“Te ricordi la prima volta che hai comprato dei Bitcoin? Io te dicevo nun te fa fregà” (I Cani ft. Matteo Bordone)
Ci siamo. Cotechini pronti. Cappelletti fatti. Brodo sul fuoco. È Natale e Santa is coming to town. Quest’anno, nel tradizionale articolo natalizio (per gli amanti del genere, qui e qui si possono trovare i fantasmi dei Natali passati), noi del Bottonomics vogliamo rispondere alla domanda che tutti vi state ponendo: Donnarumma resta o no al Milan? Perché dobbiamo sborsare quasi 20 mila dollari per avere indietro un Bitcoin? In altre parole, da dove deriva il valore di queste criptovalute di cui tanto si parla in queste settimane? Vi diciamo subito che, come abbiamo già scritto, la Blockchain, ci affascina da morire, ma siamo molto scettici sulla criptovaluta in sé. Ovvero, abbiamo il sospetto che quella dei “soldi digitali” sia solo un’altra trovata speculativa di quei cattivoni di neoliberisti travestiti da nerd per l’occasione. Visto che una risposta chiara non ce l’abbiamo, vi esporremo i nostri dubbi.
Valore fondamentale, questo sconosciuto.
Di sicuro, le criptovalute non sono una commodity come il petrolio. Se lo fossero, il loro valore sarebbe ancorato all’essere una risorsa scarsa utilizzabile come fattore di produzione in quasi tutto ciò che ci circonda. Però col Bitcoin cosa ci produci? (Ok, dai diamanti non nasce niente, dai Bitcoin nascono Crypto Kitty canterebbe oggi De André).
Ancora più difficile il parallelismo con l’equity (le comunissime azioni): poiché i Bitcoin sono di fatto una moneta, una convenzione, non hanno dei bilanci da analizzare e non ci sono multipli da calcolare.
Se volete, visto che ogni nuova criptovaluta nasce da una ICO (Initial Coin Offering), una sorta di crowdfunding, allora possiamo pensare di avere a che fare con gli stessi problemi che si pongono quando si deve valutare una start-up per cui non si hanno dati storici su cui fare proiezioni. Se in più ci mettiamo la mancanza di trasparenza e regole, unite al fortissimo hype, si capisce che il rischio fuffa è dietro l’angolo.
Quindi, niente da fare, non sappiamo ancora quale sia il valore fondamentale che possa giustificare i picchi di questi giorni.
Ah ecco, l’oro. Il Bitcoin è come l’oro. Sì, ma ‘nche senso? Lo sappiamo tutti no, l’oro è un bene rifiugio e pare si inizino a vedere le stringhe dei dati di questa nuova moneta proprio come un bene rifugio. Però diteci, a parte il fatto di essere un bene scarso, chi dice che il Bitcoin abbia un valore intrinseco che lo rende bene rifugio? Cioè, dietro l’oro c’è tutta la storia del capitalismo e buona parte dell’essere umano. Ma dietro al Bitcoin? Il dubbio ci attanaglia.
Una soluzione che mostra qualche barlume di razionalità potrebbe essere quella di guardare al costo marginale di produzione (qui l’interessante analisi). In pratica, se l’oro viene estratto dalle miniere, i minatori di Bitcoin sono coloro che avendo abbastanza potenza computazionale al seguito, permettono il cosidetto mining e mandano avanti la baracca.
Ecco, l’estrazione ha dei costi in termini di energia utilizzata e acquisto dell’hardware. Bene, l’articolo sopra citato stima il costo marginale a meno di 5 mila dollari per Bitcoin. Il confronto con l’attuale valore di mercato è imbarazzante e poco giustificabile (a meno che tu non ti chiami iPhone!).
Quindi ci arrendiamo. Quella delle criptovalute è una banalissima bolla. Niente di nuovo sul fronte occidentale. Ma badate bene, eviteremo qualsiasi affermazione di fassiniana memoria (ricordate il “si faccia un partito e vediamo quanti voti prende!” riferito a Grillo? Qui si tradurrebbe in “si compri un Bitcoin e vediamo quanti soldi perde”), perché in fondo un valore alle criptovalute glielo riconosciamo. Quello dell’innovazione tecnologica. In altre parole, quello di aver introdotto quella figata che è la Blockchain.
Affinità-divergenze tra Bitcoin e Dot Com Bubble
Tuttavia, è proprio l’aspetto tecnologico a creare un ovvio parallelismo. Facciamo un bel passo indietro. Seconda metà degli anni 90. Silvio aveva già detto che “l’Italia è il paese che amo”, D’Alema tramava dietro le quinte e Renzi, boh, Renzi sarà stato ad un campo scout. Intanto, la Silicon Valley iniziava ad agitarsi. E-bay si chiamava ancora Actionweb e vendeva solo oggetti usati e vintage, come il puntatore laser rotto, che il fondatore Pierre Omydiar vendette ad un signore canadese, dando inizio all’epopea. Sempre a quegli epici giorni risale la nascita delle prime pagine gialle di internet – a.k.a. motori di ricerca – all’epoca gestite ed ordinate manualmente (si avete capito bene), nientepopodimenoché da una azienda chiamata Yahoo. Solo un anno prima, nel 1994 il neonato Amazon vendeva esclusivamente libri, ma – il buongiorno si vede dal mattino – diventava il primo negozio on-line dove poter acquistare con carta di credito.
È l’alba della New Economy e del commercio elettronico, sono gli anni in cui nascono nuove tecnologie e quelle legate ad internet spuntano come funghi. Gli investitori erano così euforici che bastava avvicinare all’immagine di una qualunque azienda il suffisso web .com per far piovere su di essa danaro da ogni parte del mondo. I media cavalcarono l’onda enfatizzando le grandi manovre finanziarie e contribuendo, non poco, all’incremento della speculazione. Fu così, che agli inizi degli anni 2000, gli indici tecnologici toccarono quotazioni mai raggiunte prima. Tutti sappiamo come andò a finire. Nei primi giorni di marzo del 2000, i rapporti annuali e trimestrali fecero emergere la crisi di molte aziende del settore, scoperchiando il vaso di pandora e dimostrando che il mercato di internet non era poi così grande. La vera e propria bolla scoppiò il 10 marzo, dopo che l’indice Nasdaq fece registrare il suo massimo storico di 5132,52 punti base. Il lunedì successivo, il 13 Marzo, cominciarono le vendite di massa. Tutti iniziarono a liquidare le posizioni in essere sul mercato tecnologico, il Nasdaq perse il 9% in un solo giorno e molte delle neonate aziende della Silicon Valley, fallirono senza mai aver ottenuto dei profitti.

Se, da un lato, l’aspetto tecnologico lega criptovalute e dot-com bubble, dall’altro i due fenomeni sembrano essere quantitativamente ancora distanti. Infatti, quando scoppiò la dot-com bubble, il mercato di internet valeva più di 6 trilioni di dollari mentre il mercato dei soli Bitcoin (che è di gran lunga l’unica criptovaluta rilevante) si attesta ad oggi, sui 297 miliardi di dollari (Fonte: blockchain.info).
Il problema della speculazione finanziaria in un contesto globale e capitalista come questo, sembra quindi essere funzionale all’introduzione di una nuova tecnologia dominante.
Irrazionalità e innovazione
Molto probabilmente, come successe con le aziende di e-commerce e con il mercato digitale, sarà l’introduzione di una regolamentazione a porre fine al rialzo incontrollato dei prezzi. Probabilmente. Per ora, un’aura di irrazionalità e speculazione aleggia attorno alle criptovalute (ah, sono anche nati i primi derivati sui bitcoin!). Forse ci sarà la tempesta, ma siamo sicuri che, quando tornerà la quiete ci potremo godere la Blockchain, che rischia di essere un’invenzione rivoluzionaria quasi quanto Internet.
Dunque, in questo Natale noi restiamo scettici sulle criptovalute, ma entusiasti della Blockchain. Voi, però, se non sapete cosa regalare a morose, parenti e amici, potete sempre scegliere un bellissimo Crypto Kitty. Nel 2018, scriveremo un intero articolo su questi gatti cibernetici che possono essere offerti anche a più di mille dollari l’uno. Promesso.
Andrea Buini
Roberto Tubaldi @RobertoTubaldi
Fonte immagine di copertina: YouTube
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