Di ogni paese è possibile raccontare la cultura descrivendone le bellezze artistiche, architettoniche e naturali. Ma per arrivare a fondo nella conoscenza di una cultura di un popolo non è possibile esimersi dallo studio di quella parte di essa che viene dai migliori esponenti di quel popolo: l’arte, la storia, la letteratura e la medicina.
Per comprendere meglio il Giappone e lo spirito dei giapponesi risulta quasi fondamentale comprenderne uno degli aspetti più caratteristici e unici di quel paese: il manga.

Sebbene non sia stato il primo paese a utilizzare forme fumettistiche come espressione artistica e veicolo di messaggi per il popolo, il Giappone è sicuramente quello che più di tutti ha unito la nona arte alla cultura di massa, facendo sì che l’una influenzasse l’altra, e viceversa.
Spiegato il perché di questa rubrica, muoviamoci verso la struttura della stessa: un maestro di questa disciplina artistica per volta, discutendone lo stile attraverso una delle sue opere, non necessariamente la più nota, la più venduta o la più caratteristica, ma solamente la più adatta per descriverne alcuni aspetti salienti che ritengo interessanti di tale autore.

Iniziamo la nostra avventura da Jiro Taniguchi, il più occidentale dei mangaka giapponesi, enormemente influenzato dal fumetto franco-belga e dalle atmosfere intime e familiari, il suo stile artistico più maturo si caratterizza per un enorme flusso emotivo di sensazioni usuali dell’animo umano, riuscendo a colpire corde sentimentali raramente sollecitate dall’arte del fumetto.
L’opera più caratteristica in questo senso è In una città lontana (遥かな町へ – Harukana machi–e; questa è la traduzione con cui è edito dalla Rizzoli; una diversa traduzione, più legata a quella francese il cui titolo è Quartier lointain, edita dalla Coconino press ha il titolo Quartieri Lontani. In inglese il titolo è A Distant Neighborhood), da cui è anche stato tratto un omonimo film girato però in Occidente con dovuta rivisitazione. Quest’opera è fortemente basata sul sentimento della nostalgia, quel sentimento che si suscita nel ricordo di eventi remoti del passato, eventi i quali sono spesso adornati a causa del tempo di forti sensazioni e il cui ricordo spesso si trasforma in viaggi onirici nel regno del ricordo. Il termine internazionale che meglio descrive questo sentimento è il vocabolo portoghese saudade, anche se quest’ultimo è più legato alla distanza geografica che a quella temporale.

Questi aspetti sono sottolineati in maniera naturale in tutte le opere di Taniguchi in generale, ed in questa in particolare. Il protagonista Hiroshi Nakahara, canonico salarymen della middle class giapponese si ritrova per sbaglio, dopo una notte di bagordi dopo lavoro (come usuale per gli impiegati giapponesi; questo è un vero e proprio problema sociale dato che, se viaggiate nella metropolitana di Tokyo, noterete ovunque avvisi sulla pericolosità dell’essere ubriachi vicino a delle rotaie), su uno shinkansen diretto a Tottori, la sua città natale.
Arrivato a Tottori, durante la visita alla tomba della madre, si addormenta grazie alla tipica calura estiva dell’Honshu centrale. Al suo risveglio si trova però nella sua giovinezza, tornato ragazzino durante l’estate del suo quattordicesimo anno, l’estate in cui il padre abbandonò la sua famiglia.
L’intero ciclo narrativo si svolge dunque sul racconto delle esperienze adolescenziali, questa volta viste attraverso gli occhi di un consapevole adulto: queste “lenti” ci consentono una visione totalmente differente di eventi fortemente connotati di nostalgia, rendendo però il protagonista più consapevole degli accadimenti che segnarono quell’estate.
Questo viaggio onirico nella giovinezza del protagonista dalla forte connotazione autobiografica è un viaggio nell’animo della normalità umana, con tutti i suoi sentimenti ed i suoi pensieri; un vasto ed interminabile paesaggio di quanto lo spettro delle sensazioni possa offrire al lettore, magistralmente dipinto attraverso storie di normale vivere.

L’artista si distingue inoltre per la sua abilità nel comunicare al lettore ogni tipo di sensazione familiari, stimolando con le sue tavole non solo la vista ma anche coinvolgendo altre sensazioni come il gusto, l’olfatto (magistrale, in questo, nella sua altra opera Gourmet) ed il tatto, che più della vista sono collegati alla memoria, coinvolgendo il lettore ad assimilare le proprie memorie a quelle del personaggio, inducendolo così ad uno stream of consciousness emotivo e totalizzante.
È come dipinge la normalità, così poeticamente descritta attingendo alla tavolozza dei sentimenti, che rende così unico ed eccezionale Jiro Taniguchi. La sua intera produzione artistica non è che un inno ai sentimenti e alla quotidianità, descrivendone le sue piccole gioie ed i suoi umani dolori.
Alessandro Bombini
Prossime uscite della rubrica Gli Dei del Manga
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* Jiro Taniguchi – In una città lontana
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Osamu Tezuka – La Storia dei Tre Adolf
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Go Nagai – Devilman
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Hayao Miyazaki – Si alza il Vento
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Katsuiro Otomo – Domu, Sogni di Bambini
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Naoki Urasawa – Pluto
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Takehiko Inoue – Vagabond
5 pensieri su “Gli Dei del Manga: Jiro Taniguchi – In una città lontana”