Da anni ormai, le cronache sulla dittatura della Corea del Nord tornano con una certa costanza e periodicità all’attenzione dei media: regole rigidissime, parate militari che evocano gli scenari, il clima prebellico e inquadrato della Germania di Hitler. Oggi, invece, conviviamo quotidianamente con le notizie sull’ennesimo test missilistico, sull’ultimo scontro verbale con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Dedurre che la Corea del Nord sia affetta da un regime malato è chiaro e alla portata di tutti, ma a livello di vita quotidiana cosa significa veramente vivere in Corea del Nord? Che prezzo pagano i cittadini in termini di libertà e di diritti per far sì che si mantenga un regime simile?

Campi di prigionia e altre violazioni
Partendo dal caso più grave, quello dei prigionieri politici, l’ONU nel 2013 aveva già registrato centinaia di migliaia di persone uccise negli anni nei campi di detenzione. In alcune testimonianze raccolte, si parla di violenze, esecuzioni, torture, persone tenute senza cibo per giorni, costretti a nutrirsi di erba per sopravvivere, proprio come nei campi nazisti. O ancora, punizioni durissime, a volte mortali, inflitte gratuitamente, come il caso della madre che, dopo aver partorito, è stata costretta ad annegare il suo stesso figlio, o della donna costretta a ingoiare terra fino al soffocamento, perché sorpresa a mangiare dei fili d’erba.
Dal punto di vista giuridico e sociale, le regole implicite ed esplicite che consentono di attuare e di mantenere un simile sistema di governo sono le più svariate, a partire dal controllo della vita sociale e dal monopolio statale sull’informazione: si vietano così tutte le forme di libertà di pensiero, religione, opinione, espressione, associazione. Il tutto accompagnato da una costante e mirata azione di propaganda da parte dello Stato, che si impegna a trasmettere un ossessivo culto della personalità del leader. Le eventuali forme di dissenso a questo sistema vengono immediatamente rilevate e severamente punite da parte degli apparati di controllo, in questo senso è vietata la visione di trasmissioni estere, anche le soap opera, mentre gli unici programmi consentiti sono quelli ufficiali forniti dallo Stato. L’accesso a internet è consentito solo a pochi fidati e le chiamate sono controllate, nonché vietate e perseguitate quando destinate all’estero. Affiancata a queste vi è la campagna di odio nei confronti dei principali Paesi nemici tra cui Stati Uniti Giappone e Corea del Sud.
Anche per quanto riguarda la religione, l’unica forma consentita è quella del “culto del capo”, mentre le altre dottrine sono considerate delle minacce all’ordine istituito. Inutile dire che chi segue una religione diversa da quella del leader supremo viene perseguitato e punito.
Songbun, il sistema delle caste coreano
Come se tutto questo non bastasse a compromettere gravemente lo stato dei diritti umani nello Stato di Kim Jong-un, in Corea del Nord vige anche un sistema sociale simile a quello delle caste indiane. Il Songbun infatti prevede che lo Stato classifichi le persone alla nascita sulla base di classi sociali prestabilite che determinano, oltre ai prevedibili accesso allo studio e luogo di lavoro, anche l’accesso al cibo in caso di carestie. In particolare, lo Stato gestisce gli alimenti in modo da dare priorità nella distribuzione del cibo ai cittadini ritenuti più importanti, tralasciando quelli considerati “inferiori”, con tutti i danni alla salute che ne conseguono. Questo genera a sua volta uno stato di segregazione che caratterizza l’intero Paese: i cittadini non possono scegliere dove vivere o lavorare, isolandoli dai contatti civili tra di loro e con il mondo esterno. In particolare, sono severamente vietati gli spostamenti e le migrazioni verso altri Paesi, pena il rimpatrio e le conseguenti torture.
In tutto questo, prevedibilmente, l’impunità nei confronti di chi viola i diritti umani riconosciuti a livello globale regna sovrana: le forze di polizia e di sicurezza sono libere di esercitare violenza sulla popolazione civile senza incappare in alcuna sanzione o denuncia, l’importante resta il reprimere ogni minima forma di minaccia o di possibile debolezza del sistema. I delitti politici vengono compiuti senza troppe cerimonie: le persone scompaiono senza lasciare traccia, le famiglie non ricevono spiegazioni.
Il fatto che tutto questo rappresenti solo una panoramica, uno scorcio delle restrizioni e delle violazioni dei diritti umani che si vivono quotidianamente in Corea del Nord dovrebbe bastare come campanello d’allarme e spunto di riflessione, nonostante sia bene tenere a mente che le cause che hanno portato all’instaurarsi di un simile regime siano ben più complicate di come come possono sembrare.
Elena Baro
[Fonte dell’immagine di copertina: AP Photo/KRT/IlPost
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