Eni vs Report, duello social fra crisis management e brandjournalism

“Crollo del muro fra televisione e Internet” (Corriere.it), “Eni vs Report, la battaglia dei tweet: la contronarrazione online del gigante sfida la Gabanelli” (Repubblica.it), “Eni contro Report, quando il contraddittorio te lo crei online” (Wired), “In Tv c’è l’inchiesta di Report su Eni, ma l’azienda risponde su Twitter con un contro-dossier” (LaStampa.it). Questi sono alcuni dei titoli usciti sul web sui principali siti d’informazione a seguito dell’ormai noto caso Eni Vs Report, che ha visto il colosso dell’energia rispondere al servizio giornalistico La Trattativa, realizzato da Luca Chianca e andato in onda domenica 13 dicembre all’interno del programma Report condotto da Milena Gabanelli. Leggendo i titoli sopra elencati non è difficile capire la particolarità del coinvolgimento di Eni, ossia l’astuzia, la bravura – chiamatela come volete – di controbattere alle accuse del programma d’inchiesta attraverso un’acuta strategia mediatica sviluppata sul web e messa in atto in tempo reale. Tutti ricordiamo l’inchiesta di Report su Moncler, con l’azienda di abbigliamento coinvolta in una crisi di brand reputation affrontata con un semplice comunicato stampa diffuso il giorno dopo la trasmissione e – inutile dirlo – sostanzialmente inefficace. La ragione? Perché le immagini televisive dell’inchiesta abbinate al frenetico flusso di informazioni su Twitter erano state sufficienti per creare nel pubblico un’idea negativa dell’azienda e sicuramente resistente alle giustificazioni di un comunicato stampa. Ebbene Eni ha invece previsto la crisi, ha pianificato una strategia difensiva e l’ha infine messa in atto tempestivamente.

COSA È SUCCESSO?

Nel corso della puntata Report si è occupata di alcune attività di Eni – che ricordiamo essere un’azienda controllata dallo Stato – e in particolare per ciò che concerne l’acquisizione di una licenza per esplorare i fondali della Nigeria in cerca di petrolio: in poche parole secondo la trasmissione di Rai 3 Eni avrebbe pagato una tangente di 1,1 miliardi di dollari per la concessione petrolifera Opl 245, descrivendo l’operazione come uno dei più grandi giri di tangenti a livello internazionale. Un resoconto non certo favorevole per Eni e la sua immagine. Così, mentre la puntata va avanti, su Twitter accade qualcosa di sorprendente: dall’account ufficiale di Eni (@eni) parte una serie di tweet che controbattono alla narrazione di Report – in questo articolo de Il Post un conciso riassunto delle posizioni in gioco.

Una contro narrazione nelle quale si inserisce anche Marco Bardazzi (@marcobardazzi) – direttore della comunicazione di Eni – che accusa Report di non aver permesso all’azienda di difendersi.

Accuse respinte da Report, che twitta dall’account ufficiale @reportrai3 – anche a nome di Milena Gabanelli – postando lo scambio di mail avuto con Eni. Con tanto di intervento di Andrea Vianello – direttore di Rai 3 – che dal suo account @andreavianel risponde a Bardazzi, col quale c’è uno scambio di tweet.

LA STRATEGIA MEDIATICA DI ENI

Eni viene contattata da Report per avere un punto di vista della vicenda, ma l’azienda si rifiuta di partecipare a riprese con il timore che queste vengano montate ad hoc dalla trasmissione per avvalorare la tesi dell’inchiesta. L’azienda allora decide di rispondere per iscritto alle domande inviate dalla redazione di Report nello scambio di mail. Questo è il primo punto di forza della strategia mediatica di Eni, che fiuta un effetto boomerang e corre preventivamente ai ripari, essendo a conoscenza dei temi della trasmissione. Crea così una pagina appositamente dedicata a rispondere punto per punto alle accuse di Report, twittando live, in tempo reale inserendosi nel dibattito digitale e nel flusso di commenti/post/tweet – anche attraverso l’utilizzo degli hashtag #Report e #Opl245 – fornendo la propria versione dei fatti. Soprattutto consapevole del fatto che su Twitter Report è una delle trasmissioni più seguite e commentate.

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Tre sono i punti chiave della strategia di Eni:

  1. TEMPESTIVITÀ. Eni ha risposto subito disinnescando una crisi difficile da gestire il giorno dopo attraverso semplici smentite.
  2. DISENTERMEDIAZIONE. Eni ha risposto a Report in maniera autonoma e indipendente arrivando al pubblico senza la mediazione giornalistica.
  3. STORYTELLING. Eni ha fornito una narrazione diversa spostando il focus dai contenuti del servizio di Report alla forma mediatica con la quale ha lanciato la controffensiva creando una vera e propria notizia.

E proprio lo storytelling è forse uno dei punti di forza comunicativi di Eni, che già da tempo ha puntato sulla narrazione come elemento chiave della sua comunicazione (vedere ad esempio il progetto Eniday). E l’efficacia della strategia di Eni viene confermata da Matteo Flora – fondatore e a.d. della società di reputazione online The Fool – che ha sottolineato come Eni sia stata in grado di “sfruttare il mezzo per sviare l’attenzione dal contenuto”. E proprio The Fool in una sua analisi del caso ha definito quella di Eni “un’attenta strategia reputazionale” alla quale si aggiunge “un brillante utilizzo dei social network”. Insomma, è come se Eni avesse fatto il fact checking a Report, ribaltando i rapporti di forza nella comunicazione.

QUALI SVILUPPI PER AZIENDE E GIORNALISMO? 

La vicenda Eni-Report è un caso che mai si era visto in Italia e per molti ha segnato un punto di non ritorno per il mondo della comunicazione ma anche per quello del giornalismo. Eni è certamente una delle aziende più all’avanguardia dal punto di vista comunicativo – interessante questa intervista a Roberto Ferrari, Head of Digital Communication di Eni – e il botta e risposta con Report ci fa capire chiaramente una cosa: per un’azienda diventa sempre più importante sapersi raccontare al pubblico, creare dei punti di contatto, un dialogo e una condivisione di contenuti da sviluppare attraverso i social network e un sito ben costruito – soprattutto ad esempio se hai a che fare con il petrolio e vieni descritto come un mostro dell’inquinamento, alla faccia delle energie rinnovabili. Un esempio ce lo da proprio Eni, che senza troppi giri di parole in questo video dal canale ufficiale di YouTube (enivideochannel) ci dice come la comunicazione sia una bella storia da raccontare:

La cosiddetta social tv – quella fatta di commenti live, di audiance allargate e social protagonisti della narrazione televisiva – diventa quindi uno strumento di formazione della brand reputation per le aziende ma anche un terreno scivoloso per le redazioni giornalistiche, che rischiano di perdere il controllo delle narrazioni. 

E in questo senso si sta sviluppando quello che viene chiamato brandjournalism, che vede il giornalismo integrato dal web marketing e quindi dai content e dalle dinamiche della Rete. Se pensiamo al prima citato Marco Bardazzi dobbiamo ricordarci che l’attuale direttore della comunicazione di un colosso come Eni era prima caporedattore centrale e digital editor de La Stampa e corrispondente dagli Stati Uniti per l’ANSA. Ecco quindi che le aziende quanto gli organi di informazione vengono chiamati a sviluppare team dedicati appositamente alla comunicazione digitale, dove la tempestività nella comunicazione e la creazione di contenuti facilmente fruibili sono essenziali. Soprattutto per evitare situazioni di crisi. 

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