La Serbia e Belgrado non vogliono affogare

Dopo che un ventennio di guerre fratricide e di safari democristiani ne hanno cancellato il passato socialista e terzomondista, cosa accade oggi in Serbia? Il governo di Aleksandar Vučić è legato al riposizionamento del paese nella geopolitica internazionale. Un ruolo di primo piano è ricoperto dalla capitale, Belgrado, e dai progetti di riqualificazione urbana che la interessano. Progetti rivolti a un pubblico di superricchi e che sono imposti a una popolazione sfiduciata e indifferente. Ma non tutti sono d’accordo con chi vuole mettere le mani sulla Città bianca: un gruppo di attivisti sta cercando di non far affogare Belgrado nel cemento e nel malaffare. Il loro nome è Ne Davimo Beograd e questa è la loro storia.

La Serbia ai tempi dell’imprenditor Vučić

Chi ha visitato la Serbia nel corso degli anni ‘70 e ‘80 ricorderà certamente il cortocircuito politico per il quale la Repubblica Socialista Federale Jugoslava si trovava, anche nel quotidiano, a un costituire un “terzo mondo” tra l’Europa capitalista e i territori dell’URSS. La generazione nata tra gli anni ‘50 e ‘60 ricorda con nostalgia questa peculiare via di mezzo, che aveva consentito la diffusione di un certo grado di benessere tra la popolazione.

Nonostante i conflitti degli anni ‘90 e le liberalizzazioni degli anni ‘00, la Serbia non ha perso questa posizione. Anzi: il progressivo rallentamento delle politiche di inclusione nell’eurozona da parte dell’Unione Europea, l’eredità logistica e militare socialista e l’importanza internazionale dell’area geopolitica dei Balcani, hanno segnato un aumento dell’interesse di stati, multinazionali e gruppi di investimento nei confronti dello stato serbo.

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Un’illustrazione di una brochure turistica degli anni ’60. (Katarina Duvnjak)

Belgrado occupa un ruolo preminente nel futuro del paese. La Città Bianca è al centro dei piani del governo in carica, guidato dal Partito Progressista Serbo (SNS) di Aleksandar Vučić, dei gruppi stranieri come Eagle Hills/Emaar Properties (Emirati Arabi), AFI Europe (Israele), ENI e FCA (Italia) o Gasprom (Russia), nonché delle intelligence ed eserciti (NATO/US e nuovamente Russia). La capitale rischia così di trasformarsi in un luna park delle speculazioni finanziarie e immobiliari con i vantaggi di essere un raccordo fisico verso l’Europa, la Russia, il Vicino Oriente, la Turchia.

Da questo complesso insieme di interessi e influenze reciproche nascono i progetti del Belgrade Waterfront e dello Skyline Belgrade: due interventi macroscopici di riqualificazione urbana che intervengono con forza sul tessuto urbanistico e architettonico. Annunciati nel 2014 e nel 2015 e avviati ufficialmente nel corso degli ultimi due anni, i due piani sono imposti dal governo nazionale e locale con leggi straordinarie e realizzati con l’intervento dei capitali stranieri arabi e israeliani. La sensazione è che Belgrade Waterfront e Skyline Belgrade debbano essere realizzati a ogni costo, nonostante l’assenza di un confronto con la popolazione e di ogni forma di trasparenza in merito a investimenti, gestione, futuri fruitori di questi luoghi – in larga parte indirizzati a un pubblico di superricchi.

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La Serbia sarà interamente attraversata da uno snodo del South Stream, il gasdotto in via di realizzazione da parte di Gazprom che rifornirà gran parte dell’Europa. Contro di esso si schierano i NoTap. (Wikimedia)

Da tre anni un fervente gruppo di attivisti coordina e coinvolge gli abitanti di Belgrado e coloro che tengono alla capitale in una critica chiara e irremovibile ai progetti che investono la città, proponendo riflessioni e azioni che costituiscono una sfida al potere politico ed economico rappresentato dal presidente Vučić. Il loro nome è Ne Davimo Beograd e il loro obiettivo è chiaro: salvare la città bianca e non lasciarla annegare tra speculazione e malaffare.

Lo stato più balcanizzato

4 maggio 1980. Muore il maresciallo Tito, Josip Broz. L’uomo che, attraverso una vita e l’instaurazione di un regime comunista sui generis, aveva realizzato un piano impossibile: riunire i popoli jugoslavi sotto un’unica bandiera e con una precisa filosofia, la teoria della Братство и једниство. Le tesi della Fratellanza e Unità non avevano però risolto la complessa questione nazionale.

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Il maresciallo Tito in una fotografia del 1942. (Wikimedia)

Le cause dei conflitti jugoslavi, che si svilupperanno con virulenza dalla morte del maresciallo, sono estremamente eterogenee. Finanziarie, politiche, etnico-religiose, influenzate da entità straniere. Soprattutto, già poco dopo la morte del maresciallo, fu il nazionalismo imperante in Serbia, Croazia, Kosovo e, in misura minore, in Slovenia e nelle altre regioni della Federazione a essere la principale causa della fine dell’esperienza della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e della sua unità.

Gli anni ‘90 e i loro conflitti sono stati segnati da molteplici episodi di violenza: pulizie etniche, brutalità gratuite contro civili e altri crimini di guerra sono stati compiuti senza che né i reparti militari inviati da ONU e NATO, né i politici dell’Unione Europea rompessero un omertoso silenzio. Tra le poche intromissioni vi sono i bombardamenti di Belgrado: un’ennesima scelta scellerata, che ha rafforzato i movimenti ultranazionalisti serbi e ha diffuso un vivo sospetto verso le istituzioni europee e più in generale occidentali.

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La Serbia e le sue regioni autonome: a nord la Voivodina, a sud il Kosovo. (Wikimedia)

Gli esiti bellici determinano un definitivo collasso della situazione serba, che assume delle peculiarità preoccupanti. Il paese è il maggiormente colpito dalla cosiddetta balcanizzazione: il 3 giugno 2006 perde ufficialmente il Montenegro, mentre il Kosovo si autoproclama indipendente il 17 febbraio 2008. La regione è attualmente riconosciuta come Stato da 115 Stati membri dell’ONU (tra cui tre membri permanenti del consiglio di sicurezza: Stati Uniti, Francia e Regno Unito) mentre 51 dei rimanenti 82 (tra cui altri due membri del consiglio di sicurezza, Cina e Russia, e cinque Paesi dell’Unione europea) si sono dichiarati contrari al riconoscimento. Attualmente la Serbia riconosce il Kosovo esclusivamente come una propria provincia autonoma, al pari della regione della Voivodina. Il Montenegro è invece un paese autonomo in seguito a un referendum, tenutosi il 21 maggio 2006, il cui quorum è stato raggiunto di misura – il 55,49 % dei votanti si è espresso a favore dell’indipendenza, sebbene sul voto si avanzino dubbi di brogli e di ingerenze internazionali. Il neonato stato ha avviato i negoziati di adesione all’UE il 29 giugno 2012 e già adotta l’Euro come moneta, mentre con una procedura-lampo è diventato membro della NATO il 28 aprile 2017.

Un nazionalismo dal volto speculativo

I governi succeduti a Slobodan Milošević nel corso degli ultimi 17 anni hanno applicato un processo di deregolamentazione del lavoro e di progressiva liberalizzazione in materia finanziaria. Scopo di tali manovre è di sfruttare al meglio la progressiva perdita di slancio delle politiche di allargamento dell’UE riguardo gli stati dell’ex Jugoslavia. Tali misure sono state però condotte mantenendo l’impianto socialista nel settore dei servizi pubblici (specialmente sanità ed educazione), in modo da preservare una certa pace sociale presso la popolazione.

La Serbia si è così trasformata in una meta della speculazione lavorativa e finanziaria che, a seguito anche dell’ingresso-lampo del Montenegro nell’Alleanza Atlantica, ha cominciato ad attrarre i capitali di altri attori internazionali: Turchia, Cina, Russia, petromonarchie del Golfo e persino Israele. A giustificare questo interesse internazionale è il riconoscimento della Serbia quale stato-chiave per l’egemonia sui Balcani.

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Il logo del Partito Progressista Serbo.

Lo è non solo per le motivazioni economiche sopracitate, ma anche perché si tratta della nazione dotata dei servizi segreti e delle forze armate più strutturati e meglio organizzati. È a ciò chi si devono l’ammorbidimento dei toni nei confronti di Belgrado da parte degli statunitensi, l’omertà dell’Unione Europea verso le limitazioni della libertà d’espressione e d’inchiesta, gli investimenti esteri di grandi aziende russe, medio-orientali, cinesi e anche europee (tra le italiane ricordo Fiat Chrysler Auto e ENI).

In questo contesto si inserisce la figura di Aleksandar Vučić. L’attuale presidente serbo è stato eletto con maggioranza inequivocabile durante le elezioni dell’aprile 2017. Il partito del presidente è il Partito Progressista Serbo (SNS), una realtà che ha saputo abilmente cogliere le simpatie dell’elettorato nazionalista, degli scontenti della politica democristiana e liberale dell’immediato dopoguerra e, infine, della nuova imprenditoria e borghesia serba che avevano i loro interessi nell’unire gli investimenti locali con i finanziamenti e i capitali stranieri. Un risultato raggiunto attraverso una propaganda che ha presentato l’attuale presidente come la figura che sbarrasse la strada a ogni pericolo di deriva nazionalpopulista e antieuropea e, contemporaneamente, come valorizzatore della Serbia nel mondo. Inoltre è importante ricordare come una gran parte dei media mainstream siano direttamente controllati o sia di proprietà di sostenitori del SNS.

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Aleksandar Vučić ritratto durante una visita al Pentagono nel dicembre 2012. (Wikimedia)

Se a questi elementi si somma un’abile personalizzazione della politica locale, attraverso la quale Vučić sta mediando tra spinte esterne e interne, si comprende come l’attuale governo sia gradito a gran parte delle realtà internazionali. Ciò nonostante, è necessario evidenziare come il SNS stia rafforzando un’oligarchia il cui agire politico è lontano da un miglioramento complessivo delle condizioni di vita della popolazione. Le condizioni e gli standard qualitativi della vita sono e restano, infatti, notevolmente più bassi di qualsiasi paese dell’eurozona: i beni di prima necessità presentano ancora oggi costi minimi, mentre i beni di consumo presentano costi spesso superiori a quelli europei.

Belgrado

Il futuro della Serbia passa per la sua capitale. La Città Bianca occupa un ruolo peculiare nel complesso quadro geopolitico contemporaneo. Nonostante i dieci anni di guerra e i successivi anni di vuoto e speculazione politica, sia nazionale che locale, questa mantiene intatto un raro fascino storico, architettonico e paesaggistico.

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Il panorama dal castello di Belgrado durante un tramonto autunnale. La Città Bianca sorge nel punto d’immissione della Sava nel Danubio. (Dario Oropallo)

Il quartiere adiacente il castello, la parte più antica della città, è caratterizzato da ampie vie che oggi ospitano le grandi catene dello shopping europee e russe. Passeggiandovi ci si sente a via Condotti, sugli Champs Elysees oppure a Regent Street, mentre nelle strade secondarie è possibile ammirare palazzi e piazze storiche medievali, oggi abitate da un’alta borghesia desiderosa di consumi. Ai quartieri più ricchi si affiancano i quartieri del divertimento notturno, per lo più localizzati nei pressi del lungofiume, e quelli di origine socialista. Alla seconda categoria appartiene Novi Beograd, che sorge a ovest della città storica. Lì si trovano la maggioranza delle sedi universitarie, volutamente allontanate dal centro cittadino per minimizzare eventuali opposizioni studentesche. Queste aree sono separate dalla Sava, sulle cui rive orientali si trova(va) il quartiere di Savamala.

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A sinistra il Generalštab, in una foto di Federico Sicurella del maggio 2014. L’edificio è ancora in questo stato e secondo alcuni resterà così, come memoria storica dei bombardamenti NATO.

Il panorama complessivo presenta una commistione tra edifici brutalisti, case rurali risalenti ai primi del Novecento, palazzoni realizzati nel corso delle ondate speculative pre-belliche, oggi per lo più abbandonati, vaste aree incolte da edificare e addirittura ampie zone boscose. È inoltre possibile incappare nelle ferite della guerra e dei bombardamenti NATO: una parte degli edifici bombardati è, in realtà, oggetto di presunti piani di riqualificazione e ristrutturazione che sembrano ancora lontani dall’avviarsi. Non manca un macabro e crescente settore turistico legato alle visite di questi luoghi.

Al di fuori del centro storico la qualità della vita dei belgradesi diminuisce drasticamente. Nonostante la speculazione finanziaria e il rapido aumento dei costi dei beni di consumo, i costi dei beni primari e il paniere della spesa sono adeguati a uno stile di vita povero e al di sotto del livello medio dell’UE. Il sistema dei trasporti locali, basato per lo più su bus e tram, è complessivamente di scarsa affidabilità. Una metropolitana è attualmente in via di progettazione, ma anche il suo percorso si intreccia fortemente con investimenti illeciti legati al Belgrade Waterfront. Per cause speculative, inoltre, gran parte delle strade è spesso oggetto di lavori di ammodernamento.

L’ombra della speculazione

Belgrado è oggetto di grossi investimenti, in particolare di carattere immobiliare. I principali progetti attualmente in fase di realizzazione sono il Belgrade Waterfront e lo Skyline Belgrade, rispettivamente finanziati attraverso accordi tra la Serbia e le multinazionali Eagle Hills e AFI Europe.

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Eagle Hills e Afi Europe sono i due gruppi immobiliari dietro i progetti del Belgrade Waterfront e dello Skyline Belgrade.

La Eagle Hills è una società di investimenti immobiliari con sede ad Abu Dhabi, Emirati Arabi. Investe soprattutto nei paesi della penisola araba (gli stessi Emirati, Bahrain), nel vicino Oriente (Giordania) e nel Maghreb (Marocco), oltre che in Serbia. Si tratta di una costola della Emaar Properties, una società di beni immobiliari e investimenti finanziari presente in 36 mercati tra Medio Oriente, Maghreb, Asia, Europa e Nord America. Di sua proprietà è il Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. Il progetto Skyline Belgrade è invece finanziato dalla AFI Europe, una holding internazionale che agisce soprattutto nel campo immobiliare e finanziario. Questa fa capo alla Africa Israel Investement LTD. (AFI Group), che ha sede a Yehud, Israele.

Il progetto del Belgrade Waterfront insiste su larga parte del quartiere Savamala. Il quartiere costituiva, fino a qualche anno fa, un’area dimenticata dalle autorità, ma che era stata parzialmente riscoperta da una parte degli abitanti di Belgrado. I numerosi edifici abbandonati erano stati lentamente occupati e si era avviato uno spontaneo processo di rinnovamento che coinvolgeva giovani, studenti, piccole attività indipendenti. L’imposizione del progetto ha posto fine a qualsiasi sviluppo alternativo. Al di là degli interessi economici, l’obiettivo di fondo è di cancellare un’impressionante serie di tentativi di riqualificazione urbana falliti. Annunciato nel 2014 in una conferenza stampa congiunta da Aleksandar Vučić, allora solo presidente del consiglio, e Mohamed Alabbar, CEO di Eagle Hills ed Emaar Properties, il progetto prevede la costruzione di uffici, appartamenti di lusso, Belgrade Park e la strada di shopping di lusso Sava Promenada, due hotel a cinque stelle, il centro commerciale Belgrade Mall e la Belgrade Tower.

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Il quartiere di Savamala (in verde) confrontato con l’area in cui insiste il progetto del Belgrade Waterfront (in rosso). Il cantiere attualmente si estende per circa 90 ettari. (Dario Oropallo)

In particolare hanno suscitato un numero crescente di critiche la mancanza di qualsiasi processo di consultazione e partecipazione pubblica degli abitanti dei quartieri e della città (spesso apertamente ostacolata). I realizzatori, il governo nazionale e l’amministrazione locale sono accusati di scarsa trasparenza, in particolare in merito alla gestione delle risorse e nella ripartizione delle spese. Inoltra si denota l’adozione di un modello di sviluppo urbano insostenibile e che non considera minimamente i bisogni della maggioranza degli abitanti della città. Per realizzarlo, infine, si ricorre a strumenti legali straordinari quando non dichiaratamente illegali. A ciò si aggiungano i numerosi sospetti di riciclaggio di denaro e corruzione.

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I lavori del Belgrade Waterfront sono cominciati ufficialmente nel 2015 e, attualmente, solo le BW Residences – le due torri di venti piani a scopo residenziale di lusso che vedete in foto – sono state parzialmente edificate. (Silvia Maraone)

Esemplificativo, in tal senso, è quanto accaduto durante la notte del 24 aprile 2016. Poche ore dopo la pubblicazione dei risultati preliminari delle elezioni parlamentari anticipate – le urne avrebbero riconfermato il governo del SNS con una maggioranza assoluta – una quarantina di persone vestite in modo da non essere identificabili e armati in vario modo si sono riunite in un’area composta da edifici non abitati e solo parzialmente inclusi nel perimetro del cantiere del Belgrade Waterfront. Mentre alcune ruspe demolivano gli edifici che vi sorgevano, questi individui si preoccupavano di allontanare anche con la forza curiosi, giornalisti, abitanti della zona. Nonostante le richieste di aiuto e di intervento delle forze dell’ordine, queste non intervennero.

Agli atti di forza espliciti si affiancano forzature legali di ogni genere: l’approvazione della cosidetta ‘Lex Specialis’, una legge paragonabile allo Sbloccaitalia approvato dal governo Renzi, dedica un comma apposito agli sgomberi abitativi e ha consentito di procedere alla demolizione di qualsiasi edificio nell’area in cui insiste il progetto e nelle immediate vicinanze.

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Il corteo organizzato da Ne Davimo Beograd nel maggio del 2016. Secondo i media nazionali serbi vi avrebbero preso parte solo “poche persone”. (foto di Ne Davimo Beograd)

Ne Davimo Beograde

È in questo contesto che nasce Ne Davimo Beograd. Un gruppo che muove dal desiderio, da parte di abitanti del quartiere di Savamala e di Belgrado, di contrastare e reagire ai ripetuti casi di illegalità e all’imposizione del progetto. Attraverso un’efficace campagna di movimentazione e di comunicazione, costruita sia attraverso mezzi tradizionali che social media (momenti di dibattito e discussione pubblici, interventi a conferenze stampa di Eagle Hills e dell’amministrazione locale, adesivi, riviste e report autoprodotti), Ne Davimo Beograd ha costruito e guidato un corteo con 30mila partecipanti nel maggio 2016 – un risultato straordinario nell’attuale Serbia per impegno, coinvolgimento e partecipazione della popolazione.

L’efficacia del lavoro di Ne Davimo Beograd è testimoniata anche dal progressivo ampliamento delle tematiche trattate, talvolta anche senza una partecipazione continuativa da parte della popolazione. Oltre a essere in prima linea nel criticare il progetto del Belgrade Waterfront, il gruppo si dedica alla contestazione di altri progetti di riqualificazione urbana: la metropolitana di Belgrado, il cui percorso è stato improvvisamente cambiato dal consiglio comunale senza alcuna spiegazione e che dovrebbe insistere su due zone attualmente disabitate; attività di anti-sgombero e così via. Lo zoccolo duro di Ne Davimo Beograd è formato da circa quindici attivisti, di età inclusa tra i 30 e i 40 anni. Si tratta di persone comuni: la maggioranza di essi ha un posto di lavoro a tempo determinato, sostiene una famiglia e una piccola parte oggi vive addirittura all’estero.

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15 giugno 2017: un’azione di protesta di Ne Davimo Beograd contro la privatizzazione del ciclo dei rifiuti e la costruzione di inceneritori. (Ne Davimo Beograd)

Ne Davimo Beograd è diventata il fulcro dell’attivismo belgradese in un paese dove il sentire comune associa qualsiasi cosa che si richiami al socialismo (comprese definizioni come «beni comuni» e «partecipazione popolare») come un retaggio del passato, si denota l’assenza di qualsiasi forma di movimento sociale e di controinformazione, e una generale indifferenza verso la politica. Coloro che seguono e sostengono le vertenze del gruppo sono principalmente i cittadini e gli abitanti della Città Bianca che, di fronte a evidenti e ripetuti soprusi, alla corruzione diffusa e all’imposizione dell’alto di grandi progetti urbanistici rivolti a pochi ricchi, stanno cominciando a riscoprire l’impegno e la partecipazione politica. La mancanza di una specifica ideologia politica di riferimento è frutto della storia serba e costituisce sia un punto di forza che la principale debolezza di questo nascente movimento – ciò nonostante si noti come la loro pagina Facebook raccolga più di 75mila like e tantissime realtà interagiscano con loro, compresi alcuni sindacati di esercito e polizia.

La spinta iniziale del movimento, complice la distruzione di quella parte del quartiere di Savamala che avrebbe potuto reagire ed essere direttamente coinvolta nelle contestazioni, ha effettivamente determinato un netto strappo rispetto al territorio di riferimento. Il cantiere di Belgrade Waterfront è una ferita per la città e, per gli attivisti, i principali colpevoli sono la Eagle Hills e le amministrazioni locali e nazionali. Inoltre, a detta di alcuni membri del gruppo, le energie primigenie del movimento sono andate parzialmente disperse: forse sarebbe stato necessario rilanciare la lotta ed essere più audaci nel corso del 2017, sebbene le prossime elezioni amministrative locali del 2018 abbiano determinato una fase di stallo dalla metà dell’anno in corso.

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Una grafica che confronta il progetto originario della metropolitana di Belgrado (in verde) e quello che lo ha sostituito (in rosso). (Ne Davimo Beograd)

Il futuro della lotta

Finora Ne Davimo Beograd ha mantenuto una cauta distanza dalla politica istituzionale in senso stretto. Le informazioni inerenti al Belgrade Waterfront non sono rese pubbliche e la maggioranza di esse non ha alcuna possibilità effettiva di verifica. Perciò il gruppo sta riflettendo sulla possibilità di prendere parte alle prossime elezioni amministrative di Belgrado, che si terranno nel marzo del 2018, con lo scopo di cercare di smuovere la situazione e anche imporre la diffusione di informazioni e dati oggettivi sul progetto. Sebbene non sia ancora chiaro quale forma di partecipazione istituzionale possa adottare Ne Davimo Beograd, la maggioranza degli attivisti e dei sostenitori del gruppo lo considerano come il passo successivo e necessario per continuare a procedere nella lotta al Belgrade Waterfront e contro ogni forma di speculazione in città.

Non è facile dire se il gruppo riuscirà a realizzare i propri obiettivi: come delineato nel corso di questo reportage, la partita è ampia e vede molti giocatori al tavolo. Sicuramente gli istinti predatori e speculativi, associati all’indifferenza e il nichilismo passivo dilagante tra la popolazione, costituiscono il solo e univoco trait d’union dell’opinione pubblica contemporanea. Un insieme così complesso di variabili rende difficile ipotizzare quali risultati saranno raggiunti. Ma se Ne Davimo Beograd ha scelto di sedersi dalla parte del “torto”, è perché non si può stare semplicemente a guardare.

 

Dario Oropallo

L’immagine di copertina è un’illustrazione di Denic Aleksandar del maggio 2016.

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