manetti band

Manetti! + Siberia live al CovoClub

Entro in salotto e trovo il cadavere di Ian Curtis.

Il cadavere di Ian Curtis è perfettamente conservato, se si eccettua una certa scoloritura grigina e un odore di infusione di limoni e boccioli di rosa.

Formaldeide?, faccio io con il tono di quello che si intende di tassidermia.

Spleen, risponde lui. Poi mi guarda in faccia e mi fa: Cosa si fa in questo posto il venerdì sera, piuttosto? Sono qui da mezz’ora e in tv ho visto solo un tamarro romano che canta una canzonaccia d’amore al bar.

Così lo porto al Covo, che mi sembra il posto più adatto per fargli passare una buona serata a Bologna. Al Covo suonano due band italiane poco conosciute, i Manetti! (da Como) e i Siberia (da Livorno). Che siano poco conosciute si deduce dal numero non altissimo di presenti, ma a nessuno di noi importa niente: Ian non conosce i gruppi e passa tutto il tempo in attesa a bere vodka lemon e fissare i manifesti sui muri del Covo; io li conosco e so che meriterebbero, entrambi, un pubblico molto superiore, e che se va tutto bene prossimamente lo avranno.

I Manetti!, che aprono, sono in cinque ma per il casino che fanno potrebbero essere in dieci. Loro descrivono la loro musica come un “incrocio fra il post rock e il post punk” (primo disco) e “muri di chitarre e di batterie” (secondo disco in uscita). L’effetto, complice il volume altissimo, è esattamente un insieme delle due cose, e più di una volta mi vengono in mente i Trail of Dead. Asfaltano tutto a colpi di Fender Jaguar senza lasciare sopravvissuti sul campo. Meeeerda, dice Ian fingendo compostezza nonostante sia al settimo vodka lemon.

siberia band livorno

I Siberia salgono sul palco che è quasi mezzanotte. Spooky, dice Ian, il cui senso dell’umorismo è rimasto invariato post-mortem. Sono in quattro, più le basi dei synth. Anche se sapevo che erano giovani, io e Ian rimaniamo colpiti dal cantante, che nonostante la maturità di voce e testi dimostra vent’anni scarsi (dovrebbe averne qualcuno di più). Forse è anche il fatto che sulle prime canzoni rimane a centro palco un po’ impacciato, prendendo confidenza man mano che il concerto va avanti e ha la possibilità di parlare un poco, suonare chitarra e tastiera e sciogliersi il minimo indispensabile. Il concerto scorre liscio tra i pezzi del primo e del secondo disco, con menzioni speciali per l’estremo buon gusto del batterista e l’occasionale comparsa dell’e-bow per la semiacustica del chitarrista.

Quando dopo un’oretta finisce, Ian sta provando a impezzare (per i non bolognesi: attaccare bottone con) una tipa dark sulla ventina, che scambiandolo per un epigono non lo degna di attenzioni.

Beh, siamo contenti? Gli faccio.

Contenti mai, ma siamo piuttosto soddisfatti, risponde, caricato dai nove vodka lemon.

Le canzoni del secondo sembrano molto più centrate musicalmente di quelle del primo, dal vivo sono bravi, se tutto va bene col terzo dovrebbero fare il botto e a questi stessi concerti ci dovrebbe essere dieci volte la gente che c’era oggi.

Sono d’accordo, dico. Alla fine assomigliano davvero tanto a un incrocio impossibile tra gli Interpol e i Baustelle della Moda del lento, se il mondo fosse un posto un po’ giusto dovrebbero avere stuoli di fan.
Se il mondo fosse un posto un po’ giusto, quel tipo della nazionale del 2006 se lo filerebbero in trenta, ribatte però Ian, e io davvero non so come dargli torto.

Giorgio Busi-Rizzi

Foto: Pitbellula e Livornonow

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