Come funziona il percorso di transizione in Italia? Dialogo con la comunità transgender

La transizione è il percorso che una persona transgender, ovvero che non si identifica nel sesso assegnatole alla nascita, decide di compiere volendo conformare il proprio aspetto fisico e i propri dati anagrafici a quello a cui appartiene. Per comprendere come si struttura in Italia il percorso di transizione, abbiamo dialogato con chi lo sta vivendo in prima persona. Elena, Daniela e Federico ci hanno descritto le fasi di questo percorso, gli aspetti positivi e le criticità del sistema italiano. Nella seconda parte di questo speciale, che potete leggere qui, ci hanno raccontato anche cosa significa vivere la transizione, condividendo con The Bottom Up le loro storie e testimonianze.

La grafica dell’immagine di copertina, che raffigura al bandiera simbolo della comunità transgender, è realizzata da Daniela, così come le infografiche presenti di seguito, che fanno parte del progetto “Transdictionary” e che vi invitiamo a consultare sulla sua pagina Instagram.

La transizione in Italia: come funziona?

Il percorso di transizione prevede, nella prassi, una serie di passaggi che la persona deve compiere. Tuttavia, Elena, che su Instagram gestisce la pagina trans.fakenews, intervistata da The Bottom Up ricorda che è necessario fare una premessa fondamentale: “Così com’è il percorso sembra molto una faccenda burocratica, in cui la persona deve avere determinati requisiti per poter passare allo step seguente. Ci tengo però a precisare che per ogni persona, nell’impostare il proprio percorso, lo scopo non è solo quello ottenere i documenti necessari per accedere alla fase successiva, ad esempio per accedere agli ormoni. Ovviamente c’è anche quello, ma ciò che muove la persona a rivolgersi a uno specialista, qualsiasi esso sia, non è la volontà solo di completare un iter burocratico, ma è quella di stare bene. L’obiettivo primario e fondamentale è il benessere psicofisico.”

Per la stessa ragione, è importante ricordare che “ogni persona non è trans perché fa il percorso completo, o perché lo fa in parte. Bisogna scollarsi dall’idea che una persona trans sia per forza di cose un soggetto medicalizzato. Una persona non è più trans di un’altra perché ha la diagnosi di disforia di genere, o perché assume gli ormoni.”

Nella pratica, il percorso inizia appunto con una diagnosi di disforia di genere, ovvero con l’accertamento da parte di uno specialista che la persona non si riconosce nel sesso assegnatole alla nascita. Questa diagnosi può essere fatta da uno psichiatra o da uno psicoterapeuta e ad essa può accompagnarsi un percorso psicoterapeutico più lungo e strutturato, se la persona lo ritiene necessario per il proprio benessere.

Con questa diagnosi, è possibile poi rivolgersi a un endocrinologo, che prescrive la terapia ormonale mascolinizzante o femminilizzante. Vi è anche l’opzione del microdosing, che viene scelto da persone non-binary o da chiunque non voglia seguire una terapia ormonale “tradizionale”. Il dialogo con l’endocrinologo è molto importante per stabilire la terapia migliore, che vada incontro alle esigenze di ogni singola persona, visto che, ricorda Elena, sono farmaci che si prenderanno sostanzialmente per tutta la vita. “La terapia può essere mascolinizzante, consistente solitamente in iniezioni di testosterone o gel, o femminilizzante, attraverso gel o pillola. Le ragazze trans (quindi durante il percorso di terapia ormonale femminilizzante) devono anche prendere un bloccante del testosterone. Ce ne sono di diversi tipi, in pillola o anche in puntura”, spiega Elena.

Il passaggio successivo è il cambio dei documenti anagrafici. Questo è preceduto dal cosiddetto “real life test”, un periodo della durata di circa un anno in cui la persona vive in società come uomo o come donna, a seconda del genere in cui si riconosce. Il cambio dei documenti avviene dopo la sentenza di un giudice: “per ottenere una nuova carta d’identità e un nuovo codice fiscale devo sostanzialmente andare in tribunale e dimostrare al giudice che non tornerò più indietro”, spiega Elena. “Quindi è una sorta di battaglia in cui io devo dimostrare di essere me stessa, attraverso i documenti (come la perizia dell’endocrinologo, la relazione dello psicoterapeuta o del team di specialisti) che ho raccolto durante questo periodo.”

Per chi lo desidera e senza che questo sia necessario ai fini del cambio di documenti anagrafici, è anche possibile farsi autorizzare gli interventi chirurgici di cambio del sesso. In Italia, per legge, un medico non può asportare un organo sano ed è quindi necessario che un giudice lo consenta espressamente, come forma di tutela per la saluta psicofisica della persona.

Le criticità del sistema italiano

Pur essendo l’Italia un unico Paese, “a livello sanitario, quando si parla di percorso di transizione, sembra quasi che siamo tanti staterelli separati”, racconta Daniela, attivista conosciuta su Instagram come Talesofdaniela e ideatrice dei progetti Transdictionary e Out of the Closet. “Spesso quello che vale in Liguria non vale in Lazio o in Lombardia, ad esempio.” Mancano delle linee guida precise a livello nazionale: “Ci sono punti chiari, nel senso che tu puoi cercare ad esempio su infotrans e trovare una serie di informazioni, ma ci sono anche tanti punti d’ombra che io stessa mi sono trovata ad affrontare nel momento in cui ho dovuto reperire personalmente tali informazioni.” C’è un certo livello di confusione che si ripercuote negativamente sia su chi vuole intraprendere la transizione, sia sulle figure professionali che sono chiamate ad assistere ragazzi e ragazze durante questo percorso. Questo implica anche che, nonostante esistano centri specializzati e all’avanguardia a livello locale, e professionisti che si impegnano per facilitare in ogni modo il percorso, ci siano comunque spesso lacune nella formazione e nella preparazione del personale sanitario.

Secondo Federico, che sul suo profilo Instagram racconta il suo percorso di transizione, molto è dovuto al fatto che in Italia la tematica transgender è ancora in gran parte sconosciuta: “Io stesso, fino a un anno fa, non sapevo che esistesse questa possibilità. E in un anno è cambiata tutta la mia vita”, racconta. “Molto spesso se chiedi a una persona che cos’è o chi è un ragazzo transessuale, questa ti risponderà qualcosa come “è un uomo che si traveste e che va a fare il prostituto”. Stereotipi carichi di errori e preconcetti, quindi, che perdurano e impediscono di affrontare in modo razionale e rispettoso le necessità di una situazione molto complessa. Le leggi, si sa, sono il risultato di un processo politico che solitamente si concretizza quando vi è una necessità condivisa di tutelare o regolare in modo migliore una determinata materia: la mancanza di sensibilizzazione fa sì che il percorso di transizione sia ancora in gran parte regolamentato da una legge del 1982 (la legge 164/82), che comprensibilmente è ormai alquanto obsoleta e criticata. Alcuni aspetti di tale legge sono stati negli anni modificati nella prassi giuridica: ad esempio, la legge originariamente prevedeva che l’intervento chirurgico fosse necessario per poter ottenere la rettifica dei documenti. Sentenze successive, emanate dai tribunali nazionali e dalla Corte costituzionale e di cassazione hanno specificato che l’intervento è una scelta della persona e quindi non obbligatorio nel percorso di transizione legale.

Contestata è anche la prassi del “real life test”, il periodo, come spiegato in precedenza, in cui, prima di poter ottenere il cambio di documenti anagrafici, il ragazzo o la ragazza vive in società come uomo o donna, a seconda del genere in cui si identifica. Solitamente si tratta di circa un anno, ma i tempi possono variare ampiamente. “Per principio, non mi si dovrebbe chiedere di aspettare” sostiene Federico, “ma se proprio vuoi obbligarmi a fare un periodo di terapia ormonale (prima di poter iniziare l’iter legale per il cambio di documenti, n.d.r.), che sia più breve: sei o sette mesi, magari.”

Daniela concorda e aggiunge “posso capire che ci voglia tempo per arrivare a una diagnosi perché lo psicologo o lo psicoterapeuta deve comunque aiutarti nella tua crescita personale, non bisogna essere frettolosi o frettolose. Ci sta anche, per me, che ci sia un’attesa di un anno prima del cambio di documenti, però anche in questo caso non c’è una regola unica, chiara e uguale per tutti.” Tutto finisce per dipendere dai tempi, spesso lunghi, della burocrazia, periodi in cui comunque ragazzi e ragazze transgender si trovano a vivere in società con i documenti dichiaranti un sesso in cui non si riconoscono e ai cui tratti somatici e fisici considerati “caratteristici”, dopo mesi di terapia ormonale, non corrispondono ormai più.  

“Ormai conto i giorni [che mi separano dal cambio di documenti, n.d.r.]: il cambio di documenti credo sia la cosa più importante di tutte, soprattutto ora che mi trovo a interagire con realtà concrete nel mondo, nell’università”, racconta Daniela.

Anche per questo la comunità transgender sta chiedendo a gran voce che il processo legale di cambio di documenti anagrafici sia trasformato in un processo amministrativo, che non richieda l’approvazione di un giudice nel corso di una sentenza, secondo un’ottica che a molti appare obsoleta e paternalistica. Il senso del discorso è che, in fin dei conti, vi è ancora la tendenza a voler controllare che la transizione sia davvero la scelta migliore per la persona, che essa sia davvero convinta di farlo e che non se ne pentirà, in una sorta di gate-keeping che finisce per non rispettare la volontà di ognuno e ognuna. “Una persona che inizia un percorso di transizione è raro che sia confusa”, dice Federico.

“L’obiezione che emerge di solito è che allora tutti potrebbero cambiare i propri documenti anagrafici”, precisa Elena. “Potenzialmente è vero, ma sfido chiunque a farlo così, per sfizio. Ci può essere il caso della persona con patologie, o non in grado di intendere e di volere, ma sono atti comunque annullabili e intanto si darebbe la possibilità a una persona trans di accedere a una procedura semplificata. Sarebbe più conveniente perché nel 99% dei casi si tratta di persone che realmente vogliono rettificare i propri documenti, e il caso patologico lo si potrebbe trattare ex-post.”

Ulteriore elemento di criticità è il fatto che per legge la transizione è solo M to F (da sesso maschile a sesso femminile) o, viceversa, F to M, mentre il non-binarismo non è contemplato, così come non è ancora possibile dichiararlo nei documenti anagrafici.

Alcuni passi avanti, molti altri da compiere: verso una migliore tutela della comunità transgender

Negli ultimi anni vi sono stati comunque importanti passi avanti in Italia, che la comunità vuole celebrare. Dal 2020 la terapia ormonale è gratuita in tutte le regioni italiane e anche agli interventi chirurgici si può accedere senza dover pagare. “È bello vedere che lo Stato riconosce questo percorso”, dice Daniela, ma al tempo stesso ricorda che, ad esempio, una ragazza trans deve ancora pagare se vuole ricorrere al laser per rimuovere la barba e i peli sul viso: “È una cosa a cui non si pensa minimamente. Con gli ormoni i peli del viso non se ne vanno e bisogna spendere magari anche 1000€ per toglierli definitivamente. Il viso è importante e a volte non riuscivo nemmeno a uscire di casa per colpa dell’ombra che mi rimaneva. È la prima cosa che ci affligge nel concreto ed è tanto più brutta per certi versi della parte intima, che invece puoi nascondere. Questa è una cosa che secondo me dovrebbe essere garantita gratuitamente.”

La comunità sta chiedendo di muoversi sempre più concretamente nel senso della depatologizzazione della condizione delle persone transgender, ovvero nel fare in modo che questa non sia più considerata come una condizione patologica e anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha rimossa dall’elenco dei “disturbi mentali”. Allora stesso modo, si sta cercando di slegarsi dall’idea di disforia di genere, preferendo invece parlare di incongruenza. “Mettere al centro la disforia per essere considerata una persona trans io la considero una dottrina del dolore” dice Elena. Parlando di disforia si pone infatti l’accento soprattutto su un malessere, che pure è reale per molte persone. “Ma non per tutte, o non nello stesso modo: ci sono persone che provano pochissima disforia, o anche nulla. E sono persone trans lo stesso”, afferma Elena “Non è una gara a chi ha più disforia, non è che più hai disforia e più sei trans.”

Il dovere di tutti e tutte, anche delle persone cisgender, è quindi quello di continuare a parlare, ascoltare, informare e informarsi. “Ogni forma di divulgazione per noi è fondamentale“, dice Federico. E Daniela aggiunge: “Per questo sono felicissima quando vedo qualcuno che vuole provare a mettersi nei nostri panni e aiutarci. Cis, trans, anche alieno: non importa. È quello che mi piacerebbe creare anche nel mio piccolo: un un posto dove siamo uniti e unite ad aiutarci a vicenda.”

Alessia Biondi

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