DISCLAIMER: l’articolo che segue contiene un certo numero di spoiler, romanzati e sotto forma di metafora. Avete quindi tre opzioni: proseguire con la lettura prima di vedere il film, fingendo si parli davvero di qualcos’altro; mettere quest’articolo da parte e tornare quando cercherete di convincervi che in fondo il film non era così male; oppure leggere l’articolo e dedicare le tre ore del film a vedere invece due partite intere del mitico Foggia di Stroppa (è l’opzione suggerita). Fate un po’ voi.
“Andiamo a vedere il nuovo Star Wars?”, mi fa Danilo ieri pomeriggio. Danilo è una persona semplice. Ha una laurea in economia, una passione malsana per il Foggia di Stroppa, gli piace guardare film di fantascienza e fumare.
“Ok; ho sentito dire che rientra tra i Grandi Secondi Film della Storia del Cinema”, dico, scandendo le maiuscole. L’elenco è ampio e comprende capolavori del livello di Batman & Robin, Matrix Reloaded, The Lost World: Jurassic Park e L’allenatore nel pallone 2. Che poi in realtà Star Wars: The Last Jedi non è il secondo, ma l’ottavo film di una trilogia di trilogie (una ennealogia, suppongo) che come è noto ai fan – tanti e agguerriti – andrebbe vista invertendo la prima e la seconda trilogia – secondo alcuni, ma secondo altri no, e secondo altri ancora seguendo il cosiddetto Machete order, cioè in ordine non consequenziale e senza vedere Jar Jar Binks che fa cose, che tanto fa schifo a tutti.

Ecco, Jar Jar Binks, patetico Pippo alieno e stereotipo inutilmente razzista creato in pompa magna per il primo episodio del sequel (era il 1999, che tempi, che ingenuità, signora mia) e subito detestato unanimemente dai fan, è la facile metafora dei problemi strutturali dell’universo Disney-Lucasfilm: far coesistere un palliativo post-Vietnam (un film escapista, consolatorio e un po’ colonialista che mescola SF e fantasy, da cui la morte è espunta o minimizzata, con un personaggio chiave che è un pupazzo brutto che parla come uno scemo classicissimo trickster), con ciò che quello stesso oggetto è diventato nell’immaginario collettivo, cioè una space opera matura e seminale, capace di affrontare Grandi Temi e in grado di offrire una mitopoiesi complessa e uno storyworld impressionante, soprattutto nei dettagli visivi. La colpa è in buona parte del Ritorno dello Jedi, uno dei due film belli davvero della serie (quasi certamente per merito di Kasdan, che ha letto anche altri due libri oltre al Viaggio dell’eroe – ciao George, la senti questa perturbazione nella Forza? Prrrrrrr), che hanno alzato la posta in un modo insostenibile per gli altri film della saga.
In tutti i casi, io conosco i miei polli: per fare uscire di casa Danilo ci vogliono le bombe. Infatti un paio d’ore dopo mi arriva un messaggio su Whatsapp. “Vieni a cena? Silvia fa i torcinelli”. “Vada per i torcinelli”, rispondo consapevole del mio destino.
La sera mangiamo, fumiamo, parliamo. A una certa ora siamo tutti appesantiti, iniziamo a fare zapping in tv e nessuno se la sente di andare a guardare Star Wars. Quella che segue è dunque la recensione di quello che abbiamo visto in tv, scusandomi a priori perché il livello sarà senz’altro incredibilmente inferiore rispetto al nuovo Star Wars.
Per iniziare, su Italia 1 c’è una di quelle commedie romantiche americane un po’ scemine. Due adolescenti sono chiaramente attratti l’uno dall’altra, ma litigano tutto il tempo. A un certo punto senza apparente motivo iniziano a sentirsi spessissimo su Skype, poi sembra che finalmente si stiano per baciare, poi litigano di nuovo e infine si allontanano. Così almeno siamo riusciti a ricostruire la storia mentre giravamo tra un canale e l’altro.
Su Rai Tre siamo finiti mille volte, ma sempre senza fermarci. C’è una puntata di Alle falde del Kilimangiaro; bello, ma non la nostra tazza di te. Guardiamo un pezzettino di documentario con degli uccelli stranissimi dalle faccine tenere e un pezzo di un altro dedicato a dei buffi cavalli selvaggi cresciuti in cattività e poi liberati. Il grado di interesse collettivo è comunque incredibilmente basso – ma meglio comunque di Zootropolis su Boing: la Disney ha ufficialmente stancato con questa meccanizzazione fordista della cuteness animale.

Su Rai 4 danno Amour, quel film francese bellissimo coi vecchi morenti che è impossibile guardare senza commuoversi. Lei, poi, recita da dio anche quando deve solo respirare. Già visto, ma che meraviglia.
Su Rete 4 mandano in onda per l’ennesima volta Ocean’s Eleven, ed è tutto un occhiolino a mille altri film e generi, un Rat Pack dei poveri, un carrello fatto solo per vedere quanto sono bravi regista e direttore della fotografia e una truffa che nasconde un’altra truffa che nasconde un’altra truffa. Danilo per sottolineare che era annoiato ha iniziato un revival vorticoso su Youtube guardandosi il pezzo dell’Episodio IV in cui i ribelli penetrano nella Morte Nera, ed è subito “come erano pucci C3P0 e R2-D2”, “guarda che figo Chewbacca”, “quant’era malvagio Darth Vader”, “madonna se è impulsivo Han Solo”, eccetera.
Su La7 il talk della Gruber ha un’ospite d’eccezione – uno Slavoj Zizek in formissima.

Gli ospiti in studio (molte donne, va detto, finalmente la televisione italiana prova ad essere appena meno sessista, e passi l’impressione di pinkwashing improvvisato) lo trattano con una deferenza anche eccessiva, la Gruber afferma di considerarlo il suo mentore, e insomma il Maestro di Lubjana viene usato un po’ come deus ex machina per fare andare avanti la puntata. Lui come sempre sta al gioco, dice un paio di ovvietà sulla morte e la sopravvivenza del capitalismo e sull’uccidere i padri; noi siamo a posto così.
Su TV8 va peggio, comunque: l’ennesimo documentario su Andy Serkis che interpreta qualcuno in CGI – il gobbo di Notre Dame, sembrerebbe, devono averne fatta una versione con gli attori in carne e ossa. Serkis è bravo e non si discute, ma ormai è chiaramente condannato al ruolo di Hugo Weawing (sì, l’agente Smith) del cinema statunitense.

A salvarci quando iniziamo a boccheggiare arriva Canale 5, dove intercettiamo l’ultima mezz’ora del sottovalutatissimo Independence Day – presente, no, il momento in cui gli alieni hanno vinto ogni resistenza degli umani e sono arrivati fino alla loro base segreta, dove sembra che stiano quasi per sterminarli, ma questi si organizzano e guadagnano tempo grazie ad una flotta di vecchi aerei da combattimento messi assieme alla meno peggio, poi Randy Quaid si sacrifica lanciandosi contro il supercannone che distrugge tutto e tutta l’umanità si riscopre unita e solidale, capace di sconfiggere un nemico che sembrava averla sovrastata, capendo che la guerra non è perduta, ma anzi appena cominciata.
A questo punto – saranno stati i torcinelli, sarà stato il vino, sarà stato il fumo – Silvia e Danilo, che sono due romanticoni, si sono commossi.
“C’è poco da intenerirsi” – gli ho fatto io “se fossimo usciti ci saremmo goduti Star Wars: The Last Jedi, che sicuramente – e per fortuna! – è meglio dell’accozzaglia senza senso che abbiamo visto stasera”. Loro però sembravano contenti nonostante avessimo perso un’ottima occasione di vedere qualcosa di bello e divertirci, e non so, per qualche motivo veniva quasi da dargli ragione.
P.S. Vi ha dato fastidio il fatto che ho tirato fuori dal nulla questo Danilo e l’ho messo nell’articolo per far funzionare meglio alcune parti? Vedetela così: almeno non faccio lo sceneggiatore di film importanti – altrimenti, che ne so, potrei chiamare il mio personaggio Viceammiraglio Solcazzo e farlo interpretare da Laura Dern. Per fortuna scelte di scrittura così banali sono tollerate solo sulle webzine di nicchia.
P.P.S. Mi dicono i miei amici che hanno visto il film che comunque c’è un gran lavoro per mantenere un emozionante riserbo sull’identità dei genitori di Rey. Bravi, bravi.