Quattro canzoni per l’inizio dei trent’anni

“Siamo sporchi siamo umani”: ci era quasi passato il magone ed ecco che Francesco Motta sforna un altro disco. A due anni di distanza da La fine dei vent’anni, Vivere o morire racconta cosa succede quando si superano i trenta. Questa volta lo ripercorro in quattro tracce.

Vivere o morire

Vivere o morire
Aver paura di dimenticare
Vivere o morire
Aver paura di tuffarsi, di lasciarsi andare e di lasciarsi andare

Francesco Motta è un malinconico genuino, di quelli che prima ti fanno piangere per l’irritazione perché la nostalgia arriva a ondate, e poi pensare che ci starebbe bene una carestia per ridimensionare questo vuoto che non sapevi di avere e che si spalanca con le prime note di Vivere o morire. La sensazione di aver avuto qualcosa di inafferrabile e di averlo perso è il tratto dominante di questo pezzo, che elargisce sonorità delicate, percussioni gentili, un’eco di Cat Stevens e uno scampanellio random che ricorda un po’ la fine di un brano degli Abba e un po’ mia nonna quando va a messa con addosso tutti i suoi bracciali.

La nostra ultima canzone

Per te che forse sei meglio di prima
E un po’ ti conviene
Per te che se ti chiamano ragazza
Ti fa un po’ male il cuore

Nel videoclip de La nostra ultima canzone due tardo ventenni/primo trentenni giovani carini e con un bel taglio di capelli si saltano addosso sui sedili anteriori di una macchina, ammirando la reciproca beltade e il vicendevole taglio di capelli. In pratica, le immagini di una disimpegnata camporella vengono condite dalle note di una sensazione stagnante di dolore sordo, inquinato e solitario, un’eco di meravigliose promesse di sensualità e tenerezza che sembrano essere navigate via solo perché il tempo passa, magari bastano anche solo pochi mesi e finisci per sentirti solo e guardare la vita che va avanti mentre tu stai fermo. Magari il tuo taglio di capelli è pure passato di moda, nel frattempo.

La prima volta

E ti ricordi la prima volta
Le libertà stravolte
Tu con due bottiglie di vino
Fino alle sette sdraiati su un gradino
Non c’era niente di male
Potevamo fermarci
Dovevamo sbagliare

“La prima volta fa sempre male” cantavano i CCCP, sicuramente riferendosi al brano di Motta, che è un altro elaborato pugno alla stomaco di nostalgia e struggenti accordi. Avevamo dubbi? Da Anima Lattina dei Coma Cose in avanti nemmeno il classico farsi una bevuta ha più niente di allegro: notti passate con vino e birra a guardare la luna, nostalgicamente protesi verso la fine di un ipotetico rapporto amoroso a cui ripensare piagnucolando. Rivoglio indietro i tre minuti e mezzo della mia vita che ho speso ascoltando La prima volta. Li userò per bere di più.

Ed è quasi come essere felice

La musica è troppo forte
non si riesce a parlare
son troppi anni che perdi la voce
per urlare per favore
per qualcuno che ha sempre
qualcosa da fare
e ti guardano come se fossero stranieri
mentre continuano a muoversi male
e tu da solo

Il singolo uscito a fine gennaio era un anticipo della ventata di ottimismo e gioia che avrebbe arrecato Vivere o morire. Ed è quasi come essere felice è rassicurante tanto quanto Viva la pappa con il pomodoro è impegnata e ideologica. Il ritmo ricorda un mantra, una melodia triste ma avvolgente, con atmosfere un po’ eteree. Il grande talento di Motta è costringere a fronteggiare la malinconia, lo scorrere dei giorni e la frustrazione. Insomma, il secondo album del cantautore livornese non fa che evidenziare con elegante nonchalance che I Cani farebbero meglio a stare in campagna piuttosto che in Corso Trieste a seccarci con le loro lagne Glamour.

Sofia Torre
@SofiaTorre7

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