Mare Nostrum, Triton, Operazione Sophia: la responsabilità delle politiche europee sui naufragi

Ancora morti nel Mediterraneo. Si tratta di una notizia che non fa più notizia. Sono passati più di tre anni dal terribile naufragio che il 3 Ottobre 2013 ha costretto l’Europa ad aprire gli occhi sulla disperante sorte dei migranti che salpano dalla Libia. Dopo tre anni e centinaia di foto di barconi che si rovesciano, di onde azzurre e scafi sgretolati che cedono sotto il peso di uomini e donne terrorizzati, quest’orrore è diventato quotidiano. Ci siamo abituati a pensare che le nostre coste siano presidiate da un muro ben più spietato ed imprevedibile di quello che separa Messico e Stati Uniti: una barriera d’acqua che si può attraversare, ma solo mettendo in gioco la vita.

Ma questa strage non è una calamità naturale. Non è un tifone, né un terremoto. Certo, le ragioni che spingono i migranti a sfidare la morte pur di raggiungere l’Europa sono tanto molteplici e intricate da sembrare irresolubili. Ma il fatto che la gente muoia nel Mediterraneo non è una tragedia inevitabile. Perché, sebbene i trafficanti di uomini abbiano le mani coperte del sangue di migliaia di persone, parte della responsabilità è da imputare alle politiche europee e ai nostri stessi governi.

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Credit: Forensic Oceanography. GIS analysis: Rossana Padeletti. Design: Samaneh Moafi.Credit: Forensic Oceanography.

Dopo il naufragio del 3 Ottobre, il governo Letta ha varato l’operazione Mare Nostrum. Le navi, gli elicotteri e i sommergibili della Marina Militare e della Guardia Costiera hanno salvato più di 150,000 migranti  in un anno. Il primo Novembre 2014, Mare Nostrum è stata sospesa e sostituita dall’operazione Triton, affidata stavolta all’agenzia europea Frontex. Con un terzo dei fondi, Triton non solo era estremamente limitata per capacità e mezzi, anche il suo scopo era profondamente diverso. Non puntava a cercare e trarre in salvo i barconi dei migranti, era finalizzata a controllare la frontiera.

Mentre Mare Nostrum si spingeva fino a ridosso delle coste libiche, le navi di Triton restavano nelle 30 miglia marine dalle coste italiane. Peccato che la maggior parte delle bagnarole messe in mare dagli scafisti non possano percorrere più di 40 miglia prima di andare in pezzi, o finire la benzina. Restando a inabissarsi ben lontane dalla zona pattugliata dalle navi dell’agenzia europea. Di conseguenza il compito di soccorrere queste barche è stato lasciato ai mercantili che transitavano nella zona, obbligati dal diritto del mare ad aiutare le barche in difficoltà. La Guardia Costiera italiana ha cercato disperatamente di coordinare i soccorsi. Le navi delle organizzazioni umanitarie hanno fatto il possibile, prendendosi un compito immane che gli stati non volevano accollarsi. Tra disorganizzazione, mancanza di competenza e scarsi mezzi, spesso i soccorsi hanno finito per far ribaltare le barche che cercavano di aiutare. Per poi dover assistere alla morte delle persone che volevano salvare.

Questo è il bilancio di tre anni di morti in mare. Molti dei naufragi del 2014 e del 2015 sarebbero stati evitati da un’operazione come Mare Nostrum. Molti di quei naufragi non sono state sfortunate tragedie, ma una scelta sia italiana che europea.

E la situazione non fa che peggiorare. Dopo la morte di più di 800 persone nell’aprile 2015, quando un peschereccio carico di migranti eritrei si è ribaltato mentre un mercantile portoghese cercava di soccorrerlo, l’Unione Europea ha lanciato la nuova operazione militare EUNAFVOR Med, ribattezzata Operazione Sophia nel nome di una bambina nata durante un salvataggio. Questa operazione, che sostituisce a sua volta Triton, ha come scopo individuare e distruggere navi e attrezzature utilizzate dagli scafisti. Limitata quanto Triton nelle sue zone di azione, la missione umanitaria di soccorrere e salvare i migranti è ancora più flebile.

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EUNAVFOR MED BE Frigate LEOPOLD I leave Operation Sophia/Flickr (CC)

Tra i diversi compiti di EUNAVFOR Med, ce n’è uno abbastanza inquietante. Dal momento che alle navi dell’Operazione Sophia non è permesso di spingersi in acque territoriali libiche, la missione è incaricata di formare la guardia costiera libica affinché possa intercettare e soccorrere le barche dei migranti che si trovano in difficoltà prima di arrivare in acque internazionali. Senza grande clamore, il 28 Ottobre la guardia costiera libica è salita a bordo delle navi della missione europea per il primo modulo della formazione. Stiamo parlando della stessa guardia costiera libica che è responsabile di attacchi contro le navi delle organizzazioni umanitarie impegnate a soccorrere i migranti. Della stessa guardia costiera accusata di avere al suo interno fazioni non controllabili e perfino membri di gruppi armati.

Il problema non si ferma alla dubbia collaborazione con un’autorità che risponde ad un governo riconosciuto solo da parte del paese, in una situazione di violenza generalizzata, costanti abusi di potere e disordine di ogni tipo. Il problema maggiore è che le navi dei migranti non vogliono essere salvate dalla guardia costiera libica. Le navi dei migranti non vogliono essere riportate in Libia. Per lasciare la Libia, per lasciare il continente africano, sono disposti a rischiare la vita. La prospettiva di essere intercettati e soccorsi da una motovedetta libica, per poi essere riportati in un centro di detenzione a Tripoli, è quanto di peggiore possano immaginare. La Libia non è un paese sicuro, non è un paese nel quale le persone possano rimanere senza che i loro diritti più fondamentali vengano calpestati e negati. Tutti abbiamo sentito degli orrori che si compiono nelle prigioni e nelle strade di Tripoli e Sabrata. Quale senso c’è nell’impedire che una persona affoghi se poi viene rispedita in un luogo dove  verrà torturata e forse uccisa?

Il problema resta la paura e l’egoismo dell’Europa. Un egoismo che si traduce in missioni di salvataggio che non salvano chi ne ha bisogno, come Triton. In accordi vergognosi con paesi che non rispettano i diritti umani, come quello con la Turchia. Nella delega della gestione della migrazione al paese più violento, più insanguinato che si possa immaginare, la Libia. Quello che succede nel nostro mare non è soltanto una tragedia. Quello che succede nel nostro mare è anche una scelta.

Angela Tognolini

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