Le elezioni in Iran: tra stabilità e cambiamento

Come funziona il sistema politico iraniano 

Quando nel 1979 i padri della rivoluzione iraniana, avendo rovesciato il trono dello Scià, si trovarono a dover decidere che tipo di struttura amministrativa dare alla neonata entità politica persiana, si rivolsero ai cittadini chiedendogli di fornire il proprio parere rispondendo ad un semplice quesito referendario: Repubblica Islamica, sì o no? Fu un plebiscito dal risultato bulgaro: il sì trionfò con il 98%. Nacque così la Repubblica Islamica Iraniana, la terza repubblica islamica dopo Pakistan e Mauritania, la prima in assoluto a guida sciita.

Il nome tuttavia è decisamente ingannevole: l’Iran, infatti, non è una repubblica, o per lo meno non solo. Tale nuovo sistema politico fu disegnato con l’intenzione di far coesistere al suo interno elementi democratici ed elementi teocratici, legati alla religione islamica. A fianco (anzi forse sarebbe meglio dire al di sopra) di un parlamento democraticamente eletto, quindi, la costituzione prevede la presenza di una figura religiosa assoluta che concentri il potere di indirizzo politico quasi esclusivamente nelle proprie mani e che resti in carica fino alla morte, sulla falsariga di un monarca assoluto. Se vi suona strano che Teocrazia e Democrazia coesistano in uno stesso sistema politico è perché lo è: esse sono per definizione incompatibili, e la loro forzata coabitazione ha plasmato il dibattito politico iraniano fin dal suo avvento alla fine della rivoluzione, nel 1979.

Nonostante tale ossimoro, è innegabile che la presenza (e l’applicazione, assunzione niente affatto scontata quando si parla di dittature e poteri assoluti) di pratiche effettivamente democratiche costituisca un fatto positivo e contribuisca a fare dell’Iran un sistema politico migliore, per quanto decisamente imperfetto e confuso. E proprio quanto tale sistema sia imperfetto lo si capisce dal fatto che le elezioni che fin qui abbiamo descritto come genuinamente democratiche in realtà non lo siano affatto. Tutti i candidati a cariche elettive, infatti, devono necessariamente essere approvati dal Consiglio dei Guardiani, un’assemblea nominata dal clero (e quindi per definizione ideologicamente allineata ad esso e alla guida suprema dell’ayatollah Khamenei) la quale è incaricata di scrutinare, approvando o respingendo, ogni singola candidatura.

E’ chiaro come tale ostacolo al normale esercizio democratico occidentalmente inteso finisca per favorire le personalità più vicine ai fondamentalisti religiosi e azzoppi il normale processo di alternanza e di modifica dello status quo che è per definizione intrinseco al processo democratico stesso.

Va purtroppo segnalato che quest’ultima tornata elettorale ha visto il numero di candidati respinti più alto mai registrato nella breve storia della Repubblica Islamica Iraniana.  E’ dunque sbagliato considerare queste elezioni come importanti e potenzialmente fonte di vero cambiamento? Converrebbe piuttosto disinteressarsi della cosa liquidando l’Iran come paese fondamentalista e nemico della democrazia? Non esattamente.

Analisi del voto

Negli ultimi tre anni, e cioè da quando il moderato Hassan Rouhani ha sconfitto il decisamente più integralista Mahmoud Ahmadinejad (già presidente per due mandati) alle elezioni presidenziali del 2013, l’Iran si è contraddistinto per l’avvento di una sensibile apertura sociale, culturale e politica che ha avuto il suo apice nel recente accordo sul nucleare con gli Stati Uniti e il resto della comunità internazionale, accordo che ha determinato la rimozione delle sanzioni economiche imposte al paese persiano dall’ONU nel 2006.

Questa transizione sociale (ricorderete come le proteste del Movimento Verde fossero state represse nel sangue solamente 7 anni fa) non si è arrestata nemmeno di fronte al massiccio respingimento di candidature moderate all’ultima tornata elettorale. Il fronte moderato, guidato da Rouhani, ha infatti aumentato la propria presenza all’interno del Majlis, il parlamento della Repubblica.

Il risultato di queste elezioni è quindi senza dubbio un avvenimento politico degno di nota, un po’ perché il numero di donne elette a cariche politiche è stato più alto rispetto a tutte le tornate elettorali precedenti, un po’ perché bisogna tenere conto del fatto che il fronte moderato ha vinto nonostante il Consiglio dei Saggi abbia respinto gran parte delle sue candidature.

Chi si aspetta immediate aperture e cambiamenti, tuttavia, rischia di rimanere deluso. I fondamentalisti detengono ancora il potere politico assoluto oltre che il controllo delle principali istituzioni del paese come l’esercito e il potere giudiziario. La partita – come sempre avviene – si potrà piuttosto giocare sull’economia, campo nei confronti del quale il presidente Rouhani e il parlamento hanno decisamente più potere decisionale e che è destinato a subire i maggiori e i più rapidi cambiamenti in seguito all’alleggerimento delle sanzioni internazionali. Proprio il ritmo di questa potenziale apertura verso occidente costituisce la principale fonte di preoccupazione per l’ayatollah, il quale teme di essere sempre meno in grado di sovrintendere tale inarrestabile cambiamento e di dirigerlo nella direzione ed alla velocità da lui ritenute più consone.

Il terzo e più importante fattore che contribuisce a spiegare la grande portata del risultato delle ultime elezioni (e che riguarda Khamenei da vicino) consiste nel fatto che i moderati abbiano conquistato 15 dei 16 seggi assegnati al distretto della capitale nell’elezione dell’Assemblea degli Esperti, ovverosia l’organo – il cui mandato dura 8 anni – incaricato di nominare la guida suprema quando quella precedente muore (i risultati del resto del paese devono ancora essere resi pubblici al momento in cui scriviamo).

Il fatto che Khamenei si avvii per i 77 e soffra di cancro alla prostata significa con tutta probabilità che l’Assemblea appena eletta sarà quella a cui toccherà l’onere di nominare il suo successore. La composizione di tale Assemblea, dunque, assume un’importanza tutt’altro che trascurabile, dal momento che la sua decisione determinerà l’indirizzo politico del paese per l’intera prossima generazione.

Per quanto quindi rimanga improbabile che il mondo assista ad immediati e radicali cambiamenti nella politica e nella società iraniana nel breve periodo, il futuro dell’Iran potrebbe nondimeno essersi appena deciso con l’importante risultato di queste ultime elezioni.

Giacomo Vezzani

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