Un ragazzo di cui non scorderò mai il nome perché non l’avevo mai in precedenza appreso mi disse che nonostante ci trovassimo in Grecia al mare in agosto bisognava ugualmente dormire con una sorta di papalina da notte perché “è tradizione”.
Questo aneddoto al sapor di Sila è il più adatto analogo per questa rubrica a cadenza annuale giunta ormai, incredibilmente, alla quarta edizione. (1) (2) (3)
Il tutto – i più affezionati tra i miei neuroni si ricorderanno – nacque come rivendicazione situazionista del mio essere fuori dallo stream musicale (che fosse main o meno, completamente ininfluente). In altre parole, perché cadere con tutte le scarpe nelle spirali oceaniche dello hype tenendosi aggiornati giorno per giorno, come mai è stato più veloce e difficile fare nella storia prima dell’odierna era di cognizione distribuita nell’Internet? Molto più facile riascoltare per la sedicesima volta la discografia di Nick Cave o struggersi dietro il primo singolo dell’ultimo album de The Go! Team. Essere ascoltatori inattuali avrebbe detto qualche studente di filosofia rivolgendosi alla schiena di un tizio che aveva chiaramente sbagliato aula.
Stavolta, invece, ho deciso di dare una rinfrescata al tutto. Ormai persino su Diesagiowave si sono accorti che la forma-album è morta (dopo avere precedentemente spiegato a quei commoventi diciottenni cosa fosse un LP). Si ragiona per singoli, a causa principalmente del modello di business imposto dalla fruizione in streaming. Quindi basta “album ascoltati a cazzo di cane”, stavolta si va per brani isolati.
Dato che voglio far affondare la SEO di questo pezzo, sceglierò arbitrariamente 10 pezzi tra quelli che Pitchfork ha scelto come i migliori 15 brandelli di testo tra le canzoni del 2017. Sì, testo. Per la musica vi faccio un riassunto veloce: va di moda la trap, dunque l’hi-hat fatto strano, l’abuso del vocoder e del pitch shift sulle vocette, lo Xanax è ancora la droga prefe di tutti, qualcuno per qualche motivo trova sopportabile Frank Ocean, Kanye ce lo dobbiamo giocare come presidente nel 2020 altrimenti dopo è troppo tardi, Allen Iverson è stato evidentemente trattenuto dal fare una causa milionaria a danno di Post Malone presso la polizia del buon gusto.
Appropinquiamoci al Meglio, amici.
1) LORDE – The Louvre
“I overthink your p-punctuation use”
Pure i sociolinguisti sanno che la (nuova) cultura testuale sta chiaramente facendo evolvere la nostra fruizione della lingua scritta, anche la giovane neozelandese Lorde racconta molto, molto bene una cotta dai toni psicotici (da stalker, si direbbe) in cui si improvvisano teoretiche solitarie sull’uso della punteggiatura dell’amato, per cogliere il non-detto che si rivelerà importantissimo. E se persino l’ormai nazionalpopolare Edoardo Calcutta nel 2015 ci diceva, all’inverso, che a ben vedere il sorriso è una parentesi-paresi, dobbiamo crederci. Da applausi il refrain anticlimatico e meta-musicale. Finalmente una popstar con qualcosa dietro, oltre che qualcuno.
2) SZA – The Weekend
“You’re like 9 to 5, I’m the weekend”
Il lavoro, Bat, è una gran cazzata, mi disse un saggio uomo baffuto qualche anno fa. Dev’essere per questo che mi sono dato all’accademia invece che al guadagno. Il tema, in musica, è entrato nell’agenda mainstream per lo meno dall’epico singolo di Rihanna e Drake. Ma entrando pienamente nella parte “a cazzo di cane” del pezzo, non ho la più pallida idea di chi sia SZA. Mi sembra una onesta cantante di R’n’B meditativo e questo brano tratta del problema più antico del mondo: “tu hai una ragazza, ma mi parli di quanto mi vorresti; ma com’è possibile se hai già una ragazza?”. La voce narrante ammette di aver lasciato la dignità in soffitta e comincia un dialogo immaginario con la rivale cercando un accordo su quali e quanti giorni sarebbe giusto che lei avesse a disposizione quest’uomo bigamo (nella fattispecie, due gg. sono troppo pochi, facciamo quattro, dai). Una bella allegoria, comunque.
3) FRANK OCEAN – Chanel
“My guy pretty like a girl”
Questo verso, facile facile ma altrettanto politicamente significativo, è l’incipit di questo brano, che celebra senza fuochi d’artificio la sessualità non binaria del nostro Frank, che ci racconta di essere stato su entrambe le sponde (“I’ve seen both sides, like Chanel”). La devianza da qualsiasi cosa non sia un modello tossico di eterosessualità è di per sé una dichiarazione nel mondo rap/hiphop/r’n’b nero, e quando arrivano piccoli grandi manifesti queer come questo e quello dell’ex omofobo Tyler, The Creator (“I’ve been kissing white boys since 2004″), c’è da stappare una bottiglia di quello buono.
4) PERFUME GENIUS – Slip Away
“If you never see ’em coming, you’ll never have to hide”
5) FATHER JOHN MISTY – Total Entertainment Forever
“Bedding Taylor Swift every night inside the Oculus Rift”

Essendomi già rotto ho deciso di dare ascolto a Patti Smith e Luigi Di Maio in una volta sola, andando su Genius (che nel 2013 conoscevamo in sette e adesso, per fortuna, fa numeri grandi assai) e prendendo i 5 versi più commentati di tutto l’anno dalla giente. Filologia spinta.
6) LIL UZI VERT – XO TOUR Llif3
“Push me to the edge / All my friends are dead”
7)KENDRICK LAMAR – HUMBLE.
“My left stroke just went viral / Right stroke put lil’ baby in a spiral”
Questa non l’avevo capita manco io in primis, per cui viva Genius. Oddio, non è che abbia aiutato molto: la spirale potrebbe essere il misconosciuto aggeggio contraccettivo (da cui il pargolo mai nato) e chiaramente i “colpi” di sinistra possono essere quelli della penna sul foglio. Credo rimarremo col dubbio.
8) FUTURE – Mask Off
“Percocets, molly, Percocets / Percocets, molly, Percocets”
Incredibilmente oscuro questo brano di Future, il trapper-prima-di-voi preferito da Simon Reynolds (nota per i posteri, averlo visto “ballare” insieme a Emiliano Colasanti nello streaming di Radio Raheem mi è costato un 30% delle erezioni rimastemi a disposizione per i prossimi 40 anni di vita) rende omaggio a uno dei temi più battuti nella musicografia moderna, cioè l’abuso di tranquillanti e oppioidi come nuovo trend del centenario rapporto musica-droga. Il percocet è appunto un antidolorifico a base di oppioidi, mentre “molly” sta per l’MDMA di baustelliana memoria (nota per i posteri, riusciamo a parlare perfino di droghe moderne sempre in modo provinciale). Memorabilmente detestabile anche il verso successivo, “chase a check, never chase a bitch”, che segue sempre l’assunto danaro > donne.
9) CHILDISH GAMBINO – Redbone
“But stay woke / Niggas creepin’ / They gon’ find you / Gon’ catch you sleepin'”
Nonostante l’origine politica (Black Lives Matter) dell’espressione stay woke (=stay awake, sta’ in campana), qua si parla di relazioni e tradimenti. Per chi preferisce tenere gli occhi aperti una volta in più, da entrambi i lati. Qui recensimmo l’ottimo disco di Donald Glover.
10) KENDRICK LAMAR – DNA.
“I got loyalty, got royalty inside my DNA / This is why I say that hip hop has done more damage to young African Americans than racism in recent years“
Il DNA è quello africano, si tratta di afrocentrismo ed è una questione seria che va ben oltre questo testo. La seconda parte del verso è un campionamento di un anchorman di Fox News, Geraldo Rivera, che criticava l’hip-hop come modello di vita partendo proprio da una barra di Kendrick. Altrove avrebbe commentato che “il messaggio trasmesso dall’hip-hop è il peggiore possibile”. Kendrick l’ha presa sportivamente, pare.

immagine di copertina: The New Statesman
Un pensiero su “I migliori 10 brani del 2017 ascoltati a cazzo di cane”