Bewitched in the moonlight: i Ghost live a Mantova

Difficilmente un concerto avrebbe potuto avere una divergenza così tragica tra condizioni della location e spettacolo offerto come l’ha avuta lo show dei Ghost alla Grana Padano Arena di Mantova. Penso che la mia ragazza abbia riassunto al meglio la situazione con un sardonico “E non vendono neanche il formaggio!”.

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Formaggio.

Rewind al pomeriggio alle 14:30, quando la recupero a Palmanova (UD) per andare a casa di Marco (uno dei tre strambi – il terzo sono io – che vanno ai concerti prog), dove faremo tappa dopo il concerto. Io ho già visto i Ghost tre volte: la prima nel 2014, quando erano ancora una stranissima band indie metal, vestiti da esseri demoniaci e papa satanico (Papa Emeritus II), e la cosa più divertente era il mistero assoluto sulle loro identità. C’era ancora la magia di un gruppo geniale e dei pochi seguaci che si erano spinti fino al New Age di Roncade (TV); la seconda nel 2015 al Live Club di Trezzo Sull’Adda, pochissimi giorni dopo l’attentato al Bataclan, con Papa Emeritus III che fece il suo ingresso sul palco sulle note di “Spirit” proclamando, in italiano, “Non abbiamo paura!” – un momento che valse da solo l’intero concerto; la terza, a febbraio 2016, proprio con Solune, che alla mia proposta di andare insieme al Deposito Giordani di Pordenone (RIP) a sentire i Ghost – rispose “Certo! Chi sono?” (stavamo insieme da due mesi e i dubbi erano legittimi). Dopo quasi 4 anni, ci siamo decisi a ripetere la magia di quella serata, spendendo una cifra considerevole per incontrare ancora una volta la band, che è radicalmente diversa da quella di quella sera di febbraio. Non siamo stati delusi.

Sfortunatamente, devo cominciare il resoconto della serata con un sistematico infangamento, con conseguente bocciatura totale e inappellabile, della Grana Padano Arena. È in mezzo al nulla (e fin qui, niente di strano – ma Mantova è decisamente meno accessibile di Milano o Bologna), ed è un incubo architettonico e organizzativo. Veniamo accolti da una camionetta delle forze dell’ordine, non sufficienti comunque a bloccare i “venditori” di fascette colorate luminescenti/parcheggiatori abusivi in un parcheggio che non è un parcheggio ma una spianata di cemento con macchine disposte in modo assolutamente casuale. La fila arriva praticamente all’uscita del parcheggio, e qui già cominciano i problemi. Il primo è che noi arriviamo con calma, alle 18:45, e le porte avrebbero dovuto essere aperte alle 18:30: evidentemente non lo sono state, perché a metà della fila (una sola fila: ma noi avevamo i posti numerati, pagati profumatamente, dunque perché non fare una fila per il parterre e una seconda per i posti numerati?) sentiamo che il gruppo di apertura, i Tribulation, comincia a suonare. All’ingresso, a Solune “sequestrano” (cioè: mettono da parte per poi farla buttare a quelli delle pulizie) la frutta secca, rea di essere in un contenitore di plastica, e le gocce per il naso (!!!), colpevoli di essere in un contenitore di metallo, il tutto con una maleducazione abbastanza tipica di queste situazioni. Non è un buon inizio.

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Non lo è davvero.

Lo stand del merchandise è fuori dall’arena – un’idea non brillante considerato che la temperatura dell’aperta Pianura Padana al 5 dicembre non è adatta alla vita, ma uno dice vabbè ma mica sei obbligato a comprare le magliette, e vi darei ragione se non fosse che i cessi hanno lo stesso problema – 5 water per i maschi e 5 per le femmine, in un’arena con una capacità di qualche migliaio di persone (circa 4000 per i Ghost, dice la Gazzetta di Mantova) – sono all’aperto. “Entriamo” nel palazzetto a Tribulation già belli e finiti, e prendiamo posto sui sediletti, posti di fronte alle sbarre di metallo che fanno da parapetto, che un po’ bloccano la visuale a Solune (probabilmente non l’unica con un simile problema), ma soprattutto attirano svariati furboni che sono convinti di appollaiarcisi per potersi godere lo spettacolo da una posizione migliore di quella acquistata. Per fortuna, la sicurezza li riconduce abbastanza rapidamente a più miti consigli. Sfortunatamente, siamo di fianco a una delle porte di ingresso (che, lo ricordo, danno direttamente all’esterno), ma anche se non ci fossero gli spifferi non importerebbe, perché palesemente qualcuno si è dimenticato di accendere il riscaldamento e dunque FA FREDDO. Non avevo un termometro con me, ma sono convinto che la temperatura non abbia mai superato i 15 gradi. Molto male, considerati i 60 euro di biglietto.

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Decisamente freddo.

Dopo esserci sorbiti circa 45 minuti di All Them Witches, ovvero la noia fatta stoner metal, fatta una breve pausa si entra nel mood con “Klara stjärnor” di Jan Johansson e “Miserere Mei, Deus” di Gregorio Allegri, che, spentesi le luci, lasciano spazio a “Ashes”, il piccolo brano introduttivo dell’ultimo lavoro della band, lo splendido Prequelle. Cade il telone nero che copriva il palco, e svela una scenografia enorme, elaborata, fatta di scalinate e vetrate ecclesiastiche, corredata da una tonnellata di luci. Parte “Rats”.

Bisogna tenere presente una cosa nel parlare dei Ghost del 2019: la band è ormai apertamente il progetto di Tobias Forge, musicista svedese, il Nameless Ghoul a cui sono accreditate tutte le canzoni della band, e il volto sotto la maschera di Papa Emeritus I, II e III e di Cardinal Copia, l’attuale frontman. Per diversi anni le identità dei musicisti sono rimaste, intenzionalmente, un mistero, e solo nel 2017, poco dopo la vittoria ai Grammy con “Cirice”, alcuni dei Ghouls hanno fatto causa a Forge che, a loro dire, non li pagava abbastanza e non riconosceva loro i meriti nella stesura dei brani. Il foro ha dato ragione a Forge, ma inevitabilmente la magia era scomparsa: tolto il mistero, restavano un pugno di canzoni e un leader carismatico.
Ecco, questo concerto ha confermato entrambe le cose: purtroppo, la magia degli esordi è effettivamente svanita. La chimica che avevano i primi Ghost ha lasciato il posto a un intrattenitore immenso, ovvero il Cardinal Copia di Forge, e i suoi scagnozzi a libro paga – gli ormai sette Ghoul senza nome (cinque Ghoul e due Ghoulettes, per la precisione), due chitarristi, un bassista, un polistrumentista e corista, un batterista e due tastieriste, polistrumentiste e coriste. Come si intuisce, però, questo dà vita a un’altra magia, quella di una band di altissimo livello che suona quasi tutto dal vivo, senza ricorrere alle necessarie backing tracks di inizio carriera, e la performance certamente ne guadagna.

L’inizio del concerto, però, a me è risultato un po’ freddo, di maniera, per così dire, e solo dopo “Absolution” e “Faith” (a seguito della quale Copia ha fatto presente che faceva piuttosto freddo e gli si erano rizzati i capezzoli – “You have to be careful with your nipples”), con la nuova “Mary on a Cross” (dall’ultimo EP Seven Inches of Satanic Panic), ho cominciato a lasciarmi davvero coinvolgere. A questo pezzo in stile anni ’70 è seguita la strumentale “Devil Church” con battaglia di assoli tra i due chitarristi solisti, confluita nell’intro di “Cirice”, che ha fatto impazzire il pubblico (e definitivamente acchiappato anche me). Si va avanti con la strumentale “Miasma” chiusa da un assolo di sax di Papa Emeritus Nihil, un anziano Papa, fondatore del culto dei Ghost nella loro bizzarra genealogia, che un Cardinal Copia tornato sul palco in triciclo conduce alla storica “Ghuleh” da Infestissumam, un brano che dal vivo ha sempre guadagnato molto rispetto alla versione in studio. Dopo un breve accenno di “Helvetesfönster” io sono completamente impazzito con “Spirit” e “From the Pinnacle to the Pit”, i due brani iniziali di Meliora, seguiti direttamente dal climax assoluto del concerto: “Ritual” e l’inaspettata “Satan Prayer” dall’esordio Opus Eponymous – un brano solo per veri cultori dei Ghost – e soprattutto il loro inno per eccellenza, “Year Zero”, che con la produzione di questo tour ha finalmente una degna rappresentazione dal vivo, con cori malvagi e fiamme.

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Welcome Year Zero!

Il breve interludio di “Spöksonat” introduce “He Is”, un lentone che io e Solune proclamammo inno al kebab durante il mio Erasmus a Trier, che lascia spazio a uno dei pezzi più cattivi dei Ghost, “Mummy Dust”. Cardinal Copia ci informa, purtroppo, che a questo punto siamo in chiusura: al “nooo” del pubblico replica stizzito che siamo “così negativi!”, e ci ringrazia però per la partecipazione, spiegando che noi domani dobbiamo andare a scuola e loro a suonare di nuovo. Parte quindi la divertentissima “Kiss the Go-Goat”, parodia satanica dello swing anni ’60, per poi lasciare la chiusura del concerto a due brani che, se vivessimo in un mondo giusto, sarebbero già le hit rock del decennio: “Dance Macabre” e la tonante “Square Hammer”. Su una pioggia di scintille, i Ghost si congedano con un inchino.

Nel tornare alla gelida macchina, e verso l’autostrada, c’è un’unica considerazione che resta da fare: al netto dell’esperienza di ognuno con questa band assurda, questo concerto ha dimostrato anche ai più scettici la più grande abilità di Tobias Forge: scrivere canzoni. Certo, lo spettacolo, la teatralità, il satanismo da Big Babol, sono tutti elementi che li rendono una band imprescindibile per il metal moderno, ma ciò che rende Forge pienamente titolato a entrare nell’Olimpo dei grandi è che è un grande cantautore, e i suoi pezzi resteranno, non solo nel mio cuore.

 

Guglielmo De Monte
@bufohypnoticus

 

[Immagini dal concerto: Guglielmo De Monte]
[gif: tenor.com, giphy.com]
[Immagine di Alessandro Borghese: https://twitter.com/divianadyeus/status/1169972089648013312/photo/1 ]

 

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