“Vi avvicinate a Ginger Baker a vostro pericolo.” Così David Fricke, direttore di Rolling Stone Magazine, nel 2012, descriveva l’allora settantasettenne batterista, che viveva in Sudafrica e allevava pony nani.
Difficile pensare a una vecchiaia più improbabile, per l’ultimo dei tre batteristi che hanno definito la batteria rock rimasto in vita (gli altri due erano John Bonham e Keith Moon, ma voi lo sapevate, vero?).
Eppure, persino per i già assurdi standard dei musicisti rock degli anni ’60, Ginger Baker ha avuto una vita assurda. Batterista fin da giovanissimo, eppure più anziano della media della scena dell’epoca (4 anni più vecchio di Jack Bruce e 6 più di Clapton), dopo aver suonato nei Blues Incorporated (dove conobbe proprio il bassista dei Cream) entrò nella Graham Bond Organisation, dove conobbe Eric Clapton, col quale fondò i Cream poco tempo dopo, e con i Cream cambiò radicalmente ciò che era una rock band all’epoca.
Lo stile di Baker, mutuato quasi esclusivamente dal jazz, era diverso da quello esplosivo di Keith Moon e da quello possente di John Bonham, che arrivarono dopo di lui e assursero a gloria maggiore morendo giovani. Proprio questa diversità, però, unita alla carriera impressionante, è ciò che lo ha reso uno dei batteristi più amati dai batteristi. Dopo i Cream, suonò sempre con Clapton negli effimeri Blind Faith (con Steve Winwood e Ric Grech dai Traffic – il loro unico album, eponimo, è una vera chicca), per poi trasferirsi in Africa e collaborare, oltre alla sua Air Force, soprattutto con Fela Kuti durante tutti gli anni ’70, suonare con i progster Hawkwind prima e Atomic Rooster poi (calzando in questo caso le scarpe di un altro illustre collega, Carl Palmer), e i jazzisti Bill Laswell, Charlie Haden e Bill Frisell.
Con l’avanzare dell’età, Baker ha cominciato a somigliare sempre di più al Grinch e si è isolato nella sua enorme tenuta sudafricana, uscendone però nel 2005 per una breve reunion dei Cream (poche date alla Royal Albert Hall di Londra). Breve per via dei rapporti diciamo non felicissimi tra Baker e Bruce, nemici-amici fin dai tempi della Graham Bond Organization. Addirittura, durante un loro concerto, Baker cercò di accoltellare il bassista. I Cream si sciolsero principalmente per via dell’acredine tra i due (e anche perché Clapton stava diventando sordo: Baker e Bruce alzavano il volume dei loro strumenti di nascosto per suonare più forte l’uno dell’altro). Poco dopo la reunion, Bruce affermò che coesistevano “felicemente su continenti diversi” ma che stava pensando di “chiedergli di trasferirsi: è ancora troppo vicino”.
Baker aveva 80 anni ed era malato da tempo. La sua morte non è stata una sorpresa, dato che le sue condizioni di salute erano peggiorate e la famiglia lo aveva annunciato. Eppure il vuoto che lascia è enorme.
È difficile sovrastimare il contributo di Ginger Baker alla batteria rock e alla storia del rock: è stato uno dei primissimi a includere assoli di batteria nei suoi concerti (allora era d’uso nel jazz, ma non nella musica pop – “Moby Dick” arriva anni dopo “Toad”), il primo a usare la doppia cassa (i metallari ringraziano), e il suo stile unico, leggero, psichedelico eppure potente, ha ispirato decine se non centinaia di picchiatori di tamburi negli anni a venire, a cominciare dal più grande di tutti, Neil Peart. Nel documentario Beware of Mr. Baker, proprio Neil sottolinea come, quando Ginger Baker divenne un batterista rock, non aveva un contesto, nessuno a cui ispirarsi: non aveva archetipi perché era lui l’archetipo.
Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus
[Immagine di copertina: cnn.com]