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Una mattina mi sono svegliato e ho trovato la Brexit

Disclaimer: in questa confusa e agitata giornata, la redazione del Bottonomics diventa una persona e racconta le sue sensazioni a caldo sulla Brexit.

Brexit. Mentana ha fatto un altro speciale. Dicono che Monti abbia ridicolizzato Tremonti e Borghi. Ahia, non l’ho visto. Stamattina sveglia all’alba. Corro in metro. Ho finito la connessione dati. Vicino a me un tipo legge le notizie dal telefonino. La prima notizia è Lapadula al Milan. Sobbalzo. Poi la botta. Notizia ANSA: “Bbc, ufficiale la vittoria Brexit”. Ansia. È successo davvero. Guardo i mercati, tutto giù, Sterlina in primis. Ovvio, sale solo il VIX (un indice che quota la volatilità attesa nel mercato). Perde, ma tiene il Dow Jones. Ecco, d’acchito penso al “whatever it takes” del Marione nazionale e sono indeciso. Deve partire il coro “che ce frega della Brexit, noi c’avemo Mario Draghi”, o devo andare in paranoia dura perché la Brexit è in grado di generare un effetto domino su altri stati europei e tanti saluti alle parole confortanti sulla tenuta dell’Euro? Insieme a questa, altre domande. Che status riuscirà a negoziare la Gran Bretagna (con o senza Scozia) per uscire dall’Unione? Qualcosa di simile alla Norvegia come vorrebbe l’Economist? Oppure Bruxelles sceglierà la linea dura del “punirne uno per educarne ventisette”? A questa, marzullianamente, do una mezza risposta. Instaurare dei rapporti alla norvegese con il Regno Unito potrebbe scatenare un importante effetto domino su molti altri paesi che fiuterebbero l’opportunità di rifiutare i molti obblighi dati dall’unità politica, tenendosi tutti i benefici dell’unità economica.

Continuo a rimuginare. Si sa, il neoliberismo non mi è mai piaciuto e allora provo a pensare positivo. Non è che l’uscita di un paese tradizionalmente liberale e di un certo peso specifico alla fine lascerà degli spiragli per una nuova European way (scusate, voie à l’Européenne) in tema di indirizzo economico, magari più attenta al sociale?

Guardo ancora i mercati. Quel Dow Jones che perde, ma non molla mi porta dall’altra parte dell’Atlantico. Che cosa succede là? Non dimentichiamoci che l’Unione Europea ha in ballo con gli Stati Uniti anche il TTIP. Ora che il più grande fautore del Trattato sul lato europeo non c’è più, le negoziazioni sono morte? Lo scetticismo francese a proposito del TTIP riuscirà dunque a prevalere? O forse, alla fine di tutta questa storia, i veri vincitori saranno le industrie e le banche a stelle e strisce? Forse la Brexit, irredentista crociata contro i “potenti”, non ha fatto nient’altro che rafforzare i famosi “poteri forti” e si sta guardando il dito che indica la luna? Anche perché, con tutte le sue problematiche, l’Unione Europea sta cercando di portare avanti un modello di sviluppo molto più sostenibile (qualcuno ha detto TTIP?) e ‘a misura d’uomo’ rispetto allo zio Sam.

Poi arrivo in redazione, un ultimo sguardo alla stampa internazionale e bam, l’UKIP già chiede accesso libero al mercato europeo. Della serie “suo figlio, signora, ha la faccia come il culo”. E allora mi calmo. Razionalizzo. Vedo la geografia del voto. La scelta è tutta inglese. So che è stata sicuramente influenzata da un tema economico, ma la criticità fondamentale, quella che ha veramente spostato l’opinione verso la Brexit, va identificata in un ragionamento molto più legato all’emotività, intesa come generica volontà di indipendenza assoluta tipica degli Inglesi (da che parte guidate?). Con un touch (come dicono loro) di paura del diverso, che, ad oggi, non manca mai. E in fondo i danni peggiori, a livello economico e politico, saranno per il Regno Unito.

Ammesso che noi europei riusciamo a “put our shit together” (l’uso di inglesismi è volutamente ironico oggi).

Ammesso che noi europei ci rendiamo conto che, ad occhio, le politiche economiche post-crisi hanno fallito.

Ammesso che noi europei non ci facciamo abbindolare dalle false facili soluzioni delle destre populiste.

Ammesso che noi europei iniziamo a creare gli Stati Uniti d’Europa.

Ammesso che.    

Roberto Tubaldi, Andrea Armani, Roberto Mantero

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