Istruzione, quale futuro per i bambini rifugiati?

Lo scopo dell’educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre.

Lo diceva Sidney J. Harris, giornalista ed insegnate americano – colonna portante del Chicago Daily News prima e del Chicago Sun-Times dopo – negli anni ’60. Il fine ultimo dell’educazione dovrebbe essere quello di allargare gli orizzonti e aprire le menti, formare individui in grado di rapportarsi con il mondo esterno in autonomia, migliorare le proprie condizioni economiche, coltivare i propri talenti, aiutare gli altri. Una adeguata formazione scolastica permette di sfuggire allo sfruttamento e alla povertà, di affrancarsi da realtà di degrado per avviarsi ad un futuro migliore. Tutti obiettivi che, nel 2017,  si considera alla portata della maggior parte dei bambini e ragazzi nel mondo. Non tutti, però.

 

left-behind
Alcuni dei dati riportati nel rapporto dell’UNHCR, Left Behind.

 

In realtà, il mostro dell’analfabetismo è tutt’altro che sconfitto. La situazione è ancora drammatica soprattutto tra le fasce di popolazione più deboli, dove spesso all’istruzione dei figli si contrappone la necessità di sopravvivere. Secondo gli ultimi dati raccolti dall’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) nel rapporto intitolato Left Behind, i rifugiati in età scolare sotto il suo mandato sarebbero al momento 6,4 milioni. Solo 2,9 di essi sono andati a scuola lo scorso anno:  i restanti 3,5 milioni non hanno ricevuto un’istruzione. Oltre la metà di essi hanno meno di dieci anni. Solo il 61% dei bambini rifugiati frequenta la scuola primaria e il 23% quella secondaria (dati che calano fino al 50% e 9% nei paesi a basso reddito), rispettivamente contro le medie mondiali del 91% e dell’84%. L’istruzione terziaria, poi, è solo un miraggio: solo l’1% dei rifugiati ha accesso all’università, contro il 36% mondiale.

Dati drammatici, che evidenziano come ci sia ancora molto da fare sulla via di un’istruzione disponibile per tutti. E anche quando il tanto atteso momento di sedersi su un banco di scuola arriva, le difficoltà non mancano. Dei 2,3 milioni di bambini iscritti ad un corso di studi, circa 600,000 necessiterebbero di supporto ulteriore per proseguire, a causa della preparazione frammentata affidata ai mezzi limitati delle organizzazioni umanitarie – per le quali i fondi destinati all’educazione diminuiscono anno dopo anno.

Non solo: un bambino rifugiato ha circa cinque volte maggiori possibilità di abbandonare gli studi prematuramente rispetto ad uno che non lo è. Una triste realtà che rischia di condannare milioni di giovanissimi ad un futuro incerto, fatto di sfruttamento e mancanza dei mezzi necessari per vivere dignitosamente, oltre a rappresentare un pericolo per i Paesi ospitanti.

Un tentativo di porre rimedio a questa situazione è simboleggiato dalla firma, un anno fa, della Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti, che pone l’istruzione tra i maggiori problemi all’attenzione della comunità internazionale. Nonostante gli sforzi, però, la situazione resta preoccupate. Anche UNICEF ha ribadito, nel suo rapporto intitolato Education Uprooted, la necessità di garantire a tutti i bambini la possibilità di studiare.

 

Che sia un migrante, un rifugiato o uno sfollato, un bambino è un bambino. E ogni bambino ha il diritto a ricevere un’istruzione. […] Senza istruzione, come potrà acquisire le conoscenze necessarie per ricostruire la propria vita?” Unicef, Education Uprooted

Il rapporto è corredato da dati che dipingono, ancora una volta, un quadro drammatico. Nel solo 2015, crisi ed emergenze hanno ostacolato – o addirittura impedito completamente – gli studi di oltre 75 milioni di bambini e ragazzi di età compresa tra i 3 e i 18 anni, in 35 Paesi del mondo. Per le ragazze, inoltre, le possibilità di essere escluse dalla scuola sono di 2,5 volte maggiori rispetto a quelle dei compagni maschi. Nonostante il lavoro delle associazioni sia incessante e punti al raggiungimento del maggior numero di bambini possibile, secondo UNICEF il 41% dei bambini in condizioni di emergenza nel mondo non è assistito da aiuti di alcun tipo.

Dal 2010 al 2015, il numero di bambini rifugiati sotto il controllo dell’UNHCR è cresciuto fino a raggiungere il 77%. Nel 2015, oltre 100.000 bambini hanno sostenuto i cosiddetti “viaggi della speranza” da soli: si tratta del il dato più alto dal 2006, anno in cui l’UNHCR ha iniziato a fare rilevazioni in proposito. In un sondaggio, al quale hanno risposto i minori che si spostano sulla rotta del Mediterraneo Centrale, il 90% dei bambini senza istruzione ha sostenuto di aver subito qualche forma di sfruttamento, rispetto al 77% e 75% di coloro che hanno ricevuto un’istruzione primaria o secondaria.

Dati che dimostrano come qualunque livello di formazione sia prezioso per la salvaguardia delle migliaia di minori che, ogni giorno, affrontano simili viaggi contando solo sulle proprie forze. La speranza, una volta toccato il suolo europeo,  sarebbe quella di poter finalmente andare incontro ad un futuro più luminoso, fatto di studio e preparazione.
In realtà, le normative della maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea non aiutano in tal senso: solo dieci di esse prevedono per un bambino migrante privo di documenti la possibilità di accedere al sistema scolastico, e cinque lo escludono esplicitamente. In tutti gli altri Paesi, l’unica alternativa al limbo della burocrazia è rappresentata dalle associazioni non-governative e dalle iniziative di privati cittadini, non sufficienti a far fronte al problema.

La questione dell’istruzione dei bambini rifugiati è estremamente importante – nel lungo periodo – per una risoluzione positiva dell’emergenza migranti, che comprenda la completa integrazione dei giovani nei Paesi ospitanti e il loro contributo alle varie economie. Inoltre, la fortissima volontà dei rifugiati di fare ritorno nelle terre d’origine una volta completata la formazione, per cambiare le sorti di tanti altri, potrebbe accelerare il processo di risoluzione di  situazioni critiche in diverse parti del mondo. Sono dunque molte le ragioni per sostenere e supportare l’educazione di questi bambini: anche se non dovrebbe essere necessario ricercarne nemmeno una.

Ilaria Palmas

 

[Fonte dell’immagine di copertina: UNHCR]

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