Exit West Mohsin Hamid

Una porta sulle migrazioni: “Exit West” di Mohsin Hamid

Se l’abilità di Mohsin Hamid nel dipingere le ambiguità, le sfumature e la complessità dei rapporti umani è evidente in Il fondamentalista riluttante, la sua ultima fatica riesce a consacrare lo scrittore, vita a slalom fra Lahore, New York e Princeton, come una sorta di bussola nel mondo delle narrazioni migranti, dei garbugli emotivi e del senso di vuoto, inestricabilmente legati fra loro. Exit West, edito da Einaudi, 152 pagine di porte che si spalancano su universi crudeli, strade distrutte da guerre senza spiegazioni e sentimenti in fiore, è un libro difficile, impegnativo come un saggio filosofico e straziante alla maniera elegante dell’Amica geniale.

In un Paese che forse è la Siria, forse no, ma di sicuro è in stato di guerra e mostra angoscianti presupposti teocratici, Nadia e Saeed si conoscono a una lezione di marketing e cominciano a uscire insieme, perché, anche se può sembrare strano che in una città sull’orlo del baratro i giovani vadano ancora a scuola, “così stanno le cose, nelle città come nella vita: un momento sbrighiamo le nostre incombenze come se nulla fosse e quello dopo moriamo, e il fatto che la fine incomba sempre su di noi non impedisce i nostri effimeri incipit e svolgimenti, fino all’istante in cui lo fa”. Nadia è bella, indipendente e sempre imbacuccata in una tunica nera che la copre fino ai piedi, ma che non le impedisce di spostarsi in moto. Saeed è un uomo adulto, indipendente, non sposato, con un impiego decente e una buona istruzione, e come spesso accade a molti uomini adulti, indipendenti, non sposati, con un impiego decente e una buona istruzione, abita ancora con i suoi genitori. Nadia non prega mai, ma porta tunica e velo in modo da essere lasciata in pace dagli uomini. Saeed si inginocchia tre volte al giorno e si definisce praticante, anche se meno di quello che dovrebbe. Nadia ama fumare le canne in balcone, Saeed cerca accuratamente di evitare il sesso prematrimoniale, anche se presto la morte si fa sfondo della narrazione e tutto è in macerie, come sempre avviene nei paesi in guerra, anche in quelli di cui si parla poco.

 

Hamid exit west book
Mohsin Hamid si compiace del suo romanzo. Fonte: Oregon Live

Quella di Nadia e Saeed è una storia d’amore delicata, irresistibile perché piuttosto comune, ma puntellata da squarci di crudezza e orrore, inseriti con casuale non curanza, come coriandoli: “Entro qualche mese, quell’uomo con la coda di cavallo sarebbe stato decapitato, a partire dalla nuca e con un coltello seghettato per fargli più male, e il suo corpo senza testa sarebbe stato appeso per una caviglia a un traliccio dell’alta tensione, dove sarebbe rimasto a dondolare a gambe larghe finché la stringa che il suo boia aveva usato a mo’ di corda non fosse marcita e si fosse rotta”. Un giorno la coppia decide di scappare dalla guerra: l’unico modo per spostarsi in Exit West è attraversare lo spazio reale e metafisico tramite delle misteriose porte, unica partenza e separazione fra dove i rifugiati partono e dove arrivano. Le porte, che sono ben sorvegliate, svettano pericolose e simboliche, perché il concetto di frontiera è ben delineato anche senza immagini di gommoni, sbarchi o porti e anche se sembra esserci solo una soglia a ostruire il passaggio verso la salvezza.

Il paese senza nome è un tentativo di conferire universalità, per quanto di lingua araba e accuratamente velata, a un’umanità vagante e separata da un Occidente se non ostile, quantomeno poco accogliente. È nella storia d’amore però che la pretesa ecumenica di Hamid trova una sorta di trionfo, perché in nessun modo si è esenti dalla frustrazione amorosa, dalla paura dell’abbandono e dall’angoscia, anche se quando si deve evitare di soffocare col gas nervino o di essere colpiti da una pallottola, probabilmente passano un po’ in secondo piano. Se Exit West è attaccabile da qualche fronte e può apparire frivolo e poco specifico rispetto alla stringente questione dei migranti, se può essere accusato di mancare dell’equilibrio e della consapevolezza storica che si acquisisce con la distanza temporale dai fatti storici che si raccontano, è il momento opportuno per citare Italo Calvino non del tutto a sproposito. Per quanto non sia spendibile e stagionale come Gramsci e il Capodanno, “prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” è un ottimo modo di descrivere la funzione e il principale merito del capolavoro di Hamid: la capacità di avvicinare a una questione complessa e delicata come l’immigrazione anche i non addetti ai lavori. Il dovere di rappresentare la realtà, il dolore e la morte rischia di risultare vano o di essere uno sforzo a vuoto, se non si trovano modi nuovi di colmare le distanze parlando a pubblico più ampio, raccontando storie che parlino una lingua universale.

Sofia Torre

 

[Fonte immagine di copertina npr.org]

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