Per le donne bisognose, abusate e depresse l’unica possibilità di sollievo dalla propria disperazione è la cura da parte di operatrici della salute mentale autodidatte.
Questo articolo è pubblicato originariamente in inglese su New Frame.
L’autore dell’articolo, Sanket Jain, è un giornalista e fotografo con base a Kolhapur.
Traduzione di Adele Casciaro.
Dopo aver dato alla luce il suo primo figlio nel 2007, Neeta Khandekar* non è più tornata a casa dal marito per otto anni. Tutto è iniziato con una fattura di 5000 rupie indiane (€60) che a detta del marito di Neeta, Ritesh*, doveva essere pagata dai suoceri.
Ritesh credeva nella tradizione conservatrice per cui è la famiglia della madre a doversi fare carico delle spese mediche del primogenito. Il padre di Neeta, Mangesh*, sosteneva che, avendo interrotto la sua prima gravidanza, questo bambino era il suo secondogenito e quindi non ricadeva sotto la sua responsabilità. Questa battaglia tra l’ego dei due uomini è degenerata in scontri verbali, portando le due famiglie ad ignorarsi a vicenda.
Otto anni dopo, nel 2015, Neeta e suo figlio vivevano ancora separati da Ritesh. “Nonostante tutto quello che è accaduto, ci amavamo e volevo tornare da lui”, afferma Neeta, profondamente colpita a livello mentale dalla lotta tra suo marito e suo padre. “Volevo liberarmi da questi scontri insensati”.

Così Maya Patil, un’operatrice socio-sanitaria accreditata (ASHA) del villaggio di Khutwad nel distretto di Kolhapur (Maharashtra), è intervenuta dopo essere venuta a conoscenza della storia. Ha contattato un’ASHA di Shirol nel Kolhapur, Netradipa Patil, in cerca di aiuto. Alla fine, dopo interventi complicati e discussioni che hanno coinvolto entrambe le famiglie, il problema è stato risolto e Neeta è tornata a casa.
“Tutto si è risolto perfettamente e il legame tra le due famiglie è stato rinsaldato”, afferma con orgoglio Maya. Netradipa aggiunge: “questo problema aveva le sue radici in tradizioni sessiste, ma grazie a un’assistenza adeguata alla fine abbiamo fatto in modo che i due uomini lasciassero andare il proprio ego”.
Insieme, Netradipa e Maya hanno formato più di 20 ASHA che hanno aiutato centinaia di donne come Neeta. Le ASHA, che sono essenzialmente operatrici sanitarie di comunità, lavorano principalmente nei distretti rurali. I loro servizi sono inestimabili in queste zone in cui, le strutture sanitarie pubbliche sono poco diffuse e le lunghe distanze tra le cliniche e gli ospedali rendono difficile accedervi.
Medha Kale, un’attivista con base a Maharashtra che si batte da più di vent’anni per una migliore assistenza sanitaria per le donne, afferma che spesso le ASHA sono come delle “guru della mente” per quelle donne provenienti dalle famiglie più bisognose. “Dal momento che fanno parte della stessa comunità, capiscono i loro problemi, le loro tensioni e preoccupazioni, e le fanno meglio dei professionisti della sanità”.
Un aiuto necessario
Si stima che nel mondo 736 milioni di donne abbiano subito violenza fisica o sessuale, se non entrambe. Netradipa voleva aiutare le donne vittime di abusi nel suo paese di origine creando un movimento solidale in loro sostegno. Da allora l’iniziativa si è espansa in più di 10 paesi, il che è significativo in quanto si stima che l’86% delle donne in India che subisce violenza, non cerca aiuto.
Nel corso delle sue visite nelle comunità rurali Netradipa identifica le donne abusate e depresse, prende i loro contatti e le invita a chiamarla quando ne sentono il bisogno. Prima che le donne si aprano ci vogliono svariate telefonate, afferma Netradipa, e recarsi ripetutamente a casa di una vittima di abusi è rischioso a causa dell’opposizione dei suoi familiari, soprattutto degli uomini. Grazie alla sua rete di socio-attivisti, predispone un aiuto locale se i casi non sono nelle sue vicinanze.
Oggi i social media le permettono di inviare a queste donne poesie motivazionali, messaggi e video, e ha perfino creato un gruppo WhatsApp per fornirsi supporto reciproco. Le videochiamate rappresentano un altro mezzo di aiuto concreto offerto da Netradipa.
“Niente di tutto ciò rientra nei nostri doveri ufficiali, ma lo facciamo perché le persone si fidano di noi”, dice Netradipa. “Non abbiamo ricevuto una vera formazione sulla salute mentale, ma abbiamo imparato tutto dall’interazione con le persone”.

Le ASHA fanno molto di più di ciò che il distretto sanitario si aspetta da loro, come parlare con la polizia e occuparsi delle questioni legali quando le donne vengono violentate. Nonostante questo, il governo non le riconosce come lavoratrici a tempo pieno.
“Ancora oggi siamo delle volontarie e non abbiamo tutele legali, nemmeno un salario minimo”, sostiene Netradipa, a capo del sindacato delle ASHA di Kolhapur che rappresenta più di 3000 operatrici.
“Le ASHA nel Maharashtra hanno in media una paga mensile tra le sole 3500 e 4000 rupie (€42-48)”, aggiunge Maya. “Scordatevi che i servizi della sanità mentale siano retribuiti, il nostro distretto non sa nemmeno come siamo riuscite a costruire un sistema di supporto per le donne”.
Salvare vite
Ad ottobre 2021 Shreya Sardesai* non ha risposto alle chiamate o ai messaggi di Netradipa per tre giorni. Quando si è recata a casa di Sardesai, l’ha trovata in lacrime mentre ripeteva che la vita non aveva più senso. Netradipa ha subito portato la donna, in depressione, a casa sua a Shirol, a 25km da lì. “È svenuta tre volte prima di arrivare a casa mia”.
Dopo la morte di suo marito, Sardesai ha subito abusi fisici e mentali e alla fine è stata abbandonata dalla sua famiglia e dai figli. “Ha tentato il suicidio quattro volte”, afferma Netradipa, la quale ha portato Sardesai in un ospedale di Shirol. “Non faceva altro che dormire e non ha aperto bocca per cinque giorni”.
C’è voluto un mese prima che Sardesai si aprisse su quello che le era successo dopo la morte del marito. Un uomo del suo villaggio si era innamorato di lei e, dopo che lei aveva rifiutato le sue attenzioni, mentre la stava accompagnando in ufficio le ha dato dei biscotti contenenti dei sedativi. Poi ha registrato dei video mentre abusava sessualmente di lei e ha iniziato a ricattarla. Il caso divenne pubblico e lei si licenziò.

Quando i genitori di Sardesai hanno saputo che era da Netradipa, hanno sporto denuncia alla polizia sostenendo che non fosse al sicuro. Questo ha costretto le due donne a recarsi presso un commissariato a 40km di distanza, in modo che Sardesai potesse rilasciare una dichiarazione in cui ne sosteneva la falsità. Dopo aver condotto delle indagini la polizia ha archiviato il caso.
Netradipa ha assistito Sardesai almeno quattro ore al giorno per 45 giorni, si è occupata del cibo e delle medicine e l’ha aiutata a riprendersi. L’ha anche fatta visitare da svariati dottori. “Parole motivazionali come ‘non mollare’ da sole non aiutano”, sostiene Netradipa. Ha portato Sardesai da uno psichiatra, che le ha prescritto degli antidepressivi, e pian piano le ha insegnato a meditare e a fare esercizio.
Nonostante questi traguardi, Netradipa era consapevole che Sardesai potesse ricadere nella depressione. Infatti a metà dicembre, quando Sardesai è tornata al suo villaggio, ha sì sospeso gli antidepressivi, ma per assumere fino a cinque sonniferi al giorno allo scopo di evadere dalla realtà.

Questa volta ho avvertito alcuni membri della comunità di prendersi cura di lei e di tenermi aggiornata”, dice Netradipa. Questo è stato di aiuto per Sardesai, che pian piano ha iniziato a sentirsi al sicuro all’interno del villaggio da cui voleva fuggire. “Adesso ho iniziato a viaggiare da sola e non voglio più tornare nello stesso circolo vizioso”, afferma Sardesai.
Ora scrive a Netradipa tutti i giorni e cerca attivamente un lavoro, oltre a provare a iscriversi a un corso di laurea. “Nemmeno i miei genitori avrebbero fatto così tanto. Non lo dimenticherò mai”.
“Ancora oggi, dopo quasi cinque mesi, mi sorprendo quando guardo Shreya. Non ha solo superato il suo trauma, ma mi ha anche ispirata a continuare il mio lavoro”, afferma Netradipa.
*I nomi sono stati cambiati per rispettare la privacy delle persone coinvolte.
Foto di copertina: 5 Giugno 2021: Netradipa Patil abbraccia una donna vittima di violenza domestica. Patil l’ha aiutata a riprendersi dalla depressione.
Fonte: Sanket Jain