi posti dall’Ue si configurano come il più alto standard di tutela ambientale al mondo. Guardando poi proprio alla scacchiera internazionale, l’Unione europea non si tira indietro nemmeno davanti al dialogo sull’ambiente con paesi terzi, come dimostra l’incontro, svoltosi tra il 1 e il 3 aprile, che ha visto la delegazione europea e la Cina approfondire le relazioni bilaterali in materia di acqua, economia circolare, protezione delle foreste e della vita selvatica e lotta alla pesca illegale.

Se la complessità di questa istituzione è ciò che spesso la rallenta o ne minaccia l’efficacia, allo stesso tempo ne è anche la forza. Perchè per problemi complessi ci vogliono soluzioni complesse, che guardino al locale nel sovranazionale, che valorizzino la diversità nell’uguaglianza e sappiano disegnare in grande curando i dettagli. In tutta questa complessità, fatta di bianchi e di neri, di progressi e di stasi, di crescita di attivismo ambientalista paneuropeo e di nazionalismi (secondo il report Defenders, Delayers, Dinosaurs: Ranking of EU political groups and national parties on climate change pare siano per davvero due grandezze inconiugabili), alle elezioni del 25 e 26 maggio si vota anche per l’ambiente. Per dirla alla Greta Thunberg, agisci, e vota, come se la tua casa fosse in fiamme.

Marta Silvia Viganò

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