Errata corrige del 25 febbraio: il bando di assegnazione della licenza è a titolo oneroso, non gratuito come avevo erroneamente scritto. Chiedo scusa per l’errore che è stato corretto.
Uno slittamento al 31 dicembre 2017 dell’entrata in vigore delle misure che limitano i servizi di noleggio con conducente (Ncc). Questa è l’origine delle proteste dei tassisti che, prima a Roma, poi in altre grandi città, hanno incrociato le braccia e protestato. A detta loro questo emendamento (a firma PD) è un regalo all’ arci-nemico di categoria, Uber. Come? Sospendendo tutte le sanzioni previste dal decreto del Ministero dei Trasporti contro l’esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di noleggio con conducente.
È piuttosto complicato, per chi scrive, immaginare di schierarsi al fianco dei tassisti, soprattutto dopo le manifestazioni esplicitamente filofasciste avvenute nella capitale in questi giorni, ma bisogna fare uno sforzo per cause di forza maggiore. La protesta che stanno portando avanti è abbastanza solida e Uber, così come altre realtà della Gig Economy, economia dei lavoretti, è l’avamposto di una logica di sfruttamento del lavoro che è bene non avere e non permettere. Detto questo le rivendicazioni che i tassisti fanno sono molto forti e la loro posizione di partenza è molto comoda. Con la legge 21/1992 che regolamenta il servizio di trasporto di persone mediante autotrasporti pubblici non di linea e con i successivi aggiornamenti l’esercizio di servizio taxi è stato molto regolamentato e protetto da ogni tipo di avventore e concorrente.
Anche la storia delle licenze che costano quelle centinaia di migliaia di euro (centocinquanta mila euro è un valore medio attendibile) è un po’ strumentale, dal momento che il comune le assegna (molto poco spesso, certo, e in numero estremamente limitato, proprio per tutelare i lavoratori del settore) tramite bando pubblico oneroso e garantisce non solo la trasferibilità della licenza, ma anche l’ereditarietà. In sostanza i tassisti si sono creati il mercato, hanno ottenuto la licenza a condizioni favorevoli rispetto a quelle di mercato e ora la possono vendere a peso d’oro a chi vuole fare il tassista ma non può perché il numero è stato chiuso per proteggerli… oppure tramandarla al figlio che comunque potrà venderla a sua volta. Insomma chi ha pagato quelle cifre per la licenza lo ha fatto perché sapeva di andare a lavorare in monopolio e di potersi ripagare l’investimento relativamente in fretta.
Ad ogni modo e sorvolando su questi aspetti, più delle ragioni della protesta che per una settimana ha bloccato la capitale, ci interessa sottolineare come la categoria dei tassisti sia particolarmente efficace nell’esercizio della protesta e nel portare avanti le rivendicazioni sindacali. L’essere riuniti in una corporazione di certo aiuta la coesione della categoria e, di conseguenza, aumenta la portata della protesta, ma è incredibile come i tassisti siano gli unici in grado di mobilitarsi in modo così efficace e riuscendo quasi sempre a portare a casa il risultato (nella memoria ho la mobilitazione del maggio 2007 contro il DdL Bersani, poi modificato dopo poche settimane di proteste, oppure le “minacce di sciopero” del 2016 che hanno portato al decreto ministeriale oggetto della questione odierna). Come fa una categoria come quella dei tassisti ad avere tanto potere contrattuale? Se consideriamo poi che sono uno dei pochissimi settori, se non l’unico, a bassa qualifica dove si opera in un mercato senza libero accesso, la questione si fa ancora più interessante.

Lungi dal voler soffermarmi troppo sulla qualità delle rivendicazioni di una categoria a cui non appartengo, quello che mi interessa, come ricercatore e precario in erba, sono le modalità di mobilitazione e di sindacalizzazione. In un presente sempre meno simile al futuro che mi immaginavo da bambino, fa notizia che una categoria di lavoratori, più o meno mossa dall’idea di profitto o di interesse personale, riesca ad organizzarsi in maniera così efficace. Abbiamo provato ad avanzare qualche considerazione:
In primo luogo il tassista ha molto da perdere, l’apertura del mercato rappresenterebbe un enorme danno al bilancio del lavoratore che si troverebbe di colpo a dover sopravvivere in un settore non produttivo, non strategico e con avversari più efficienti in termini di costi, per quanto riguarda sia il personale, sia l’organizzazione; cedere significa perdere quella condizione di status quo e di privilegio che rende così appetibile il mestiere.
I tassisti, inoltre, non si coalizzano contro il padrone. O meglio, non essendo lavoro salariato non rivendicano migliori condizioni da un datore di lavoro che può decidere di lasciarli a casa più o meno semplicemente, o di non prorogare il contratto. I tassisti si coalizzano contro lo Stato, lottano contro le norme e le leggi che vengono promulgate contro la categoria, che minano la sicurezza economica dei partecipanti, spesso cominciando a protestare molto in anticipo rispetto all’entrata in vigore delle stesse norme. Non lasciano tempo alle leggi di dimostrare una presunta efficacia, non commettono l’errore di lasciare argomenti allo Stato.
Sanno di vincere. Questo è forse il punto più interessante, quello dove probabilmente sta una parte significativa della risposta. I governi, le amministrazioni locali, in sostanza lo Stato sa che i tassisti sono forti. Sa che dovrà concedere la vittoria. Non c’è battaglia importante che i tassisti abbiano perso e il prezzo di mercato della licenza è lì a testimoniarlo.
Tenendo conto di altri fattori, come la relativa agiatezza economica di un tassista tipo rispetto a molti altri lavori a parità di qualifica, l’incidenza minima di un giorno di sciopero sul bilancio individuale dei lavoratori e l’assenza di concorrenza abusiva che possa approfittare dello sciopero, ci domandiamo cosa possa imparare un sindacato come la CGIL, di cui sentiamo tutti la mancanza, dalle proteste di questi giorni.
Ovviamente questo discorso esula dalla componente violenta vista in questi giorni, che è una violenza individuale, di stampo fascista e ingiustificata (si veda l’aggressione al regista di Gazebo).
Sarebbe però ipocrita negare l’importanza della lotta all’interno della protesta sindacale come mezzo per perseguire le proprie rivendicazioni e, di conseguenza, sarebbe ipocrita sostenere che si possano ottenere risultati importanti senza turbare quella quiete che è di ostacolo ad un miglioramento sociale. Infatti, non si condannano i disagi creati nell’esercizio dello sciopero, la paralisi della città, gli scontri con la polizia. Al contrario, viene da chiedersi come facciano ad essere così incisivi. Un tassista in sciopero paralizza la città, è vero, ma anche gli insegnanti in sciopero chiudono le scuole con i conseguenti disagi per lavoratori che devono affidare i figli a dei tutori, anche i trasportatori creano disagi, anche gli operai in massa possono bloccare una città. Questo non porta però a mobilitazioni di particolare successo, se non sporadiche e poco importanti, almeno stando a quanto visto negli ultimi 15 anni.
Qui subentra di nuovo il concetto di lotta di classe tanto vituperato, eppure tanto importante. I tassisti sono molto coesi e organizzati, tanto che una loro protesta coinvolge tutti i lavoratori della categoria (si parla anche di caccia ai crumiri a Roma); al contrario le classi di lavoratori precarie sono distanti anni luce dai compagni stabili e fissi, il cui interesse a protestare per un diritto già acquisito è relativamente basso. I voucher e la soppressione dell’Articolo 18 ben scandalizzano le coorti di giovani e precari di tutto il paese, ma non vanno oltre la leggera indignazione per coloro che non sono stati toccati dal Jobs Act. Un sindacato serio, quindi, dovrebbe andare oltre queste divisioni e dovrebbe essere in grado di riunire tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro condizione, e convincerli della inevitabilità di una azione comune per evitare una sconfitta lenta e perpetua di tutta la classe. Un posto fisso che non solidarizza con un precario, così come un salariato che non si allea con un altro (indipendentemente dal mestiere) è un colpo mortale alle ambizioni della classe intera. La lotta di classe quindi non è morta, la coesione e l’organizzazione non sono inutili e i tassisti, forse senza accorgersene, senza volerlo, ce lo stanno dimostrando.
Note aggiuntive:
Per chi volesse leggere le modalità di assegnazione della licenza rimando all’art.8 della legge 21/1992, il collegamento è all’interno del testo;
lo slittamento al 31 dicembre 2017 per l’attuazione delle norme anti-abusivismo che ha scatenato la rivolta dei tassisti è contenuto in un emendamento a firma della senatrice Lanzillotta (PD) all’interno del “decreto Milleproroghe” per l’anno 2017.
Luca Sandrini
Fonte dell’immagine di copertina: ilfoglio.it