Fusione Gruppo Espresso-Itedi, per l’informazione non è una bella notizia

Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa. Quando pensi ai quotidiani e all’informazione italiana non puoi non pensare a questi tre storici giornali, tre cardini della stampa del nostro Paese che disegnano il triangolo dell’informazione e del giornalismo – a ognuno il piacere di decidere se con la g maiuscola o meno. Probabilmente ne avete uno preferito, magari li leggete tutti e tre o, ancora meglio, non vi limitate alla serpentina di click sui rispettivi siti e ogni tanto quell’euro e rotti per il cartaceo lo spendete pure. Ma questa volta non è questo il punto, o quantomeno lo è marginalmente. Che la carta stampata sia un settore in crisi (e con essa il giornalismo in generale) lo si sa già da un pezzo – e i molti convegni e seminari a riguardo ce lo ricordano periodicamente – ma quello che non si riesce a capire è quale sia la strada per uscirne (dignitosamente).

Più che limitarsi a parlare di cartaceo e mobile, di giornalisti professionisti e freelance, di giornalismo d’assalto e di giornalismo neutrale super partes, bisognerebbe cercare di capire cosa muove tutte queste fila. Facciamolo partendo subito dal cuore della questione: in Italia non ci sono editori puri di giornali, ma imprenditori provenienti da altri settori che usano l’informazione per altri fini. No, non sono per le teorie complottistiche e non vi elencherò le 10 strategie della manipolazione di Chomsky (tra l’altro affascinanti), però ogni tanto interrogarsi sullo stato di salute dell’informazione sarebbe bene farlo, soprattutto se accendi la televisione e al telegiornale senti che in Turchia il giornale Zaman, dopo essere stato commissariato dalla magistratura con l’accusa di complottare contro le istituzioni e il Presidente Erdogan, torna in edicola con una linea che più filogovernativa di così non si può, con un bel servizio d’apertura dedicato alla visita del Presidente al cantiere del terzo ponte sul Bosforo a Istanbul.

E allora diamolo un occhio al nostro bel Paese. È notizia di qualche giorno fa, precisamente del 2 marzo, l’annuncio da parte di Fiat Chrysler Automobiles (FCA), Gruppo L’Espresso e Italiana Editrice S.p.A. (Itedi) della programmata incorporazione di quest’ultima al gruppo de L’Espresso entro il primo trimestre del 2017 con il benestare della famiglia Agnelli. Ma andiamo con ordine. Ho incominciato quest’articolo citando Corriere, Repubblica e La Stampa. De Benedetti è a capo del Gruppo L’Espresso che è editore di Repubblica e di una bella serie di organi di informazione che comprendono non solo la carta stampata ma anche radio e televisione (vedi sotto) e il cui principale azionista è Compagnie Industriali Riunite SpA (CIR), società a capo di uno dei principali gruppi industriali italiani attivo principalmente nel campo dei media, della componentistica per autoveicoli e della sanità. Itedi è invece editrice de La Stampa e de Il Secolo XIX, il quotidiano di Genova, ed è controllata per il 77% da FCA (quindi dagli Agnelli) e per il 23% dalla famiglia Perrone, azionista tramite la Ital Press Holding. FCA però non è solo azionista di maggioranza in Itedi ma anche in Rcs, il gruppo editoriale del Corriere della Sera con il 16,7% delle quote.

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Struttura del Gruppo L’Espresso prima della fusione con Itedi

Non so se fino ad ora qualcosa si è illuminato nella vostra mente. Mettiamola così: gli editori di due dei tre più importanti quotidiani italiani (e di tanti ma tanti quotidiani locali di tutta Italia) hanno deciso di mettersi insieme. Un importante azionista (FCA) ha le quote di maggioranza di uno di questi due gruppi editoriali (Itedi), ma al tempo stesso è il primo azionista di un terzo gruppo editoriale (Rcs) che è capo dell’altro dei tre più grandi quotidiani italiani – ah, e anche della Gazzetta dello Sport, il quotidiano sportivo più letto nel nostro Paese: se avete già fatto due più due bravi, se un quotidiano di Milano con due squadre della città in Serie A è filojuventino, ora sapete perché (scusate svesto subito i panni del tifoso di calcio). Una volta decisa la fusione però sorge un leggero conflitto di interessi e allora succede che ti tocca mollare una delle due parti e così FCA rinuncia al suo 16,7% in Rcs distribuendolo fra gli azionisti – facendo scaturire l’ira del Comitato di Redazione di Gazzetta. Fra questi azionisti però il 5% va a Exor, società presieduta da John Elkann e parte di FCA (toh!) e che ha tra l’altro recentemente acquistato il 34,7% dell’Economist. Della serie: me ne vado ma lascio lo spazzolino a casa tua, non si sa mai (Exor si è impegnata a dismettere questo 5% entro il primo trimestre del 2017, staremo a vedere).

Insomma Itedi si ingloba nel Gruppo L’Espresso e si viene così a creare il più grande gruppo editoriale del mercato italiano (con prospettive di controllo del mercato del 20%), così suddiviso: 43% a De Benedetti, 16% a FCA (che anche qui distribuisce l’11% ad azionisti e il 5% ancora a Exor), il 5% a Perrone e il restante 36% in flottante. Il risultato è che, quindi, avremo fra poco più di un anno Repubblica e La Stampa sotto un unico editore, che controllerà anche una miriade di quotidiani locali, da Il Secolo XIX al Messaggero Veneto passando per le varie Gazzette dell’Emilia Romagna.

Se poi ricordiamo che lo scorso ottobre Mondadori ha acquistato per 127,5 milioni di euro Rcs Libri (e quindi, oltre ai già posseduti Einaudi, Piemme e Sperling&Kupfer anche i marchi Rizzoli, Bompiani, Fabbri e Marsilio) controllando così il 35% del mercato dell’editoria d’autore, basta poco per capire come ci si trovi sempre più di fronte alla creazione di veri e propri oligopoli dell’informazione dove il lettore, per informarsi, deve abbeverarsi da fonti in mano a pochi grandi imprenditori legati all’industria, alla politica, allo sport e chi più ne ha più ne metta. In questo senso per Mondadori parla la storia di Berlusconi, per Rcs parlano i soci e azionisti Mediobanca, Della Valle, Pirelli e Unipol, per il (nuovo) Gruppo L’Espresso basti sottolineare come parte dell’11% delle quote distribuite da FCA vada a Jacaranda Caracciolo Falck, figlia del fondatore di Repubblica Carlo Caracciolo (fratello di Marella, moglie dello scomparso Gianni Agnelli).

Sì, ci sono dietro anche tutti i problemi economici del settore dell’editoria, ma per questo vi lascio a questa intervista di Enrico Mentana a Lettera43. Ché fra numeri, percentuali, azioni e parentele/amicizie varie vi sarà venuto il mal di testa. Ma sicuramente non di più che all’Antitrust e al cosiddetto pluralismo dell’informazione.

Giuliano Martino

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