Qui non sei al sicuro: dinieghi, ricorsi e il ritorno della paura

Qui non sei al sicuro: dinieghi, ricorsi e il ritorno della paura

a paura, quella che viene dalla disperazione della guerra e della fame, non sia di casa in Italia. Quando vediamo le immagini della Siria pensiamo che sia laggiù, in quelle terre lontane e disgraziate, che si concentrano i drammi della storia. In parte, abbiamo ragione: abbiamo la fortuna di non vivere sotto il coprifuoco, di non , quando arrivano in Italia dopo il loro lungo viaggio cominciato dalla foce acquitrinosa del Brahmaputra in Bangladesh, o dalla periferia frastornante di Benin City in Nigeria. Il viaggio è concluso, la vita va avanti. I richiedenti asilo aspettano di essere convocati davanti alla Commissione Territoriale, che ha il compito di valutare la loro richiesta di protezione. Se la Commissione ritiene che ci sia effettivamente pericolo al rientro nel loro paese, la protezione viene accordata. Ed ecco che diventano rifugiati. Ora, è il tempo di iniziare una nuova vita in terra italiana, con tutte le difficoltà di un’economia scricchiolante ma con una buona dose di speranza. È la speranza che deriva dall’avere un permesso di soggiorno in tasca. Se la risposta alla domanda di protezione è negativa, invece, che succede? Ecco che torna, la paura. Ed è una paura paralizzante, senza scampo: gli si dice che se ne devono andare. E non andare in un altro paese in Europa, ma tornare a casa, al punto di partenza, a quel paese che hanno rischiato la vita pur di abbandonare. La Commissione ha deciso che non c’è rischio per loro, laggiù. Una vita di stenti, di crimine e di sfruttamento non è un rischio abbastanza concreto, per la legge sulla protezione internazionale. Secondo i dati Eurostat, in Italia, sulle 35.180 decisioni assunte nel 2014, quelle È una buona percentuale, superiore alla media europea. Ma significa anche che più del 40% dei richiedenti asilo hanno hanno ottenuto il diniego, sono stati “diniegati”. È difficile spiegare quello che succede dopo, specie quando si ha davanti lo sguardo vuoto di un ragazzino di vent’anni del Senegal. Le scelte per chi ha avuto il diniego sono tre. La prima, . In un modo o nell’altro, è una via che non percorre nessuno. La seconda, è . Lo Stato ti nega la protezione, ti toglie i documenti, ma non ti porta alla frontiera. I migranti diventano irregolari sul territorio. Dopo più di un anno in cui hanno tentato di regolarizzarsi, di ottenere documenti che permettessero loro di accedere a un lavoro normale, scompaiono nel ventre criminale del sottobosco italiano. Per loro, adesso, si aprono mesi di vita in strada, di lavori in nero, di raccolta di ortaggi in situazioni disumane, di criminalità. Non si può più essere molto schizzinosi, ora che sono tutti soli. E la mafia ne gode, i padroni disonesti ci ingrassano, la sicurezza ne soffre, e i partiti populisti di destra additano ai migranti pericolosi che alimentano lo spaccio e le rapine. . La decisione della Commissione si può impugnare, ma dev’essere fatto da un avvocato, in un tribunale. I tempi per presentare il ricorso sono di trenta giorni. I n quei trenta giorni i richiedenti asilo dovrebbero trovare un avvocato, trovare un accordo sul pagamento del ricorso, presentare la domanda . Fare il ricorso a volte paga, sono molte le decisioni restrittive o addirittura palesemente infondate delle Commissioni che vengono rovesciate dai tribunali. Ma si può immaginare quanto sia difficile trovare un avvocato per una persona molto spesso priva di reddito, con una scarsa conoscenza della lingua e con una rete sul territorio quasi assente. In sostanza, i dinieghi stanno creando una nuova popolazione di “clandestini”. Sono persone alle quali è stato permesso di passare un anno in Italia, imparare un po’ di lingua, abituarsi ad una vita tranquilla e sicura. E all’improvviso, questa vita finisce, con la strada come unica reale alternativa. È chiaro da subito che il sistema di asilo non li accoglierà tutti. Ciononostante non viene proposta nessuna alternativa, né utopica come un permesso umanitario per tutti, né spaventosa come rimpatri forzati di massa. L’unica risposta è un colpevole silenzio e la consapevolezza che, al contrario di quanto si è creduto, qui non si è al sicuro. Clicca per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)