atlantico festival

Atlantico Festival in cinque brani

Cinque domande e cinque brani che rappresentano Atlantico Festival (22 e 22 settembre 2018, TPO, Bologna), descritti da Federico de Felice, ideatore e organizzatore.

Diggs Duke – Dedicated to the Legendary Hasaan: L’eclettico compositore di Gary, Indiana (la città di Michael Jackson) con un brano in tributo al pianista jazz Hasaan Ibn Ali. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1) La prima domanda, la più scontata: che cos’è Atlantico Festival?

Atlantico è nato circa un anno e mezzo fa, quando ho colto l’occasione per creare un evento all’interno di un progetto per un esame all’università. Successivamente ho coinvolto Cristian Adamo, co-fondatore dell’etichetta Original Cultures, con il quale condivido una passione per le musiche nere e meticce e Katia Golovko, grande esperta di cinema africano.
Cerchiamo, quindi, di proporre artisti anche molto diversi tra loro, legati però musicalmente da un rapporto più o meno stretto con il continente africano e con le afro-diaspore.
Uno degli obiettivi di Atlantico è anche quello di valorizzare i musicisti della scena bolognese, che sono spesso relegati a piccoli locali o ai club per intenditori. Ad esempio, abbiamo deciso di ospitare Fawda e Kalifa Kone Ensemble.
I nostri ospiti internazionali, gli inglesi Ezra Collective, sono invece rappresentativi di un’identità composita dove jazz, radici africane, sonorità elettroniche ed hip-hop si mescolano.
Quasi tutti questi musicisti affiancano alla musica l’attività didattica (persino Femi, batterista degli Ezra Collective), lavorando per garantire una continuità al proprio sapere e trasmettendo a giovani e meno giovani una passione per questi generi musicali che raramente si trovano in radio o in televisione, dove la cultura “ufficiale” è prodotta.
È un progetto ambizioso nel quale Cristian, Katia, io e la squadra di TPO abbiamo investito il nostro tempo e le nostre energie. Certo, non siamo riusciti a fare tutto quello che volevamo, ma quello dipende dai soldi che (non) hai: per questo, una volta annunciato il Festival, abbiamo aperto un crowdfunding, attraverso il quale si può supportare Atlantico, acquistando i biglietti, magliette e shopper. 

Ezra Collective – Space Is The Place: La punta di diamante di Atlantico, direttamente da Londra, con una cover di Sun Ra.

 

 

 

 

 

 

 

2) Come mai il nome Atlantico?

Il nome Atlantico si ispira a un libro pubblicato all’inizio degli anni Novanta, The Black Atlantic di Paul Gilroy, sociologo inglese di origini caraibiche, nel quale è teorizzato il concetto di “diaspora nera”, che ingloba le esperienze della schiavitù, del colonialismo e della discriminazione razziale che hanno coinvolto Africa, Europa, Americhe e Caraibi nel corso della storia. Gilroy rintraccia nelle culture diasporiche, e soprattutto nella musica, una “persistenza africana”, che viene individuata come lo strumento di resistenza e liberazione contro la violenza fisica e simbolica subita.
Allo stesso tempo, Gilroy scopre un’identità diasporica, composita, transnazionale che lega tutti quei territori, quelle minoranze e quegli individui che hanno subito l’esperienza del colonialismo e che sono accomunati da una storia di emigrazione, esclusione, razzismi e diaspore.
L’intento del Festival è simile a quello di Gilroy: cercare di capire e raccontare la cultura nera, senza semplificare i percorsi e le storie che l’hanno attraversata e forgiata.
The Black Atlantic ha avuto il grande merito di scardinare un’idea egemonica di identità e cultura: si può essere neri ed inglesi, come – estendendo l’assunto – si può essere italiani pur essendo nati in Africa. Ed è centrale il ruolo della cultura nella rivendicazione di uno spazio dove queste identità possono esprimersi, mantenere le proprie specificità, senza essere risucchiate o cancellate da una Britishness (o da un’italianità?) razzializzante.

Nilamayé – Los Negritos: Fantastico gruppo afro-colombiano con un brano uscito sul disco d’esordio “Las Flores del Sol”. 

 

 

 

 

 

3) Possiamo definire Atlantico Festival come una strategia di resistenza politica?

Il primo intento di Atlantico è divulgativo: fare conoscere generi musicali e film quasi completamente esclusi dai circuiti “mainstream” o ufficiali.
Di sicuro, in un momento politico come questo è necessario attuare delle strategie di resistenza politica, sociale e culturale. Non siamo neutri, non lo si è mai.
Atlantico è nato prima delle ultime elezioni, ma risponde a un clima generale che c’è in Italia e che non nasce certo col nuovo governo, il quale però sembra quasi rivendicarlo fieramente ed esplicitamente.
Se più persone fossero interessate a capire cosa è stato il colonialismo, il neo-colonialismo, e in quali altre modalità la “maggioranza” esercita violenze sull’Altro, forse non saremmo nella situazione disastrosa in cui ci troviamo. È un’azione che deve essere fatta nel quotidiano: anche solo capire che, a seconda dei contesti, si fa sempre parte di una “maggioranza” e ciò non legittima nessuna discriminazione sarebbe un bel punto di partenza.

Minyanta – Ansumana: Un bellissimo progetto che unisce musicisti inglesi e del Gambia. Il bassista Huw Bennett ha pubblicato un disco con il nome “Susso – Keira”, forma embrionale di Minyanta.

 

 

 

4) In questo contesto, anche la scelta del TPO è una strategia di resistenza?

La scelta del TPO è dovuta a due motivazioni: in primo luogo è uno spazio grande e può ospitare diverse attività, come la proiezione dei film e i concerti. E poi, soprattutto, è uno spazio autogestito, all’interno del quale sono attive realtà come, per fare un esempio, YaBasta, le cui attività coinvolgono migranti e cittadini stranieri. Cristian, Katia ed io dialoghiamo e ci confrontiamo quotidianamente con Flavia e Rossella che si occupano della gestione degli eventi culturali al TPO e che si sono mostrate entusiaste sin da subito.

Richard Seydou Traoré – Katougou: il padre della regista di Ouaga Girls è un musicista e questo brano del 1977 è contenuto nella colonna sonora del documentario.

 

5) Quali sono i rischi che si corrono organizzando un festival come Atlantico?

Il rischio è di parlare al posto di qualcun altro.
Per quanto ognuno di noi abbia una conoscenza più o meno approfondita di queste culture – che per molte persone sono culture lontane – si rischia sempre di rappresentarle parzialmente, ritraendo l’Altro in modo univoco, senza tenere conto delle storie, dei problemi, delle volontà e dei desideri di ogni individuo. Sappiamo che è un aspetto su cui bisogna lavorare costantemente, rendendo, ad esempio, più accessibile il Festival alle persone appartenenti alle minoranze coinvolte e rappresentate, e collaborando con loro nella creazione dell’evento: sarà sicuramente qualcosa su cui continueremo a lavorare dopo questa prima edizione.
In particolare, i film che proponiamo cercano di presentare un ventaglio di esperienze diverse. Ad esempio, Ouaga Girls, il documentario di Theresa Traore Dahlberg, regista cresciuta tra Svezia e Burkina Faso, racconta intimamente le vite di un gruppo di ragazze che seguono una formazione a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, per imparare a lavorare in carrozzeria. L’unica testata italiana che ha parlato di questo documentario è stato Il Giornale: l’autore dell’articolo ha usato come pretesto il soggetto del film, scrivendo un sacco di falsità ed inesattezze e, allo stesso tempo, facendo dell’hate speech nei confronti dei migranti. In sostanza, affermava che i migranti che vengono in Europa sono dei cialtroni, rispetto alle ragazze del documentario che si danno da fare e restano in Africa!

Appuntamento, dunque, con la prima edizione di Atlantico Festival sabato 22 e domenica 23 settembre al TPO (via Casarini17/5) di Bologna.

 

Sofia Torre

 

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