Elena, Federico, e Daniela fanno attivismo sui social media, cercando di sensibilizzare e far conoscere la realtà quotidiana delle persone transgender. Dopo averci spiegato come funziona, nella pratica, la transizione in Italia (nella prima parte di questo approfondimento, che vi invitiamo a leggere qui), hanno accettato di condividere con The Bottom Up le loro storie, per aiutarci a comprendere com’è vivere in prima persona questo percorso: quali sono le reazioni di amici e famigliari, come può influire in un contesto universitario o lavorativo, quali sono le principali difficoltà da affrontare e quali le soddisfazioni più grandi. Di seguito, riportiamo le loro testimonianze.
La grafica dell’immagine di copertina è realizzata da Daniela e ripropone i colori della bandiera simbolo della comunità transgender.
Elena
Chiunque stia intorno a una persona trans (la famiglia, gli amici) è chiamato a fare un percorso insieme e parallelo al suo. Devono rielaborare tutto un pensiero, devono capire cosa è un uomo o una donna.

“Ho sempre vissuto un’adolescenza turbolenta, soffrivo di depressione, attacchi d’ansia. Non stavo bene, però non ho mai saputo il perché. Ne ho preso consapevolezza durante il dicembre 2017 e poi ho iniziato ad andare dalla psicoterapeuta nel febbraio 2018. Ho avuto anche una relazione molto forte con una ragazza e già con lei si vedeva che il mio ruolo nella coppia non era quello dell’uomo, se vogliamo ragionarla in stereotipi, ma era più tendente al femminile. Questo è stato uno di tanti segnali.
Quando la mia famiglia ne è venuta a conoscenza, inizialmente è stato un trauma per tutti: quando fai coming out e dici di essere trans è come buttarsi da un aereo senza paracadute, non esiste un modo per dire “cambierò sesso” in modo semplice. Dire “sono una donna, ma tu mi hai sempre considerato tuo figlio e voglio fare anche dei cambiamenti ormonali e chirurgici” è ovviamente uno stravolgimento. Quando dici di essere trans si vanno a traumatizzare le fondamenta, perché le persone hanno un concetto di uomo e donna statico e si trovano a pensare “quello che ho saputo finora non era vero”. È un cambiamento molto profondo.
Il percorso di una persona trans è complesso e non si può fermare al coming out: chiunque stia intorno a una persona trans (la famiglia, gli amici) è chiamato a fare un percorso insieme e parallelo al suo. Devono rielaborare tutto un pensiero, devono capire cosa è un uomo o una donna. Io sono stata fortunata, perché, dopo una prima fase durata circa un anno, i miei genitori e i miei amici si sono convinti che io sono una donna. Ora, quando mia mamma mi parla, sa ed è cosciente di parlare a sua figlia. Non è una cosa che viene dall’oggi al domani, è un percorso progressivo e molto tosto. Anche mio fratello, che mi ha sempre trattato da fratello maschio, adesso mi deve trattare da sorella femmina: sembra una stupidaggine, ma non lo è, richiede un grande cambiamento.
Ho fatto la transizione sociale (cioè ho iniziato a vestirmi da donna a presentarmi da Elena) al secondo anno di università, quando diverse persone già mi conoscevano da prima e sono stati tutti molto carini. Nonostante ora con la didattica a distanza abbia problemi con il mio nome anagrafico, perché sulla piattaforma Teams compare un po’ dappertutto, nessuno si permette mai di chiamarmi al maschile o col mio vecchio nome. Li devo davvero ringraziare. Sono stata fortunata, ho trovato persone che mi hanno accettato così come sono. Ora c’è anche un ragazzo con cui sto e insieme stiamo avviando una relazione molto bella, perché lui mi accetta totalmente e gli piaccio in quanto donna. Dice “io vedo davanti a me Elena, mi piace Elena, quella che sei adesso”. Anche a livello sessuale ci sono molti stereotipi: non è che se un ragazzo ha un rapporto con ragazza transessuale allora diventa gay. È un discorso di percezione, ci sono barriere molto forti che devono essere superate, ma è importante imparare a vivere la sessualità senza costruzioni e preconcetti.
Creare la pagina Instagram (@trans.fakenews, dove Elena si occupa di mettere in luce gli errori mediatici nella rappresentazione della comunità transgender, N.d.R.) è stato un passo quasi istintivo: era un periodo in cui leggevo le offensive della Rowling nei confronti della comunità trans, era appena iniziato l’iter del DDL Zan e ricevevamo attacchi un po’ da tutte le parti. Leggendo articoli pieni di errori, denigratori, ho voluto aprire uno spazio per trasformare il mal di stomaco che provavo in qualcosa di costruttivo e positivo.
Non voglio fare indottrinamento, ma voglio portare sulla mia pagina la tematica trans e parlarne anche da un punto di vista socio-economico, giuridico e culturale, che sono i miei ambiti di studio all’università. Non sono specializzata in giornalismo, ma quando commento la notizia parto sempre da dei fatti e provo a sviluppare un ragionamento: sono la persona trans comune che legge una notizia e si sente rappresentata in modo sbagliato e da lì cerca di dire cosa non va, ma anche qual è il problema o lo stereotipo sottostante, perché la stampa non vive da sola, ma è sempre il riflesso di una certa cultura.”
Federico
Il punto è proprio questo: noi siamo noi, siamo sempre noi e siamo sempre stati noi, è solo che adesso possiamo esserlo anche fisicamente.

“Sono in transizione da 8 mesi, ho iniziato il 13 marzo 2020. Ho scoperto di voler fare questo percorso l’anno scorso perché solo l’anno scorso sono venuto a conoscenza di questa possibilità. Dato che non c’è molta informazione a riguardo in Italia, a volte anche una persona che vuole fare questa cosa non sa che la può fare. Io ero così: fin da piccolo, per me era naturale che mi piacessero le bambine – e, poi, crescendo le ragazze – semplicemente perché in fin dei conti io mi sentivo un bambino. Ma ho vissuto 25 anni senza capire che esistesse una soluzione al mio malessere.
L’anno scorso ho trovato per caso il video di un ragazzo che ha documentato la sua transizione. Da lì ho fatto altre ricerche e mi sono reso conto che il mio malessere arrivava sempre lì e che non avevo mai considerato l’idea solo perché non la conoscevo. Tant’è che mi ci è voluto solo qualche mese per iniziare il percorso, mi è bastato veramente poco per capire che lo volevo davvero.
Quando ho iniziato la persona che più mi è stata vicina, dall’inizio, è stata la mia ragazza, con la quale convivo da qualche anno e che ha vissuto tutto, sia il prima, che il dopo, che il durante. Per quanto riguarda la mia famiglia, per loro ci è voluto un po’ più di tempo, perché neanche loro conoscevano e si sono dovuti informare. Ci sono voluti pianti, litigate, per cercare di far capire loro che alla fine io sono io. Ed è proprio questo il punto: che noi siamo noi, siamo sempre noi, siamo sempre stati noi, è solo che adesso possiamo esserlo anche fisicamente. Ora che sono all’ottavo mese sono tranquillissimo con loro, l’hanno accettato tutti, anche gli amici: non c’è mai stato un episodio brutto, di bullismo: sono stato molto fortunato sotto questo aspetto.
L’unico episodio di discriminazione l’ho vissuto in campo lavorativo: stavo registrando il mio disco in studio, e quando ho capito di voler fare la transizione ne ho parlato con il mio produttore e lui non era assolutamente d’accordo. In sostanza, si è tirato fuori e mi ha lasciato a piedi. Però non fa niente, ora me lo sto registrando da solo il mio disco.
Oltre al vedersi cambiare, al vedersi finalmente come si è davvero, che sono le classiche soddisfazioni di una terapia ormonale, a livello personale questo percorso mi ha fatto crescere tantissimo, mi ha fatto capire che bisogna smettere di cercare sempre di corrispondere alle aspettative degli altri: perché loro vivono la loro vita, tranquilli e sereni, e io devo vivere la mia, tranquillo e sereno. Con questo percorso ho affrontato temi e persone che non avrei mai pensato di affrontare nella mia vita, ho preso questa occasione per togliermi un sacco di sassolini dalle scarpe, ho chiarito tante cose anche con tante persone della mia famiglia e adesso i rapporti sono migliorati nettamente. Per me è stato fondamentale. Non tornerei mai indietro, sono convintissimo di essere felice così. Anche a livello emotivo sto molto meglio, sono più tranquillo: sono meno agitato, quando esco di casa non ho l’ansia di parlare con persone che non capiscono quello che sono.
Facendo la transizione siamo molto fortunati, perché possiamo vivere due mondi diversi nella stessa vita. È un privilegio per noi, che nel dolore di non essere nati nel corpo che vorremmo possiamo sfruttare questa cosa per capire come si sta in entrambi i corpi. Da quando ho iniziato la transizione ho cominciato a notare davvero il privilegio maschile in questa società. Paradossalmente sono sicuro che se fossi stato una donna transessuale, il mio percorso sarebbe stato molto più difficile di quello che è adesso, perché gli uomini sono privilegiati, anche in una minoranza come quella delle persone transgender. Da quando ho assunto un aspetto maschile anche per le persone che non mi conoscono, vedo come mi trattano gli altri uomini: sono molto più rispettosi, mi vedono come uno di loro. Mentre prima, quando fisicamente sembravo una donna, nessuno aveva mai avuto questo genere di comportamento nei miei confronti: adesso quando cammino per strada con la mia ragazza l’uomo che prima la guardava, o ci guardava e faceva tutte le sue facce, adesso non si azzarda perché vede che ci sono io. Magari sono i classici tizi che tirano giù il finestrino e fischiano alle ragazze. Adesso non succede più. Questa cosa è assurda, perché io sono la stessa persona di prima, è solo cambiato il mio aspetto. Ormai lo sto notando in tutto: entro in un negozio e i ragazzi si mettono a ridere e scherzare con me, mi rivolgono la parola, si ride insieme, quando sono per strada nessuno fischia, se non mi danno la precedenza in macchina mi chiedono scusa. Sono tante piccole cose, tanti luoghi comuni che sono stati da parte mia accertati. È orribile, perché non c’è alcun motivo per cui non si debba rispettare una donna tanto quanto un uomo. Sono sempre io, è cambiato solo il mio aspetto, ma in una società basata molto sull’apparenza questo fa la differenza.”
Daniela
Finalmente sono me stessa, non sono più arrabbiata con il mondo: provo un senso di completezza, di euforia di genere, invece che di disforia, che si ripercuote su tutti gli aspetti della mia vita.

“La mia storia è quella di una ragazza (ragazzo all’epoca, se vogliamo) che si è sempre sentita fuori posto, e che lo associava a problemi familiari, ma da quando ho iniziato il percorso di transizione tantissime cose si stanno mettendo a posto da sole. Ho iniziato il percorso in età post-adolescenziale, perché prima avevo paura: spesso ci si confonde con l’omosessualità e nella mia testa mi dicevo “io sono un uomo, mi piacciono gli uomini quindi sono gay”, ma nell’ambiente gay mi sono sempre sentita fuori posto, perché fondamentalmente non ero un maschio. Ho avuto periodi in cui alternavo momenti più maschili a momenti più femminili ed è quello che poi mi ha impedito di iniziare la transizione prima, perché vedevo che ogni volta che mi femminilizzavo non piacevo ai ragazzi. Poi ho capito con l’aiuto della psicologa che si creava questo meccanismo di paura del rifiuto, in cui pensavo “ma allora non è la cosa giusta” e ogni volta seppellivo un po’ Daniela nel mio inconscio.
Tuttavia non era mai una cosa conscia fino ai miei 25 anni, non avevo mai pensato “magari sono una ragazza”. Dopo ho avuto una fase di questioning, quando avevo anche chiamato un centro (specializzato nella transizione, N.d.R.), ma avevo paura e non me la sentii. Alla fine, tutto è successo dopo una rottura con il mio ex per cui sono stata molto male e tutta questa sofferenza in qualche modo mi ha tirato fuori la disforia. Sono rientrata in una fase di questioning da cui per fortuna non sono più uscita. Ho iniziato il percorso di transizione sociale a maggio 2020 e la terapia ormonale da agosto. È un cambiamento incredibile, difficile da spiegare a parole: finalmente, grazie agli ormoni, la tua testa riesce a comunicare bene con te. L’impulsività legata al testosterone si è affievolita e grazie agli estrogeni sono molto più calma, riesco a gestire le mie emozioni e a controllarle. Anche da un punto di vista sessuale. E, soprattutto, finalmente mi sento congruente con il mio genere.
Per quanto riguarda le relazioni personali, è andata bene con la mia famiglia, ma ho avuto un po’ di scontri con alcune amiche, proprio perché non capivano il mio percorso. Io ho deciso di darci un taglio: troppe volte mi sono trovata nella situazione di dover giustificare la mia situazione, di dover giustificare perché ci rimango male per determinate cose, perché faccio determinate scelte, che poi non sono neanche scelte. In realtà, anche grazie ad Instagram e alla comunità trans, ho creato talmente tante nuove amicizie che hanno in qualche modo colmato il vuoto lasciato da altre.
Finalmente sono me stessa, non sono più arrabbiata con il mondo: provo un senso di completezza, di euforia di genere, invece che di disforia, che si ripercuote su tutti gli aspetti della mia vita che prima non funzionavano. Iniziando il percorso in età non più giovanissima, se da un lato è stato più difficile, perché avevo già una vita avviata, dall’altro lato è stato più semplice, perché mentalmente sono più matura e sto facendo dei passi da gigante nei 6 mesi in cui ho iniziato a vivere da me stessa, da Daniela, che non ho fatto in anni. Io ho scelto la via della condivisione e su Instagram racconto molto del mio quotidiano: ho deciso di vivere alla luce del sole, perché è utile agli altri, oltre che a me stessa. Mi fa piacere poter essere un punto di riferimento per la comunità transgender perché a inizio percorso mi ha dato tanto e quindi mi sembra giusto ridare a mia volta. Su Instagram ho creato due progetti: il Transdictionary, un dizionario che spiega molti termini che possono aiutare a capire meglio il mondo transgender, in modo il più semplice e comprensibile possibile, per essere accessibili a tutti e tutte; e Out Of The Closet, una sorta di guardaroba virtuale dove chiunque, persone trans o cis, può donare indumenti che non usa più. È un progetto nato dall’esigenza che io avevo di iniziare a vestirmi da ragazza senza avere molte cose da ragazza. Ho chiesto alle mie amiche se avessero indumenti da regalarmi e da lì ho pensato che, come me, ci sono un sacco di ragazzi e ragazze trans che hanno bisogno di capi d’abbigliamento o di dar via indumenti del loro sesso di assegnazione alla nascita.”
Alessia Biondi
Prima di arrivare a transizionare e a detransizionare ne dobbiamo parlare perché è un business!
Diciamo che c’è stata una crescita esponenziale di bambine bambine e adolescenti che per mero business percorrono la via ormonale, salvo poi ricredersi ma il danno fisico e non solo è fatto!
L’autrice dell’articolo si documenti su quello che è avvenuto in UK e USA
https://www.feministcurrent.com/2020/11/30/podcast-keira-bell-fights-the-unethical-prescribing-of-hormone-blockers-in-minors-in-the-uk/
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