Combattenti talebani

Il governo afgano perdona i suoi assassini

Il 29 settembre scorso, di fronte ai massimi dignitari e alle più alte cariche dello stato, il governo afgano e l’Hizb-e-Islami (Partito dell’Islam) di Gulbuddin Hikmetyar hanno siglato un accordo di pace. Benedetto dall’ONU e dagli USA, l’accordo è stato immediatamente oggetto di forti proteste da parte della popolazione civile che è scesa in piazza manifestando la sua rabbia e rappresentando il leader islamico su striscioni e cartelli con un aspetto truce e circondato da armi.

La firma degli accordi di pace di fronte ai rappresentanti del governo afgano e dell'Hizb-e-Islami
La firma degli accordi di pace di fronte ai rappresentanti del governo afgano e dell’Hizb-e-Islami

Ma chi è Gulbuddin Hikmetyar? Com’è giunto al potere? È così importante da giustificare negoziati che si sono protratti per oltre sei anni? E perché è tanto odiato dalle folle?
Hikmetyar nasce nel 1947 da una famiglia di pashtun, l’etnia più numerosa del paese, i cui territori d’origine sono stati divisi dagli inglesi tra Afghanistan e Pakistan. Studia ingegneria all’università di Kabul dove comincia a radicalizzarsi assieme ad altri leader islamici di quell’epoca. Nell’Afghanistan degli anni ’60 le loro dottrine erano uno strano mix di tradizionalismo e innovazione: da un lato desideravano infatti riunificare la comunità dei fedeli riportandola alle origini della società musulmana così come dettata dal Profeta; dall’altro ritenevano di vitale importanza saper affrontare le sfide poste dal mondo moderno e si dotarono così di una struttura partitica fortemente gerarchizzata, militarizzata e improntata alla massima segretezza.
Nel 1975, la maggior parte di questi movimenti – e dei loro leader – furono costretti a rifugiarsi in Pakistan a seguito dell’ondata repressiva scatenata dall’allora presidente Daud.
E non era un caso se i partiti afghani in esilio erano tutti accomunati da una forte connotazione religiosa. Infatti il dittatore pakistano Zia ul-Haq aveva sbarrato di proposito le porte alle formazioni di sinistra nazionalista, democratiche o comunque secolari. Così, a operare dal Pakistan settentrionale (e a poter ricevere finanziamenti dagli Stati Uniti per combattere i sovietici) erano soltanto partiti fondamentalisti composti da guerriglieri mujaheddin fondamentalisti.
Tra questi anche l’Hizb-e-Islami di Gulbuddin Hikmetyar, che ricevette molti fondi e sostegno dall’Isi, i servizi segreti di Islamabad, gli stessi che avrebbe voluto vedere a Kabul un governo fondamentalista guidato proprio da Hikmetyar.

Col crollo del regime comunista afgano retto dal presidente Mohammed Najibullah, nella primavera del 1992, il fronte degli ex guerriglieri che lo avevano combattuto si frantumò in diverse milizie rivali. Queste formazioni cominciarono così a disputarsi il potere nella capitale Kabul in quella che in breve divenne una sanguinosa guerra civile. L’odio e la fame di potere avevano accecato completamente i leader politici che sempre più assomigliavano a dei war lords, dei signori della guerra.
E Hikmetyar? Escluso dalla presidenza del paese, egli divenne uno dei comandanti più brutali del paese, bombardando ripetutamente e senza remore Kabul e la sua popolazione. Nel frattempo però l’Isi vedeva il suo favorito perdere sempre più terreno, a tutto vantaggio degli altri generali (Rashid Dostum, Ahmad Shah Masud, Ismael Khan…) e degli altri politici (Abdul Sayyaf, Burhanuddin Rabbani…), spesso appartenenti a minoranze – come quella tagica – che non avevano mai governato l’Afghanistan.
I combattimenti, le violenze e le spoliazioni contro i civili erano all’ordine del giorno, esacerbate dalle differenze etniche e dalle manovre delle altre potenze regionali presenti in Afghanistan. Da quel caos emergeranno poi i talebani del mullah Omar che ben presto divennero i beniamini del regime militare pachistano, sempre alla ricerca di cavalli su cui puntare per controllare il turbolento vicino di casa. Tutto precipita quando ad aprile tagichi e usbechi prendono Kabul e Rabbani viene nominato presidente del governo: è il segnale che Hikmatyar ha fallito. Sarà ripescato nel grande gioco afgano delle alleanze e dei tradimenti soltanto quattro anni dopo, con i talebani che controllano quasi tutto l’Afghanistan e premono alle porte della capitale. Viene nominato primo ministro ma è costretto ad abbandonare la tanto agognata poltrona dopo appena quattro mesi, quando i talebani entrano a Kabul e costringono alla fuga i signori della guerra.

Gulbuddin Hikmetyar
Gulbuddin Hikmetyar


Per Hikmatyar si aprono le porte dell’esilio in Iran, fino a quando l’operazione “Enduring Freedom” nel 2001 non cancella il regime del mullah Omar, sostituito dal governo Karzai. Ma Hizb-e-islami e il suo leader rifiutano di riconoscere il nuovo presidente afgano e un anno dopo – a seguito di una mediazione svoltasi presso gli Emirati Arabi Uniti con l’aiuto dell’onnipresente Isi – si trasferiscono nelle North-West Frontier Province pachistane dove viene aperto un centro di reclutamento presso il campo profughi di Shamshatoo. Nonostante si sia de facto unito ai talebani e ad al Qaeda in nome della comune opposizione agli USA, Hikmetyar all’epoca decide di non fondersi completamente con uno dei due movimenti, continuando comunque a incitare alla lotta armata contro la coalizione a guida americana.

Combattenti talebani
Combattenti talebani

Ritorniamo così ai giorni nostri. Dopo anni e anni di guerra – portata avanti più a parole che sul campo di battaglia – il vecchio fondamentalista ha oramai perso sostegno e forza militare ed è incalzato dalla “concorrenza” dei talebani e dell’ISIS. La pace col governo di Kabul è l’occasione perfetta per tornare sotto i riflettori, occasione che in un sol colpo permette ad Hikmatyar di ripulire la propria fedina penale e di accreditarsi di nuovo come un attore politico.
Anche se appare difficile che la sua decisione possa influenzare i talebani, in virtù del dialogo col presidente Ghani, Hezb-e-Islami ha rinunciato alla principale pretesa che lo accomunava col movimento degli studenti islamici, e cioè il ritiro di tutte le truppe straniere dall’Afghanistan; il partito dovrà anche rispettare l’attuale Costituzione afgana, consegnare le armi, rispettare un cessate-il-fuoco, rilasciare tutti i prigionieri. In cambio ci sarà posto per suoi rappresentanti ai vertici delle istituzioni afgane: e cioè nella commissione elettorale, nelle forze armate e nel governo. Un processo di “assorbimento” dei quadri del partito che in realtà era cominciato già a partire dal 2005.
Inoltre circa 20mila persone che vivono a Shamshatoo da decenni potranno fare ritorno in Afghanistan e – forse – sottrarsi al controllo e all’influenza del leader fondamentalista.
Ma l’articolo più contestato dell’intero negoziato è il nono, quello che ha permesso a Hikmatyar e ai suoi di ottenere la totale impunità per le passate attività politiche e militari.
Quelle che, per intenderci, gli hanno fatto ottenere il soprannome di “macellaio di Kabul”.

Marco Colombo

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