Quando ho guardato per la prima volta “2001 Odissea nello spazio”, sono rimasto incastrato nel dibattito attorno a cosa realmente rappresentasse il monolite presente nel capolavoro di Stanley Kubrick. Rappresentava la coscienza del genere umano? Oppure era il prodotto di una etnia aliena dal quoziente intellettivo superiore al nostro? Oppure, come molti “visionari” avevano visto, era una sorta di biblico tavolone della legge in salsa fantascientifica, costruito da mani divine per continuare a farci il cazziatone anche durante la conquista dello spazio, sempre per ricordare chi comanda realmente? Insomma, come molti, non sono mai riuscito a trovare una spiegazione ad uno dei misteri che continua a tormentare cinefili e non di tutto il mondo. Solo un altro oggetto paragonabile al monolite nero circa le sue reali funzioni continua a segnare l’evoluzione della mia esistenza: il ferro da stiro.
Il ferro da stiro è uno di quei fenomeni della vita terrena che ancora non sono riuscito a comprendere. O meglio, in teoria ho capito quale causa sociale dovrebbe servire, ma alla “veneranda” età di 26 anni lo vedo con un mix di sentimenti che mescolano odio profondo ad un’indolenza degna del miglior trequartista balcanico. A volte guardo un ferro da stiro nella stessa maniera in cui Stalin guardava Trotsky: la mia personale reinterpretazione del “nemico del popolo” applicata ad un elettrodomestico. La mia avversione nasce anche da un incidente avvenuto durante l’infanzia, quando mia madre decise di provare ad avviarmi alle fatidiche responsabilità della vita assegnandomi la stiratura di una delle sue lenzuola. Totalmente ignaro del come funzionasse la cosa (oltre ad essere scemo di mio), pensai che il metodo migliore per la stiratura fosse lasciare l’apparecchio per minuti e minuti su una parte del lenzuolo: la mia mente elaborava così l’unico metodo per combattere un nemico spietato e astuto come la “famigerata” PIEGATURA. Inutile descrivere la fine che quel lenzuolo bianco fece: menziono solo le innumerevoli bestemmie e i calci nel sedere che la signora Fatima mi rifilò in quel pomeriggio autunnale (forse la fine dell’età dell’innocenza?)
Il primo impatto con quello strumento demoniaco fu quindi subito all’insegna dell’antipatia, premessa di un rapporto mai decollato, fatta di inimicizia e, con il passare degli anni, in menefreghismo. La frattura poi assunse anche contorni politico-ideologico durante i giorni della ribellione adoloscenziale: il mio outfit riassumeva tendenze anarcoidi-grunge-hiphoppettare, e questo giocare a fare lo sbandato anche attraverso la moda non poteva non mettermi in contrasto ancora con lui. Tra un cd dei Sangue Misto e gitarelle romane al concertone del primo paggio, il ferro da stiro assunse i classici connotati dello strumento per asservire le masse di operai, contadini e studenti al ferreo controllo dell’imperialismo fighetto-modaiolo: uno strumento che il settore della moda usava per dettare le regole del buon gusto da seguire, in quanto questo era apparentemente vitale per non farti fare la figura dello straccione nelle occasioni importanti della vita. La mia personale lotta di classe contro i marchi della moda e la loro perfida arma di distruzione di massa assumeva contorni talmente accesi di radicalismo ideologico che quando mia madre lottava contro la mia apparente “mancanza di stile” provando a stirarmi il vestiario. A fatto ormai compiuto improvvisavo “tribunali del popolo” per mettere costringere mia madre all’autocritica, cosa che non è mai avvenuta e anzi, più volte sono stato mandato in mona.
L’uscita di scena dell’adoloscenza e l’arrivo della maturità(?) hanno smussato il mio ardore ideologico, ma non le mie ferme convinzioni sull’inutilità del ferro da stiro. Tutt’ora, nella mia concezione dell’estetica, porto avanti con convinzione il fatto che stirare comporta solo uno spreco di tempo ed energie assolutamente inutile: a che serve perdere giornate e giornate intere in una lotta che non vincerete mai, quando pochi minuti dopo i vostri abiti saranno nuovamente stropicciati? Pensate a tutto quello che potreste fare e che invece vi state clamorosamente perdendo per colpa di questa attività fuorviante (e inquinante): potete andare al parco a godervi una giornata di sole, o leggere un buon libro, oppure scendere al baretto sotto casa e sorseggiare amabilmente un buon campari-cynar. Il fatto che i vostri vestiti non saranno stirati non farà di voi degli sciattoni: se un vestito è bello, così rimane, anche se non vi accanite con un arnese da quasi 200 gradi. Tanto è già stato dimostrato ampiamente che anche la sciattoneria può diventare la mania dei fashion victims, quindi il problema è risolto in partenza. Non vi piacciono proprio le pieghe? Ci sono tanti altri metodi per domarle: sopra alla camicia o alla t shirt indossate il maglione e la giacca quando fa freddo; quando fa caldo, semplicemente mostrate le vostre pieghe come simbolo della vostra libertà (o pigrizia).