Intervista al Movimento per la decrescita felice, la critica al sistema economico di oggi tra coriandoli, Pil e l’Arlecchino

Coriandoli, maschere e carri. Carnevale è ormai arrivato. La dissolutezza, padrona vera della festa, potrà dunque agire incontrastata, sovvertendo ordini sociali e rapporti di supremazia. Tutto viene capovolto, destabilizzato attraverso un’orgia di colore. Perché questa festa è così, nasce per sovvertire, subliminare. Centrifuga i ruoli e mischia le carte tra chi è servo e chi è servitore. Esempio ne è  la storia della celebre maschera orobica di Arlecchino che, con il suo comportamento furbesco e truffaldino, prova a farsi beffe del padrone per il quale lavora. Arrivando talvolta ad umiliarlo. E’ il caso del padrone caduto in cecità, costretto a sua insaputa ad essere deriso e vessato da “servili” fendenti di bastone utili a condurlo come una bestia da soma.

Soffermandoci su questa maschera, importante interprete della commedia dell’arte italiana dell’ XVI secolo, non possiamo fare altro che annotare il suo ruolo di sberleffo colorato della società borghese, classe sociale dominante allora.

Oggi, come  Arlecchino ieri, esiste un’associazione ( Movimento per la decrescita felice) che si diverte a smontare e sovvertire il pensiero dominante contemporaneo. Discostandosi dalla logica del successo misurato con il  PIL, anzi ritenendo che, ad ogni aumento del PIL, si possa riscontrare una proporzionale diminuzione della qualità della vita.  Qualità questa, ritrovata e valorizzata con il ritorno alla campagna. Insegnando ai giovani le tecniche di recupero delle pratiche tradizionali, adoperate dai nonni nelle campagne d’Italia. Utili oggi, ad affrontare la crisi economica e l’oscura emergenza ecologica planetaria. E qui, l’ennesima similitudine con l’Arlecchino o meglio con il suo avo medioevale, Hellequin,  personaggio proveniente dalle fredde e cupe lande nordiche (oggi la trasposizione va da sé, verso le sconfinate aree urbanizzate), e successivamente migrato verso latitudini più meridionali, dove si sarebbe sovrapposto ai riti di estrazione agricola e carnevaleschi legati al culto della fecondità vegetale.

decrescita felice

Ma proviamo ora attraverso una serie di domande poste al presidente dell’Associazione, il Sig. Jean-Louis Aillon, a tentare di capire quali sono gli obbiettivi, le vedute e gli strumenti del Movimento per la decrescita felice.

Presidente Buongiorno,

Buongiorno Mirko, siamo coetanei diamoci del tu, ti va?

Certo, allora preliminarmente, parlami della Vostra visione, come associazione, come Movimento per la decrescita felice.

L’associazione è un pensiero, una filosofia di vita, un progetto non solo sociale ma anche politico, spirituale che si sviluppa attorno ad un concetto: “si vive meglio consumando meno”, attraverso un percorso di decrescita, o meglio di rinuncia alla fede cieca della crescita come unico possibile scenario percorribile dall’umanità.

Quali sono le azioni concrete per attuare tale rivoluzione culturale?

Sono azioni che tra loro interdipendono, azioni quotidiane tra loro connesse. Sicuramente lo sviluppo della tecnologia, non fine a se stesso, ma funzionale all’aumento dell’efficienza energetica. Successivamente, un progetto politico pronto a cogliere il cambiamento, dove per progetto politico si vuole parlare non certo di un sistema partitico, ma della gestione della polis in modo attento, sganciato dalla logica del profitto a tutti i costi. Mentre l’economia deve tornare uno strumento dell’uomo e non viceversa.

Una politica fatta di gesti quotidiani: in che senso?

Una gestione della polis che provi a diffondere un diverso paradigma culturale. Attraverso l’esempio, per noi bere l’acqua in borraccia è un gesto politico, fare un orto in città è un gesto politico, andare in bicicletta è un gesto politico…. Ovvero comunicare alla gente che c’è un modo più credibile e più sostenibile per vivere.

E il legislatore?

Poi se ci sarà qualcuno in grado di fare delle leggi che ci daranno una mano, ben vengano. Noi vogliamo assumere il ruolo di ispiratori, ci piacerebbe che qualcuno, all’interno dello scacchiere politico potesse cavalcare il nostro input culturale. Perché è chiaro oggi giorno che sia la destra che la sinistra non si discostano dalla ricetta della crescita, dalla stessa errata visione e dunque c’è bisogno di introdurre all’interno della politica, nuove idee, nuovi valori.

Jean-Louis, svaghiamoci un po’, e parliamo della decrescita al cinema oppure a teatro.

Sicuramente bisogna dire che c’è tutta una produzione che è proprio funzionale al mantenimento del sistema predominante di valori.

Ovvero?

Parlando del mainstream, della grande produzione hollywoodiana di massa, i valori vincenti e predominanti restano sempre il successo, il molto lavoro, un costante atteggiamento di dominio verso la natura, l’edonismo del consumo.

Mentre a Noi, come movimento per la decrescita, piacerebbe decolonizzare l’immaginario,  proponendo una visione diversa, dove colui che risparmia non sia un taccagno ma possa essere visto come una persona sobria, portatrice di un modello positivo. Utile al benessere di tutti. Dove il non buttare, il recuperare possa essere una condotta vincente, virtuosa…Insomma, l’arte è importante perché, se ben fatta, riesce ad arrivare all’emotività delle persone, riuscendo quindi ad incanalare messaggi, valori che potrebbe stravolgere questo nostro mondo.

hollywood los angeles

Mi segnali qualche esempio di produzione virtuosa fuori dagli schemi consolidati?

C’è uno spettacolo teatrale il cui nome è Papalagi, fatto da operatori e pazienti psichiatrici, organizzato dall’Usl di Lucca molto bello. E’ uno spettacolo incentrato sui racconti di un capo-comunità dell’Isole Samoa che fa ritorno alla sua tribù, raccontando tutto quello che l’Europa gli ha lasciato come viaggiatore, come testimone distaccato del nostro mondo.

Insomma, un’arte portatrice di valori condivisi nuovi o semplicemente rivisitati come per esempio l’Agricoltura e i Giovani…

Si infatti, il primo passo verso il cambiamento è  l’evoluzione dell’immaginario, quello stesso mmaginario collettivo che ha reso in passato non desiderabile il contesto agricolo, il lavoro in campagna. A Salerno una mia amica insegnate, raccontava che un bambino veniva segnalato come anomalo, come affetto da  problematiche patogene perché riferiva di amare la terra.

Circa la scala sociale del contadino…

O meglio, non è necessario che tutti facciamo i contadini, a chi non piace potrà continuare a fare altro, ma la rivoluzione culturale dovrà portare a vedere il contadino come un mestiere nobile, con una formazione universitaria, in grado questa di porre la propria attività come un tassello per un futuro diverso.

Dunque il ritorno alla campagna può rappresentare il palliativo alla disoccupazione giovanile?

Si, assolutamente. Se fatto con il cervello, attraverso un percorso accademico professionalizzante, volto all’eccellenza,  in formazioni associazioniste utili allo sviluppo della  biodiversità e dell’eccellenze del territorio. Attraverso la permacultura.

Parlando del ritorno all’agricoltura pedissequamente un cenno al  vegetarianesimo rimane d’obbligo…

Noi del movimento abbiamo un approccio assolutamente libero. Rimane però la consapevolezza che sia la scelta più sostenibile, ma comunque detto da un carnivoro, che si impegna a limitare comunque fortemente il consumo di carne.

E poi ci sarebbe il tema di Expo, buono lo strumento rivedibili i contenuti, la neocolonizzazione chiamata eco-sostenibilità, i paesi emergenti… Ma non è questa la sede. Mi limiterò a concludere con una riflessione sulla cultura che oggi giorno  muove tutto, ben fotografabile in una massima del filosofo polacco Zygmunt Bauman, “Se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il Pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo.”

Mirko Pizzocri

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