Rifare la legge 194, quarant’anni dopo

Il 22 maggio 2018 ricorre il quarantennale dall’approvazione della legge 194, ovvero la norma che rese legale in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Al netto delle opinioni sull’argomento, non si può negare che questa legge abbia rappresentato una tappa fondamentale nella politica dell’Italia repubblicana: emanata dopo un lungo e accidentato percorso, è andata di fatto a legalizzare e normare una pratica ampiamente diffusa in tutta Italia.

Il tema della legalizzazione dell’aborto, rimasto sullo sfondo del dibattito politico per il periodo precedente all’approvazione della legge, salì definitivamente alle cronache ad inizio ’75, grazie all’azione del Partito Radicale che, dopo aver fortemente promosso il No al referendum sul divorzio dell’anno precedente, mirava ad ottenere un’altra grande vittoria su una battaglia di carattere etico. La miccia che aprì definitivamente l’arena politica fu l’arresto dell’allora segretario del partito, Gianfranco Spadaccia, della segretaria del CISA Adele Faccio e di una giovane militante dei Radicali di nome Emma Bonino, accusati di aver praticato aborti.

L’Italia degli anni Settanta pareva essere leggermente più sensibile sul fronte delle mobilitazioni politiche rispetto a quella dei giorni nostri e, a seguito di questi arresti, iniziarono massicce manifestazioni e si accese un profondo dibattito pubblico sull’argomento. Necessario perciò probabilmente, riguardo questa discussione, fare due precisazioni.

Per prima cosa, ad alzare la voce non furono presunti opinionisti, nemmeno social influencer o tweet star presunto-sagaci. Il botta e risposta che si generò coinvolse alcuni tra i più importanti pensatori italiani del Dopoguerra, da Pasolini (contro-IVG) ad Italo Calvino, Elsa Morante e Alberto Moravia (a favore) che si mossero all’interno di una vera e propria diatriba etica e filosofica costruita tra le colonne dei più importanti quotidiani nazionali.  La genesi di quella legge non deriva quindi da un’opinione pubblica disinformata o disattenta ma, al contrario, da un pensiero organico e ben preciso. Per intenderci: il ruolo di Pasolini potrebbe essere stato ereditato da Ferrara e quello di Calvino da Serra, tipo. E questi non sono necessariamente i nomi peggiori.

I secondo elemento d’interesse è dato dalla composizione politica dei fronti: la spaccatura non seguì, così come avvenuto per il divorzio, il solco tradizionale di scontro tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, al contrario si ebbero numerose voci di “dissenso interno”, dal già citato Pasolini fino all’intellettuale Cattolica Adriana Zarri che aprì all’ipotesi di legalizzazione dell’IVG. Anche questo per dimostrare che il dibattito di quei mesi seguì una logica diametralmente opposta rispetto al fanatismo odierno e, in quel contesto, quella legge era, forse, una sintesi molto fedele delle opinioni degli italiani, di quel misto bianco-rosso (con indelebili tinte di nero) che ha contraddistinto l’Italia del Dopoguerra.

Ma, appunto, i costumi, i modi di pensare e le opinioni della società cambiano e forse, a distanza di 40 anni, servirebbe (ma probabilmente sarebbe difficile) riaprire un dibattito serio sul tema perché, oggettivamente, la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza non funziona. E non lo fa per il motivo più lampante: l’obiezione di coscienza.

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Nell’immagine chiari dati sull’inefficacia della 194. Fonte: UAAR.it

Non funziona perché in definitiva scontenta entrambe le parti e, soprattutto, fa assumere allo Stato un preoccupante ruolo di subalternità rispetto al volere soggettivo (e non necessariamente cattolico).

Se Pasolini diceva, negli editoriali diventati gli Scritti Corsari:

Ma questa libertà del coito della “coppia” così com’è concepita dalla “maggioranza” – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, ha cambiato la loro natura.

È altrettanto vero che questa completa libertà è quella che si manifesta nell’obiezione di coscienza: è il singolo, in base alle proprie credenze, la propria fede o il proprio tornaconto personale che decide per se stesso e per gli altri. E, in definitiva, per lo Stato e soprattutto per l’Altro. E che cosa c’è di più consumista e falso-libertario del decidere delle vite degli altri? Del fatto che il singolo possa decidere sui molti?

Se da una parte questa discrasia è quantomeno comprensibile, nella realtà delle cliniche private la situazione diventa assolutamente paradossale nella componente pubblica di un Sistema Sanitario come quello italiano dove lo stato eroga direttamente (o comunque attraverso le Regioni) la prestazione cittadino: il soggetto titolato a legiferare e a organizzare il servizio, lascia la piena autonomia ai propri dipendenti, fintanto che lo Stato arriva ad abiurare dal suo ruolo di regolatore del sentimento collettivo e dal suo compito di sintesi e si rimette, perfino in un servizio così fondamentale come quello sanitario, alla coscienza di un singolo uomo.

Ma forse, a ben vedere, l’inclusione dell’obiezione di coscienza all’interno è tutt’altro rispetto ad un fragile compromesso: la definizione stessa obiezione di coscienza (art. 9 legge 194/78) è presa in prestito da una locuzione prettamente militare: l’obiettore di coscienza era colui che, per motivi religiosi, di fede o morali, non intendeva prendere parte ad azioni di guerra che potessero portare all’uccisione di altri esseri umani. In sostanza, il legislatore dell’epoca si sta implicitamente esprimendo sul suo pensiero a riguardo dell’IVG.

E questo avvalora l’idea che l’impianto debole della legge fosse intenzionale, ma non solamente nel senso in cui si intende la 194/78: si è deciso di creare una legge “monca” per quietare gli animi, anche quelli non apertamente contrari all’associazione ideale dell’IVG con l’uccisione di un essere umano. Infatti questa è forse una sfaccettatura ulteriore del periodo storico, gli Anni di Piombo, dove la DC non poteva permettersi un altro ribaltone dopo  la sconfitta sul divorzio e dove la stabilità della “forza di mezzo” era il primo bene da tutelare. Anche a costo di sacrificare innocenti.

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Non di solo 194 vive il ’78. Agguato di via Fani, fonte: Wikimedia

E se la Prima Repubblica era capace di questi capolavori gattopardeschi, l’attuale clima politico non ha abbandonato questa posizione di remissività: la legge sul Biotestamento approvata negli scorsi mesi, ad esempio, consente di contraddire la volontà del paziente così come scritta poiché secondo l’articolo 6 “il medico non ha obblighi professionali” e, contestualmente, si mantiene l’illiceità ossimorica del suicidio.

Sarebbe forse auspicabile che, finalmente, su temi così intimi ci si rifacesse direttamente alla volontà della popolazione intesa come Comunità e, una volta appurato l’orientamento morale, si procedesse a il sancire una legge forte, chiara e, soprattutto, vincolante. La cattolicissima Irlanda ad esempio, dove oggi l’aborto è illegale, terrà referendum in data 25 maggio proprio su questo tema e, dopo la votazione, il Legislatore non potrà che disporre una legge insindacabile, da una parte o dall’altra.

Per questo motivo, a 40 anni da una legge a suo modo epocale, sarebbe una svolta altrettanto storica utilizzare questo anniversario per rimettere tutto in discussione e rilanciare l’idea della collettività e della sua predominanza rispetto al singolo, rispetto al safe-made-man turbo liberista (di cui i Radicali erano grandissimi promotori, per altro): perché è forse terribile che la massa decida per il singolo, ma è ancora più terribile che il singolo (in questo caso il dottore) sia legittimato a decidere su qualcun’altro.

Ovviamente il sogno sarebbe un dibattito informato e profondo sul tema, con commenti informati e pensati ed elaborati. Con i cittadini che si formano un’opinione strutturata e disinteressata ascoltando una pluralità di opinioni. Sarà questa la Terza Repubblica?

Probabilmente no. Fonte: L’Espresso e gli obiettori di coscienza.

Andrea Armani

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