Oltre “Binxêt”. Conversazione con il regista Luigi D’Alife

Oltre “Binxêt”. Conversazione con il regista Luigi D’Alife

c’è un popolo diviso, un popolo il lotta. Da una parte del confine – lungo 911 km – c’è la dittatura di : l’amministrazione autonoma del Kurdistan occidentale, dove il “confederalismo democratico” di Öcalan è realtà, terra di lotta e di speranza. È s che si gioca la battaglia contro Daesh ed è qui che ha viaggiato , testimonianza della battaglia del popolo curdo, della violenza repressiva della Turchia e delle responsabilità dell’Europa. Dall’ultimo viaggio, nel maggio 2016, ho lavorato un anno al documentario. Non c’è stato modo di ritornare. Ma la volontà è di tornare in Rojava e soprattutto in La prima volta eri entrato in Rojava illegalmente, e quel confine è diventato il protagonista principale del tuo documentario. La Turchia lo sta murando, con una tecnica che ricorda quella del muro israeliano in Palestina, e l’intenzione è di concludere il muro entro la fine del 2017. Alla fine sarà lungo 828 km, diventerà praticamente impossibile attraversarlo. era costruito in pochissime zone del confine turco-siriano, la presenza è diventata sempre più visibile e costante. Già nella primavera del 2016 ne era stata costruita la maggior parte ed . Ci sono stati molti scontri in quella lingua di terra: spacca a metà un popolo e con esso tutti i collegamenti , perché in Rojava le strade che uniscono le città principali sono proprio sul confine. Chi vive in quelle zone ovviamente ha trovato escamotage per passare da una parte all’altra, ma questa costruzione ha comportato diverse situazioni di . Le persone che vengono uccise, ferite, da parte dei militari turchi sono una costante, nel Quando il muro sarà ultimato sarà quasi impossibile entrare e uscire. Oltre al muro in sé, alto 3 metri e sovrastato da un altro metro di filo spinato : accade così che, quando qualcuno entra in un certo raggio dalla linea del confine, scatta un denuncia la situazione al confine attraverso riprese e interviste a chi affronta questa realtà ogni giorno. Riza Altun, uno dei fondatori del PKK, che tu hai incontrato, parla di un doppio massacro: quello di un popolo e della sua cultura. Alcuni contadini che vivono sul confine spiegano che non possono nemmeno coltivare i loro campi perché i militari turchi sparano a vista. E mentre i curdi non possono attraversare il confine, le milizie di Daesh e Al-Nusra continuano a passare grazie agli accordi con MIT e l’esercito turco. Oltre a questo, nemmeno nei campi di accoglienza allestiti dal governo è cambiato il trattamento per il popolo curdo: “Non ci nominano nemmeno”, dice una donna, e in molti scelgono di abbandonare poi quei campi per far ritorno in Rojava. per la gestione dei flussi migratori, è complice di questo massacro che ormai è sotto gli occhi di tutti. Com’è possibile che non si faccia nulla? nel sottoscrivere accordi criminali, che hanno pesanti ricadute sulla vita delle persone. L’Unione Europea, oltre a , che ha ripercussioni sulla politica sia interna che estera. A partire dall’autunno del 2015, quando iniziarono i colloqui, fino alla stipula dell’accordo, l’esercito turco predispose alcuni tra gli attacchi più pesanti contro i curdi: a . Non si può più dire che le cose non si sapevano. L’Europa sottosta al ricatto dell’immigrazione. E così ha svenduto quei valori che dice essere fondanti dell’Unione Europea, aprendo la strada ai progetti autoritari di Erdogan. con cui gli abitanti del Kurdistan iracheno sono andati a votare per l’indipendenza? Ovviamente è un progetto politico diverso rispetto a quello del Rojava, è un quasi invito alla secessione dell’area autonoma dell’Iraq curdo. e personalmente ritengo che il futuro non dovrebbe essere quello di rivendicare un nuovo Stato. Ma chiaramente , ed è bene che il governo centrale di Baghdad ascolti il governo del Kurdistan iracheno. si è già riunito e sembra che le milizie sciite stiano assembrando truppe a , che non fa parte della Regione autonoma curda ma è stata occupata dai Peshmerga nel giugno del 2014. La sarebbe terribile e devastante. Il Kurdistan iracheno tra l’altro è un , dove la situazione si complica proprio a causa dei numerosi . Sempre in un’ottica di autodeterminazione, qui è ancora diverso, per esempio, rispetto alla Bandiere della Catalogna e del Kurdistan durante una manifestazione a Barcellona – Fonte: Visto che ne hai parlato, ho sentito molte persone mettere a confronto le rivendicazioni di indipendenza dei catalani con quelle curde. in un primo momento poteva somigliare a quello che è successo in Rojava, ma ora con la volontà di indipendenza ci si avvicina di più a quanto è accaduto con il . Parlare di rivendicazione e indipendenza è comunque sempre complicato perché le tendenze sono molteplici. La “confederazione democratica” del Rojava si è costituita in un contesto di guerra civile, di vuoto di potere. Sarebbe bene prenderne spunto, non per creare un nuovo Stato ma qualcosa di completamente diverso. Infatti il concetto dello “stato-nazione” è quello che i curdi in Siria stanno combattendo , proprio perché hanno vissuto sulla loro pelle la violenza dello Stato. Uno Stato non può essere “Kurdistan” solo perché ci viviono i curdi. Ed è per questo che si è dichiarata una e non più Rojava, i cui popoli si riuniscono e autogovernano: quello era un concetto e una parola che interessava solo i curdi. Bisogna fare attenzione, perché il problema dei nazionalismi è sempre dietro l’angolo. Nel frattempo però quello del Rojava è diventato un vero e proprio mito. Un po’ come la prima Unione Sovietica. Sì, è vero. C’è la tendenza a pensare che i processi di rivoluzione siano brevi, che si possano spiegare facilmente. ma è il caso di domandarsi che tipo di supporto si può portare a quella rivoluzione, partendo dal presupposto che essa stessa si nutre di . Quello della Siria del Nord è un processo rivoluzionario che va a sconvolgere gli equilibri della società, è prima di tutto una , al centro di questo processo, proprio perché in quelle zone, in Medio Oriente, sono concetti che vanno a sconvolgere gli equilibri della società. Io non mi ero mai trovato in un territorio dove è in corso una rivoluzione. Ho visto le all’interno della società, smantellare il patriarcato, il sessismo, il maschilismo. Anche se poi l’immagine della donna combattente con il kalashnikov è stata appunto mitizzata e strumentalizzata, addirittura utilizzata come brand da alcune marche. Ma il processo in corso c’è davvero, quello che accade nella Siria del Nord, in Rojava, deve essere sostenuto. È una Tu parli di rivoluzione da sostenere: c’è chi ha imbracciato le armi ed è andato a combattere al fianco del popolo curdo, chi è partito con una macchina fotografica e una telecamera per documentare questo momento storico. Cosa si può fare da qui? È vero, in tanti siamo andati, ma non è assolutamente necessario partire per essere di supporto. Si può partecipare a un’iniziativa, a un corteo, alla L’accordo dell’Unione Europea con la Turchia è uno degli aspetti più importanti su cui costruire una lotta in Italia , le autorità devono prendere posizione su quanto sta accadendo. Bisognerebbe costruire una sensibilità collettiva anche sulla questione della : l’Italia fornisce elicotteri e armi alla Turchia, quelle stesse che vengono usate per uccidere i curdi. Il nostro ruolo quindi è fondamentale. Quando li ho incontrati, le compagne e i compagni del PKK mi spiegavano quanto è importante la nostra visione delle cose, a livello europeo, perché “il mostro capitalista si annida in Europa”. Ci si deve porre la domanda: Prendere parola e provare a mettere in campo una qualsiasi forma di sostegno sarebbe un enorme verso le migliaia e migliaia di persone morte nella guerra contro l’Isis