Sentire spari, o sirene spiegate correre nelle strade, o grida e urla di feriti non è strano nella Medellin degli anni ’90. La città colombiana, 240 chilometri a nord della capitale Bogotà, è il feudo personale di quello che probabilmente è il più famoso e ricco criminale di tutto il Sudamerica: Pablo Escobar. Il suo patrimonio, stimato, si aggira intorno ai 30 miliardi di dollari (settimo uomo più ricco del mondo secondo Forbes) e di sua proprietà è l’80% della cocaina mondiale ed il 30% delle armi illecite. Dal popolo della regione viene visto come una sorta di Robin Hood. Un Robin Hood che guadagna 60 milioni al giorno. Ma nel 1993 Pablo Escobar viene ucciso dalla polizia e dalle forze speciali americane, e la città cade nel caos. Il Cartello di Calì prende possesso del giro di denaro, e comincia una serie di vendette contro i compagni di Escobar. Le sparatorie sono all’ordine del giorno, e la gente vuole rimanerne fuori. Il 2 luglio del 1994 quindi, quando nel pieno della notte esplodono dodici colpi, nessuno se ne stupisce. Solamente la mattina dopo Medellin, ma in verità tutta la nazione, si sveglia nella tragedia. Sotto quei dodici colpi in un parcheggio è morto Andres Escobar, che nulla ha a che fare con il capo del Cartel. Andres Escobar è il capitano della squadra locale e difensore titolare della Nazionale Colombiana. E Andres Escobar è stato ucciso per un autogol.

Andres Escobar viene ritenuto principale causa dell’eliminazione ai gironi della nazionale dei Cafeteros al Mondiale 1994. Tutto per colpa di un autogol, segnato nella seconda partita del girone contro i padroni di casa degli Stati Uniti, che di fatto consegna la vittoria alla nazionale stelle e strisce, rendendo inutile l’ultima partita. Ma per tutta la – breve – competizione la Colombia non riesce a giocare serenamente ed esprimersi. L’omicidio di Escobar, in un parcheggio fuori da un ristorante davanti alla moglie ed altre due donne, è solo l’ultimo tassello di una storia fatta di paura ed intimidazione.
Calcio e narcotraffico in tutto il Sudamerica sono strettamente legati, ed il totonero è una delle principali fonti di introito per i criminali. Nel 1990, gli arbitri entrano in sciopero dopo l’omicidio di un loro collega che si era rifiutato di “accomodare” il risultato di una partita. Pablo Escobar era tifosissimo dell’Atletico National, la squadra di Medellin in cui giocava anche Andres, tanto da sovvenzionarla, il più delle volte con denaro non proprio lecito. Nel ‘92 il cartello di Calì minacciò il CT Francisco “Pacho” Maturana, reo di convocare troppi giocatori dalla regione di Medellin. Nel 1993 invece Renè Higuita, quello dello scorpione, venne incarcerato per otto mesi per aver partecipato ad un rapimento, il cui riscatto serviva a sostenere la latitanza del Boss, rendendolo di fatto non convocabile per il mondiale. Tre mesi prima della massima competizione internazionale, il figlio di Luis Fernando Herrera, altro giocatore del Nacional, venne rapito. Il clima alla vigilia dei mondiali insomma non era dei migliori. E la situazione peggiorò ulteriormente, quando al Cartel di Calì giunse la notizia della decisione del CT Maturana, di sfidare apertamente l’organizzazione e convocare molti giocatori del National e dell’altra squadra della regione, l’Antioquia. In più Maturana chiamò anche l’allenatore di quest’ultima, Gomez, a fargli da vice.

Passare il girone doveva essere normale amministrazione. Oltre alle prime due infatti passavano anche le migliori quattro terze, su sei gruppi. In più la Colombia aveva la fortuna di giocare sempre nello stesso stadio in California, mentre le avversarie di girone viaggiavano tra lì ed il Silverdome di Pontiac (probabilmente il più bello stadio del mondo all’epoca, ora ridotto così), in Michigan, con oltre 3500 km o 4 ore d’aereo di distanza. Il match d’esordio vedeva i Cafeteros affrontare la Romania. La Colombia subisce tre reti, una di Hagi ed una doppietta di Raducioiu, reduce da una stagione deludente al Milan. L’unica rete la segna El Tren Valencia. E’ un crollo verticale per una nazionale data per favorita. Ma nulla è perduto. Nel girone infatti ci sono ancora la Svizzera, catenacciara ma battibile, e gli Stati Uniti. I padroni di casa avevano appena deciso di creare il loro campionato, mentre fino a quel momento esistevano solamente leghe dilettantistiche. E guardando il meccanismo per approdare agli ottavi, bastavano quattro punti in queste due gare per passare il turno.
Sono le 16.30 del 22 giugno quando Colombia e Stati Uniti scendono sul terreno del Rose Bowl di Pasadena, che sarà anche il palcoscenico della finale, quella tra Italia e Brasile con il rigore di Baggio alle stelle. Ma i sudamericani sono svogliati, sembrano pensare ad altro. A sorpresa, nella squadra non c’è più il centrocampista Gabriel Gomez. Cinque ore prima, nell’albergo del ritiro, è arrivato un fax, indirizzato al ct Maturana. “Se Gomez gioca, faremo saltare in aria la sua casa e quella di Maturana.” Il centrocampista era infatti stato dipinto in patria come il principale responsabile della sconfitta contro la Romania, e ad accrescere l’astio era esplosa la voce che per la sua convocazione fosse stata determinante la volontà di suo fratello, il Gomez vice allenatore del ct. Come risultato, Gabriel Gomez viene messo sul primo aereo per la Colombia.
La Colombia attacca, ma nonostante tutti gli sforzi la porta dei semi-dilettanti resta inviolata. Al 34’ del primo tempo, arriva il momento che affossa definitivamente la squadra, già psicologicamente instabile. Lo statunitense Harkes crossa male verso il centro dell’area, dove non c’è nessuno dei suoi compagni. Il portiere si allarga per intervenire, ma al limite dell’area Andres Escobar arriva in scivolata. Non è chiaro che cosa volesse fare, se colpirla al volo e lanciarla in avanti o spingerla sul fondo. Fatto sta che il portiere, ormai fuori dai pali, non può intervenire ed il pallone rotola in rete. I sudamericani crollano. Negli spogliatoi Maturana non riesce a scuotere i giocatori, e nella ripresa gli Stati Uniti raddoppiano. Solamente al 90’ Valencia riesce a segnare l’inutile rete del 2 a 1.

La contemporanea vittoria della Svizzera contro la Romania elimina qualsiasi speranza della Colombia nella qualificazione. All’ultimo turno, la nazionale di Valderrama vince per 2 a 0 contro gli elvetici, ma è un successo inutile. La Romania vince contro gli Stati Uniti e si qualifica come prima, mentre USA e Svizzera con quattro punti passano entrambe il turno. La Colombia, quarta, torna a casa.
Il 29 giugno, quando l’aereo che riporta la squadra in patria atterra sulla polverosa pista dell’aeroporto, non c’è praticamente nessuno ad attendere i giocatori, oltre ai familiari. Andres trova la sua fidanzata, Pamela Cascal, che lo vede sull’orlo della depressione: silenzioso, ingobbito, come se sostenesse un carico pesantissimo, distratto, con lo sguardo perso e vuoto. Pamela allora propone di uscire, per distrarsi, ma l’aria nel locale che scelgono è pesante, tutti li guardano e nessuno gli rivolge la parola. Quattro giorni dopo, Andres è riverso sull’asfalto, a pochi metri dalla sua macchina, con dodici proiettili che ne hanno strappato la vita dal corpo. Al funerale partecipano 120mila persone, mentre le indagini sono frettolose e chiuse rapidamente.

Dell’omicidio viene accusato l’ex guardia giurata Humberto Munoz Castro, che viene condannato a 43 anni ed esce dopo undici. E tuttora non si sa perché abbia sparato. Voci parlano di un litigio finito male, alcuni dicono che sarebbe stato addirittura il calciatore ad aggredire Castro, e che i dodici colpi di mitraglietta siano serviti solo a difendersi. C’è invece chi dice, ed è la voce più forte e più ignorata da chi avrebbe dovuto ascoltarla, che prima dell’inizio dei Mondiali il cartello di Medellin abbia investito una grossa somma di denaro sulla qualificazione agli ottavi, sperando con la vincita di tornare in auge. La sconfitta avrebbe dunque salvato gli allibratori, il cartello di Calì, rivale di Medellin, da una forte perdita economica e condannato Medellin a non rientrare dei soldi scommessi. Alcuni hanno anche detto che Castro, prima di premere il grilletto, avrebbe urlato “grazie per l’autogol”. Ma in realtà di tutto questo nulla è stato verificato. L’unica cosa chiara è che Andres Escobar è stato ucciso. Ed è stato ucciso per un autogol.
Marco Pasquariello