Il problema dei migranti è una questione sempre all’ordine del giorno e, per quanto spesso sentiamo parlare di arrivi, ancora più speso si sente discutere dei morti nel Mediterraneo oppure della costruzione di muri per rinforzare confini e bloccare le persone.
Giovedì 7 novembre, la piccola realtà che è la Casa per la Pace La Filanda, a Casalecchio di Reno, ha ospitato un incontro sul tema. Ad esser sincera, mi aspettavo una dibattito come tanti altri. Gli ospiti, in questo caso, erano l’On. Cecile Kyenge, l’avvocato Nazzarena Zorzella del Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e Giovanni Cottatellucci della Comunità di Sant’Egidio. Dritti al cuore del problema, i tre ospiti hanno animato un incontro stimolante e critico che ha fatto emergere una visione più completa sulle possibili soluzioni alla crisi dei migranti.
Ma, andiamo con ordine.
Lo scorso 15 Dicembre, per la prima volta in Europa, è stato firmato dal Viminale e dalla Farnesina, insieme ai presidenti della Comunità di Sant’Egidio e della FCEI (Federazione Chiese Evangeliche in Italia), un protocollo per attivare dei corridoi umanitari tra Italia e Libano, Etiopia e Marocco. L’idea è nata dalla volontà di trovare una soluzione al numero crescente di morti nel Mediterraneo, cercando di aggirare i tempi “brevi” del legislativo in Italia e di evitare uno dei problemi principali delle richiesta d’asilo: la territorialità. Infatti, per richiedere asilo in un paese europeo è necessario essere già sul territorio e, quindi, aver già ottenuto un qualche tipo di visto per entrare in Europa o, nella grande maggioranza dei casi, aver attraversato il Mediterraneo.
Infatti, per ora, nessun paese europeo applica una procedura di richiesta asilo anche solo consolare, tipologia di richiesta di asilo non trattata nelle normative europee (corrisponde al richiedere asilo presentandosi al consolato di un paese terzo), e questo porta necessariamente a rischiare la propria vita per entrare in Europa e richiedere asilo. Per ovviare a questo enorme problema, la Comunità di Sant’Egidio e la FCEI hanno proposto l’introduzione di visti umanitari per far entrare mille richiedenti asilo in Italia, facendosi carico di tutte le spese necessarie per la creazione del corridoio umanitario, soprattutto quella relativa al viaggio – si tratta, infatti, di scegliere nelle zone interessate i richiedenti che possono, secondo alcuni requisiti, usufruire di questo visto e portarli in Italia – ed all’integrazione.
Il visto, che ha una validità territoriale limitata, ha consentito di iniziare il primo viaggio nel Febbraio 2016 e, ad oggi, sono 400 i migranti che hanno usufruito del corridoi, ma dovrebbero diventare mille entro i prossimi due anni. Il corridoio ora è aperto con il Libano, ma si sta già ragionando su vari percorsi alternativi, come la creazione di un corridoio Italia-Etiopia ed uno Italia-Marocco. Per ora, questo è stato l’unico tentativo di corridoio umanitario in Europa, ma, vista la riuscita di questo progetto, Francia e Polonia hanno iniziato ad interessarsi alle procedure, che sono state portate all’attenzione del Parlamento europeo come esempio di good practice.
Il problema dell’accoglienza, però, oltre che europeo è, ovviamente, anche italiano, come ha fatto notare l’avvocato Zorzella, riportando l’attenzione sulle difficoltà di gestione ed integrazione dei minori migranti, che corrispondono a circa il 27% dei richiedenti asilo in Italia. I minorenni che arrivano nel nostro paese devono passare attraverso il nostro modello di accoglienza che, nonostante abbia dovuto iniziare a gestire un flusso straordinario di richieste, è poco strutturato e “emergenziale”. Spesso questi ragazzi, che a livello giuridico sono “minori non accompagnati”, vengono considerati una specie di “generazione Erasmus”, come se fossero arrivati solo per un breve periodo. Ciò avviene soprattutto con i minori proveniente dall’Est Europa ed esplicita uno dei grandi problemi della riflessione sui migranti in Italia: il motivo per cui si migra.
Minori richiedenti asilo in Europa nel 2015
Le motivazioni sono plurime e dovrebbero essere tutte considerate nel momento in cui si analizza un processo migratorio: il rischio che si corre è che, altrimenti, le categorie giuridiche non rispecchino le reali necessità dei migranti e risultino inefficaci nel dare accoglienza e supporto. Bisogna ricordare che le cause delle migrazioni sono le più varie: la guerra, la povertà, i cambiamenti climatici e anche la spogliazione delle risorse operata dalle multinazionali, che spesso non generano ricchezza nel paese in cui operano (un esempio tutto nostrano è ENI ed il suo operato nel Delta del Niger, oggetto di una campagna di Amnesty International). Ora, in Italia, circa il 60% delle richieste d’asilo vengono respinte, secondo l’avvocato Zorzella, perché non ci sono percorsi differenziati per i vari visti che si possono ottenere come migranti: l’Europa e l’Italia devono ritrovare loro stesse e non dimenticarsi della tutela del diritto d’asilo e della necessità di una politica di integrazione concreta. La necessità è quella di tornare a concepire la migrazioni come un fenomeno normale e da accogliere, non da lasciare fuori dall’Unione con muri e accordi con paesi esterni: l’accordo con la Turchia sta diventando un modello di gestione delle migrazioni, esprimendo solo la perdita d’identità del progetto europeo.
Se dai primi due ospiti mi sarei aspettata delle prese di posizione del genere, mi ha stupita l’intervento dell’Onorevole Kyenge, che ha posto l’accento sulle criticità in Europa, dalla mancanza di solidarietà alla gestione completamente delegata ai paesi membri delle politiche di accoglienza, sottolineando il problema di una mancata distribuzione equa dei richiedenti. L’Onorevole Kyenge, insieme alla collega Metsola, attraverso il suo lavoro nella commissione LIBE (Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni), ha proposto alla Commissione un dossier con delle proposte di modifica del regolamento europeo sull’accoglienza.
I punti sono molti e trattano di molti temi critici, dal salvataggio alla modifica di Dublino III, invocando una più solidale comunità europea ed una gestione comune dei migranti attraverso un processo centralizzato di gestione a livello europeo. Il dossier in questione tratta anche di traffico di esseri umani e caporalato, tema che è stato discusso in relazione alle motivazioni della migrazione e alla mancanza di rilascio di visti di lavoro in Italia negli ultimi anni. Questa proposta si compone sia di soluzioni a breve termine che per il lungo periodo, cercando di ricreare un ordine democratico in un’Europa confusa e, purtroppo, spaventata.
Sinceramente, non sono sicura che una centralizzazione di queste questioni sia possibile in questo periodo di rivendicazione dello stato nazione, che pone anche delle complessità non irrilevanti per l’accoglienza e la naturalizzazione dei migranti, e dei nazionalismi, ma, secondo la Kyege, tentar non nuoce. Premettendo che il suo entusiasmo sicuramente è stato influenzato dal fatto che aveva di fronte una platea di possibili elettori sensibili all’argomento, ha comunque raccontato i lavoro svolto presso il parlamento europeo, dando a tutti i partecipanti un quadro più chiaro della situazione.
Sono uscita da questo incontro con le idee un poco più chiare sulle possibili soluzioni e speranzosa verso le azioni della società civile. Spero solo, ora, che questo paese smetta di avere politiche inefficaci e frammentarie e che le belle esperienze locali che ci sono su tutto il territorio contribuiscano alla creazione di una reale politica sulla migrazione e sull’accoglienza, dopotutto, come è stato spesso ripetuto l’altra sera, “le persone si muovono, si sono sempre mosse e si muoveranno sempre”.
Anna Nasser
3 pensieri su “Corridoi umanitari, la miglior eccezione alla regola”