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Leopoli, le conseguenze psicologiche due anni dopo la guerra in Ucraina

A Leopoli, città dell’Ucraina occidentale, la maggior parte delle statue sono incappucciate. Alcune sono state coperte con teli in plastica dura, altre da strati più spessi di polistirolo e poi legate con delle corde, nel tentativo di mettere in salvo il patrimonio artistico di valore dalla guerra. 

«Quando è cominciata l’invasione su larga scala, abbiamo temuto che, come è accaduto nelle regioni invase dal 2022, gran parte del nostro patrimonio artistico venisse distrutto», ha raccontato a The Bottom Up Oksana Sarabin, insegnante universitaria di inglese con la passione per l’arte. Mentre fissa una statua di Gesù in una Chiesa a cui manca la testa riflette: «sono come noi, da due anni tutti abbiamo perso qualcosa, a tutti è stato amputato un pezzo della propria vita. Stiamo camminando incerti, come se ci mancasse una gamba ma non vogliamo fermarci». 

Foto di Giulia Palladini/The Bottom Up

La perdita

A due anni dal 24 febbraio 2022, giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, c’è un fattore che accomuna tutti i cittadini ucraini: la perdita. «In psichiatria la perdita ha che fare con il lutto» dice S. (che preferisce restare anonimo), psichiatra attivo nella commissione di valutazione dello stato di idoneità fisica e psicologica prima del reclutamento nell’esercito ucraino. «La guerra e lo stato di incertezza sociale durano da dieci anni ormai», continua, «e il disagio si è intensificato negli ultimi due amplificando in molti anche patologie pregresse». Le situazioni personali sono tra le più disparate, dalla depressione ai disturbi da stress post traumatico, al burnout fino anche ad alcune forme di psicosi molto gravi. «Gli effetti su larga scala dell’intero fenomeno sono e saranno visibili per moltissimo tempo. Si tratta di traumi generazionali che resteranno sempre nella memoria emotiva delle persone come anche è già stato visto in passato», spiega lo psichiatra.

A S. e ad altri specialisti del settore sanitario è stato affidato il compito di decidere chi tra le centinaia di uomini che vengono reclutati ogni giorno sia da ritenersi idoneo per raggiungere il fronte. «Sappiamo che quando dichiariamo l’idoneità di uno di loro si tratta spesso di una sentenza di morte», racconta. «Tutto quello che questi uomini sono stati fino a quel momento si interrompe quando decidiamo che sono in grado di partire». 

Per una di queste commissioni è passato anche il marito di Irina (che preferisce non rendere pubblico il suo nome), arruolatosi come volontario il 25 febbraio 2022. È ancora al fronte e il suo compito è quello di recuperare i feriti per portarli all’ospedale da campo più vicino. Irina e suo marito. si sono conosciuti all’università, prima della guerra lui era un farmacista. Ha deciso subito di partire come volontario facendosi insegnare da un chirurgo le tecniche di base per realizzare una sutura e intervenire nel caso di un arto amputato o di una ferita grave. «Prima era entusiasta», ha raccontato Irina a The Bottom Up, mentre mostra una foto di loro insieme. «Ora si sente stanco. Ha visto morire molti dei suoi compagni anche se quello che lo preoccupa di più è vedere quanti del suo battaglione soffrono di psicosi».

Due anni di guerra dopo

A Kiev, la capitale ucraina, Tatiana Kalinichenko è responsabile della comunicazione della Caritas cittadina, un lavoro che negli ultimi due anni è stato molto duro. «Abbiamo cercato di aiutare le persone nella misura e nelle modalità in cui ci era possibile farlo», ha raccontato a The Bottom Up. Il 24 febbraio 2022 Kalinichenko era a Odessa. «Quando abbiamo capito che l’emergenza coinvolgeva non solo l’est ma tutto il Paese, abbiamo organizzato un primo meeting per coordinare tutte le sedi per selezionare le emergenze e formulare delle risposte tempestive. Da quel momento l’intero ufficio si è spostato nella capitale». In quanto responsabile della comunicazione, Kalinichenko si occupa di pubblicizzare sui social network tutte le iniziative non solo per le persone direttamente interessate, ma anche per attirare possibili donatori, e di mantenere i rapporti con la stampa. «In questi due anni è stato un continuo flusso di chiamate: richieste di aiuto, donazioni, interviste, coordinamento tra le diverse caritas», spiega. «È stato tutto all’improvviso e da due anni abbiamo un unico pensiero: aiutare il maggior numero di persone possibili, mettendo da parte le proprie esigenze personali». Kalinichenko racconta che la parte più difficile del suo lavora è stata di mantenere il proprio corpo e la propria mente sempre attivi e funzionali, «nonostante la stanchezza e la grandissima preoccupazione per tutti i miei cari».

Foto di Giulia Palladini/The Bottom Up

Oltre a Tatiana Kalinichenko si contano centinaia di persone attive nelle varie associazioni umanitarie che rispondono alle diverse esigenze dei rifugiati interni all’Ucraina, che a oggi sono circa quattro milioni. La maggior parte di loro arrivano dall’est del Paese: dai primi mesi dell’invasione russa, cominciata a febbraio 2022, gli ucraini dell’est sono infatti stati costretti a lasciare le loro città per rifugiarsi in quelle più sicure dell’ovest. A questi vanno aggiunti i circa sei milioni di rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina in cerca di un nuovo alloggio oltre il confine, specialmente in Germania passando i Paesi limitrofi quali Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania. 

Chi non è fuggito ha dovuto fare i conti con il reclutamento massivo sostenuto dal governo ucraino, con la mancanza di materie prime e l’imprevedibilità dei bombardamenti frequenti nelle zone vicine alla linea del fronte, che spesso abbattono palazzine ed edifici strategici anche nelle aree considerate più sicure. Secondo un rapporto di Save the Children pubblicato il 23 febbraio 2024, sono 42 i civili uccisi e feriti giornalmente da due anni a questa parte, per un totale di 10.500 morti e più di 20mila feriti. Le persone che hanno bisognose di assistenza umanitaria invece sono 14,6 milioni. A questi numeri si aggiungono le perdite sul campo. Il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha dichiarato che sono 31 mila i soldati caduti, mentre il giornale russo Meduza riporta che il numero sia ampiamente sottostimato e che la cifra si aggiri intorno ai 75 mila.

Prima di lasciare la sede Caritas della città di Kiev, finito il turno, Kalinichenko nomina suo fratello Olexandr Shapoval, primo ballerino per ventotto stagioni all’opera di Kiev. «Sasha (come lei lo ha sempre chiamato, ndr) era il figlio del primo matrimonio del mio papà, sapevamo l’uno dell’altra ma non ci conoscevamo davvero». Grazie all’aiuto di una ballerina, Kalinichenko è riuscita ad entrare in contatto con suo fratello solo durante gli anni dell’università. Shapoval si è arruolato come volontario non appena ha visto i primi missili cadere vicino alla capitale, ma non aveva mai preso in mano un’arma. Il 12 settembre 2022 una mina gli è esplosa tra le gambe. «Sono grata che siamo riusciti ad avere indietro il suo corpo. Recentemente sembra essere sempre più difficile» racconta Kalinichenko nella commozione. «Ritrovare mio fratello è stato difficile ma averlo perso lo è molto di più. La sua morte ha lasciato un vuoto. La mia è un’esperienza molto comune ora, la nostra è solo una delle tante famiglie che ha perso qualcuno».

Foto di Giulia Palladini/The Bottom Up

Soltanto a Leopoli, da considerarsi tra le città più “sicure” del Paese, vengono celebrati dai cinque agli otto funerali a settimana, «e solo dal 2022 abbiamo seppellito più di 700 soldati», ha raccontato a The Bottom Up il cappellano della chiesa di San Pietro e Paolo di Leopoli, uno dei cappellani dell’esercito incaricato di assistere i soldati sia al fronte, secondo una turnazione con altri confratelli, sia in città. «Il nostro compito quando siamo al fronte è stare al fianco dei soldati nei momenti tra un combattimento e l’altro», spiega il cappellano. «Ci conosciamo tutti e quando sappiamo della morte di uno di loro è sempre molto difficile», spiega il cappellano. La guerra qui ha il volto di tutti quelli che sono partiti e non sono mai tornati. 

Giulia Palladini

Foto di copertina: Giulia Palladini/The Bottom Up