“El País Roto”, una storia venezuelana

Il 30 marzo 2017 il Venezuela si è svegliato con un parlamento completamente spogliato dei suoi poteri. Il primo episodio di uno scontro violento tra governo ed opposizione che, dalle aule dell’Assemblea nazionale, si è immediatamente trasferito nelle strade del paese, causando molte vittime, soprattutto tra i contestatori del presidente Nicolás Maduro.

Il documentario di Melissa Silva Franco ci conduce in profondità all’epicentro dell’attuale crisi venezuelana, attraverso le testimonianze dirette dei suoi protagonisti. El país roto narra cinque storie intrecciate di attivisti provenienti da entrambi gli schieramenti, che evidenziano lo smarrimento della popolazione, sperduta fra i resti di un governo logoro. Quello che cerca di fare la regista è abbattere la barriera che ci impedisce di penetrare nella realtà di uno dei capitoli più violenti della storia contemporanea del Venezuela. “Il mio film” – dichiara– “è un viaggio che vuole mostrare cosa sia la vita quotidiana delle famiglie venezuelane, in un paese segnato dalla rivoluzione che Hugo Chávez cominciò oltre due decenni fa. Questo viaggio si è svolto nel pieno delle proteste contro il governo del 2017, uno dei periodi più violenti della storia recente del Venezuela”.

Il documentario inizia con alcune immagini provenienti dai telegiornali locali che ci mostrano un paese devastato, nel quale manifestanti e polizia si scontrano in una lotta all’ultimo sangue. Cercando il più possibile di rimandare un’immagine completa del conflitto, il documentario presenta parallelamente i punti di vista dei militanti di entrambi gli schieramenti. Da un lato veniamo immersi nella lotta della Resistencia, un movimento di giovani venezuelani che ogni giorno percorrono le strade delle loro città per protestare contro il governo. Le loro armi? Bombe molotov e mortai fai da te. Attraverso le parole e le immagini dei giovani che la compongono capiamo di cosa si tratta e quali siano le loro motivazioni. Uno dei protagonisti è Joan Manuel, un ragazzo che sognava di diventare calciatore, ma che ora lotta contro il regime di Maduro. Joan racconta com’è uscire a manifestare, la violenza che si esercita o che si subisce, la paura di rimanere ferito o ucciso. Come in un rituale, l’ultima azione che compie prima di uscire è scriversi sul petto il numero di telefono della madre, affinché la possano chiamare immediatamente nell’eventualità in cui gli succeda qualcosa.

Parallelamente ascoltiamo anche la voce della madre di Joan, l’angoscia che prova ogni volta che suo figlio esce di casa. Sono le due facce della protesta, i giovani in strada e i genitori a casa. Diego Armando, un altro membro della Resistencia spiega infatti che si tratta di un gruppo formato principalmente da giovani tra i quindici e i vent’anni, che manifestano per la mancanza di medicine, la bassa qualità della vita, l’impossibilità di studiare, la carenza dei beni di consumo. L’obiettivo della Resistencia è far dimetter il governo e far rinascere il Venezuela. Il racconto prosegue con le voci di altri membri della Resistencia e di alcuni degli oltre sette milioni di venezuelani che il 30 luglio 2017 hanno votato contro l’Assemblea Nazionale Costituente voluta da Maduro per redigere una nuova costituzione, a cui si unisce la voce di Henrique Capriles, ex candidato alla Presidenza, attualmente interdetto per quindici anni dall’attività politica.

Dall’altro lato della barricata ascoltiamo invece le voci di alcuni dei generali della Fuerza armada Nacional Bolivariana. Uno di loro sostiene che i militanti della Resistencia non sono semplici manifestanti, ma terroristi che rappresentano un serio problema di ordine pubblico. Seguono poi le immagini delle forze dell’ordine che feriscono gravemente i manifestanti, utilizzando smodatamente armi e bombe lacrimogene. Più che le dichiarazioni dei politici alleati di Maduro, colpiscono le parole degli abitanti del quartiere “23 Gennaio” di Caracas. Questi ultimi si dicono “rivoluzionari chavisti”, che aspirano unicamente al “consolidamento del socialismo nel XXI secolo”, in dovere di portare avanti gli ideali di Chavez e orgogliosi di avere come presidente Maduro. I chavisti convinti giustificano in toto le decisioni politiche del governo, persino quelle che causano l’iperinflazione (che secondo il FMI a fine 2019 supererà il 10.000.000%), la mancanza di elettricità e di acqua potabile in alcune zone del paese, il collasso del sistema sanitario, la mancanza di cibo o il malfunzionamento del sistema di sussidi alimentari e di beni di base.

El país roto è un documentario interessante perché permette di ascoltare direttamente le testimonianze delle persone che vivono ogni giorno la realtà del governo Maduro, giacché non presenta giudizi, ma ci mette di fronte alla realtà dei fatti, dandoci gli strumenti per valutarla autonomamente. Ci mostra una parte della popolazione che sostiene apertamente il governo, nonostante la povertà a cui li ha condotti e l’eccesso di violenza che strazia il paese, ed una generazione di giovani che protestano per il loro futuro, ma che si ritrovano a dover ricorrere alla violenza per portare avanti i propri ideali in opposizione ad un governo autoritario. Guardando il documentario, troviamo sullo schermo le immagini di una guerra civile e l’unica domanda che viene in mente è: quando finiranno di soffrire queste persone? Qualunque sia il colore politico, questa situazione è evidentemente inaccettabile viste le innumerevoli violazioni dei diritti umani, che includono l’uso eccessivo della forza, omicidi, detenzioni arbitrarie, torture e maltrattamenti alle persone detenute, minacce ed intimidazioni, la limitazione della libertà di stampa, la crisi alimentare e del sistema sanitario.

 

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