Se un tempo l’Europa era un grande sogno di unità e di solidarietà tra i popoli, ultimamente proietta l’immagine di una villetta arroccata dietro ad un muro protetto da telecamere e filo spinato. I migranti devono stare fuori e, se anche riescono ad entrare, devono essere controllati. In questa ottica di esclusione e di sicurezza ad ogni costo, si rafforzano i confini esterni stringendo patti con paesi che violano i diritti umani, senza curarsi del fatto che molte delle persone che partono stiano scappando da pericoli reali. E si rafforzano anche i confini interni, rendendo più difficile per i non-cittadini cambiare paese.
La questione del movimento dei richiedenti asilo tra i diversi stati europei, la cosiddetta “migrazione secondaria”, è da tempo motivo di cruccio e discordia per molti paesi europei. Il Sistema Dublino, che cerca di disciplinare come ridistribuire i richiedenti asilo sul territorio dell’Unione, è una legge molto dibattuta. L’ultimo regolamento, il cosiddetto Dublino Plus dell’aprile 2016, non ha fatto che riaffermare il principio fondamentale contenuto nella legislazione precedente: nella maggior parte dei casi, a prendersi carico di vagliare le richieste d’asilo dei migranti è il primo paese d’arrivo. La conseguenza di questa regola è, da una parte, il sovraccarico di paesi come la Grecia, che negli anni passati sono stati interessati da consistenti flussi migratori. Dall’altra, un effettivo fallimento del regolamento stesso: i migranti fuggono dal primo paese d’ingresso verso il loro paese di destinazione. E a volte la fuga che si svolge in terra europea è altrettanto rischiosa di quella fatta nel deserto del Niger o tra le montagne dell’Iraq. I migranti muoiono travolti sulle autostrade, o congelano nei treni merci che attraversano i trafori alpini.
In questo clima di sospetto e chiusura, ogni segnale positivo è motivo di sorpresa e merita di essere riconosciuto. Il 19 ottobre, la Commissione per le libertà civili (LIBE) del Parlamento Europeo ha approvato una riforma del Regolamento Dublino che finalmente sembra cambiare le carte in tavola. Dopo 17 anni dalla prima Convenzione Dublino, il principio del primo paese d’ingresso è finalmente abrogato. Secondo la riforma del Parlamento Europeo, non sarà più il primo paese europeo nel quale il migrante mette piede ad occuparsi della sua accoglienza e della valutazione della sua domanda di protezione. Al contrario, la riforma propone una ricollocazione dei richiedenti sulla base di un sistema di quote definite in base a criteri oggettivi che differenziano i paesi di destinazione. La partecipazione alle quote è prevista per tutti i paesi dell’Unione. A differenza del fallito sistema di relocation, questa volta non vengono fatti sconti a chi non vuole stare alle regole.
Il superamento del primo paese d’ingresso è senza dubbio un cambiamento fondamentale, ma non è l’unico. Già le precedenti versioni del Dublino stabilivano che il richiedente asilo potesse essere trasferito in un altro stato europeo se in tale stato abitavano i suoi familiari. La nuova riforma amplia il concetto di famiglia, considerando come legame significativo non solo quello con il coniuge, ma anche con un fratello o una sorella, o i figli maggiorenni a carico. In questo modo, il richiedente asilo sbarcato in Italia potrà legalmente ricongiungersi al fratello che abita da anni in Francia, e i giovani potranno stabilirsi con i genitori che hanno migrato prima di loro.
Da ultimo, la riforma prende in considerazione il fatto che il richiedente asilo abbia già dei “fattori di collegamento” con un paese europeo. Se il migrante ha vissuto in Austria, o ha studiato in Germania, potrà più facilmente rientrare nelle quote previste per quel paese.
In definitiva, la riforma è lungimirante e coraggiosa. Nelle settimane passate, ha ricevuto l’approvazione di numerosi enti che da anni si battono per i diritti dei migranti, tra cui l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). In netta rottura con un’Europa che cerca di restringere la migrazione a tutti i costi, il Parlamento Europeo ha cercato di trovare una soluzione che renda l’integrazione dei migranti più facile ed effettiva. L’ha fatto rifacendosi ad una più equa suddivisione delle domande d’asilo tra i paesi europei, e sulla base di quella solidarietà tra i paesi membri che dovrebbe essere il fondamento dell’Unione.
Malgrado qualche elemento negativo, come l’inclusione dei minori nel meccanismo delle quote, che potrebbe vederli trasferiti contrariamente alla loro volontà, questa riforma è una buona notizia. Tuttavia, lo sforzo della Commissione LIBE, e in particolare della relatrice della riforma, l’europarlamentare Elly Schlein, potrebbe ridursi ad un mero segnale politico, e la riforma ad essere ampiamente modificata. Come ogni legge proposta dal Parlamento Europeo, dovrà infatti passare al vaglio del Consiglio Europeo, che potrebbe rifiutare i cambiamenti proposti. Alcuni stati, come per esempio quelli dell’Europa Orientale, si oppongono fermamente al sistema di quote e molto difficilmente approveranno la legislazione così com’è. Lo stesso Donald Tusk, presidente del Consiglio, ha espresso forti dubbi in merito.
I prossimi mesi ci diranno di più sul destino del Sistema Dublino. Con la speranza che la legge europea, che ultimamente è diventata uno strumento per negare diritti e stabilire divieti per chi non è cittadino, torni ad essere promotrice di libertà per tutti.
Angela Tognolini
Immagine di copertina: www.aljazeera.com
2 pensieri su “Rifugiati, perché la riforma del Regolamento Dublino è una buona notizia?”