SEL si scioglie: quarto polo o nuovo Ulivo?

Il sentore che a sinistra qualcosa si muovesse c’era da già da tempo. Eppure, da qualche giorno, l’Assemblea Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà (SEL) ha finalmente rotto gli indugi. Con un documento chiarificatore, infatti, il direttivo del partito eco-socialista ha ufficialmente approvato la proposta di Vendola di portare a conclusione il percorso di scioglimento di Sinistra Ecologia Libertà […] per dare il massimo impulso alla costruzione di un nuovo soggetto politico, Sinistra Italiana, il cui nome sarà definito nel processo congressuale”.

La nuova linea politica, non certo una novità – la fluidità organizzativa di SEL risulta statuita fin dagli atti fondativi del 2009 – , è stata sì accolta con entusiasmo (solo 2 contrari e 2 astenuti), ma soltanto da meno della metà dei membri dell’Assemblea. Hanno infatti votato 110 componenti su 246, a dimostrazione del fatto che nel partito di Mussi e Fratoianni serpeggia un malessere nemmeno tanto velato.

È vero, gli assenti potranno ancora votare on-line per alcuni giorni; ma, vista la ricorrenza di simili fenomeni a sinistra, si può affermare con una certa probabilità che su SEL aleggia con insistenza lo spettro strisciante della scissione.

A scontrarsi, del resto, sono le due “correnti” prevalenti di ciò che rimane di SEL: l’anima riformatrice e moderata, che guarda al centro dello schieramento politico per possibili alleanze future con un ipotetico PD post-renziano, e il nucleo più radicale di Vendola e Fratoianni, provenienti in gran parte dall’ex-sinistra radicale di Rifondazione e risoluti nell’affermare con durezza la propria alternatività al Partito Democratico e al centro-sinistra.

Ma a fronteggiarsi non saranno unicamente i lineamenti ideologico-programmatici delle due fazioni; chi davvero si scontrerà a congresso saranno i due antitetici progetti di sviluppo politico del partito. Da una parte, le correnti di Furfaro e Smeriglio prefigurano la creazione di una ecumenica “famiglia allargata” del centro-sinistra, ispirata all’esperienza de L’Ulivo e predisposta, mediante l’elaborazione di una nuova “offerta di governo”, all’office-seeking.

Per contro, Fratoianni e compagni puntano alla formazione di un quarto polo radicale e alla concretizzazione della “costituente della sinistra”, inseguita da più di un decennio da varie formazioni politiche e mai inveratasi in qualcosa di più concreto di un’effimera lista elettorale.

Chi prevarrà nel congresso fondativo di Sinistra Italiana, che si terrà a Febbraio 2017? L’ago della bilancia pende probabilmente in favore del nuovo soggetto politico radicale; è tuttavia necessario considerare l’influenza di due diverse variabili nei processi di sviluppo del campo politico a sinistra.

In primis, bisogna analizzare l’effetto disgregatore della possibile vittoria di Fratoianni e Vendola al congresso, la quale causerebbe con buona probabilità la scissione dell’ala moderata di SEL e l’indebolimento della struttura militante del partito (che non a caso ha interrotto il tesseramento 2016, dopo il vertiginoso calo del radicamento l’anno precedente).

Infine, ultimo per ordine ma non per importanza, inciderà nella configurazione dei nuovi bilanciamenti e assetti politici l’esito del referendum costituzionale. Se il 4 Dicembre vincerà il No, Sinistra Italiana avrà campo libero e maggior margine d’azione nel consolidamento delle proprie basi; se invece a trionfare sarà il fronte del Sì, la ricerca di nuove e più larghe alleanze causa Italicum creerà nuove vicissitudini e occasioni di scontro interno, enfatizzando le possibilità di rottura fra ala centrista e ala radicale del partito.

Ulteriori aggiornamenti perverranno a partire dal 10 Dicembre 2016, data durante la quale avverrà uno degli ultimi incontri di consultazione fra base e dirigenza di Sinistra Ecologia e Libertà.

Il progetto di una potenziale unità della sinistra costituisce, del resto, una formula organizzativa ideale e di fatto mai raggiunta nel nostro Paese. Ripetuta come un mantra, l’idea frontista ha ispirato la nascita di un gran numero di aggregati a metà fra il soggetto politico e il listone elettorale: da La Sinistra – L’arcobaleno nel 2006 (PRC, Verdi, SD) alla Federazione della Sinistra (PRC, PdCI, Socialismo 2000, Consumatori Uniti), sino ad arrivare ai fasti de L’Altra Europa con Tsipras (SEL, PRC, Act!), unico esperimento più o meno riuscito con il superamento della soglia elettorale del 4% e l’elezione di due europarlamentari nel 2014.

Quando si parla di fusioni e aggregazioni organizzative, l’idealtipo preso a modello non può che essere il Fronte Popolare socialcomunista del secondo dopoguerra. In un dedalo di incongruenze ed analogie, una curiosa similitudine fa sì che, nonostante l’epoca delle sinistre oltre il 30-40% sia ormai soltanto un lontano ricordo, le dinamiche disgregatrici che ostacolano in concreto i possibili processi di unificazione partitica rispecchino le stesse problematiche di sessant’anni fa. Infatti, se negli anni ’50 (e specialmente dopo i fatti di Ungheria del 1956) la spaccatura fra PSI e PCI verteva su questioni di allineamento e collocazione politica internazionale, allo stesso modo possiamo intravedere gli stessi problemi nell’ambiguità di collocazione internazionale di SEL ed altre organizzazioni (aderire al Partito della Sinistra Europea, il GUE/NGL, o al PSE?), nella atavica litigiosità delle fazioni comuniste o, infine, nel rifiuto dei Verdi di essere assimilati in toto al concetto di sinistra politica.

Questa volta, tuttavia, il progetto di una sinistra unitaria sembra aver preso piede con una marcia in più. Eppure non vi sono sicurezze, anzi: l’unica cosa certa è che non vi è nulla di scontato. Il tentativo di fare un salto di qualità e riottenere un certo “potenziale di ricatto e di coalizione” può portare tanto alla riqualificazione di un progetto politico in progressivo declino, quanto, al contempo, al suo definitivo collasso. Il rischio è quello di assistere all’allargamento mascherato di una SEL con un altro nome e ormai ridotta all’osso per militanza e capacità di mobilitazione.

Il referendum sarà dunque una chiave di volta per comprendere come si svilupperanno i futuri scenari politici. La vittoria del Sì o del No rappresenteranno per i dirigenti di SEL e della sinistra radicale non solo una semplice scaramuccia da campagna elettorale, bensì una vera e propria battaglia campale: la posta in gioco è alta – la sopravvivenza al declino e un potenziale risorgimento –, e sbagliare non è più concesso.

Guglielmo Migliori

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