Fin dalla sua introduzione nel panorama sovietico, la Vyssaja Liga, la prima divisione calcistica sotto la falce e il martello, non fu mai omogenea, se non per un aspetto. Infatti cambiarono il numero di squadre (da un minimo di 11 a un massimo di 26), i regolamenti, persino i criteri di assegnazione dei punti da un campionato all’altro. Ma non cambiò mai la predominanza delle squadre moscovite (Dinamo, Spartak e CSKA, in tutte le sue varie denominazioni). Almeno fino agli anni ’60. Infatti, nel terzo decennio dalla nascita del campionato, la prima novità fu la vittoria del Torpedo, altra formazione della capitale. Ma nel 1961, venne a sgretolarsi il monopolio non solo moscovita, ma russo, sulla Vyssaja. A vincere in quell’anno infatti fu la Dinamo Kiev, che inaugurò così il suo ciclo vincente, che tra alti e bassi la porterà ad essere la squadra più vincente di tutta l’Unione. Infatti in bacheca la Dinamo ucraina potrà vantare 13 scudetti, 9 Coppe dell’URSS e tre supercoppe sovietiche, senza contare i successi giunti con il crollo dell’Unione Sovietica. La maggior parte di questi successi, comprese anche 2 Coppe delle Coppe, una Coppa UEFA e 4 Coppe dei Campioni della CSI, ebbero un unico protagonista, perlopiù seduto in panchina. Era il colonnello Valeri Lobanovski, e tutti guardavano quella (anche se è più giusto parlare al plurale) Dinamo come l’officina per il calcio del futuro.
Le storie di Valeri Lobanovskij e della Dinamo di Kiev si incrociano per la prima volta nel 1955, quando viene aggregato alle giovanili della squadra della città dove era nato nel 1939. L’inserimento in squadra è molto positivo, gioca come attaccante esterno insieme a Basilevich e Kanevski, che nel 1961, anno del primo storico scudetto sovietico, sarà capocannoniere della squadra. Con la Dinamo giocò 144 partite, segnando quasi cinquanta reti e diventando nel frattempo Colonnello dell’Esercito Sovietico. Ma nel 1964, dopo aver vinto la Coppa, litigò ferocemente, per l’ennesima volta, con l’allenatore Mazlov, ed accusandolo di lasciare poco spazio alla fantasia e all’estro dei singoli lasciò la squadra. Ricordatevi queste parole. In ogni caso, Lobanovskij si accasa prima ad Odessa, al Chornomorets, e poi allo Shaktar di Donetsk, ed in ogni stagione va sempre in doppia cifra per realizzazioni. A 29 anni lascia il calcio giocato, dopo aver indossato due volte la maglia della rappresentativa sovietica.
Praticamente il giorno dopo il ritiro, diventa allenatore. È il tecnico più giovane dell’Unione, e siede sulla panchina del Dnepr, in seconda divisione. Tre anni dopo, continua ad essere l’allenatore più giovane, ma il Dnepr, quello che oggi è il Dnipropetrovsk, è stato promosso in Vyssaja. Piccolo dettaglio, non trascurabile nella storia di Lobanovski. In quel momento il Dnepr è la squadra dello Yugmash, l’agenzia spaziale sovietica. Ma siamo appena entrati negli anni 70′, la Guerra per lo Spazio è stata vinta dagli Stati Uniti non appena un americano ha messo piede sulla luna, e centinaia di supercomputer sono di fatto inutilizzati. Lobanovski se ne fa consegnare uno.

Appositamente per lui, viene sviluppato un programma che analizza le prestazioni dei suoi giocatori, schedando pregi e difetti, punti forti e punti deboli. Un immenso database, che poco a poco si arricchisce. Oggi sembra una cosa normalissima, ma pensatelo nell’Unione Sovietica di quarant’anni fa. Rivoluzione.
Man mano che procede l’evoluzione di Lobanovski da giocatore ad allenatore, si scopre che le sue idee sono le stesse del suo precedente allenatore, Mazlov. Gli allenamenti sono sfiancanti e distruttivi, portano esattamente al limite della sopportazione ogni giocatore. Mai oltre. In campo non esiste singolo, ma solo il collettivo. I nomi non sono importanti, gioca chi sta meglio e chi può far meglio contro l’avversario di turno.

I risultati ottenuti con il Dnepr fanno sì che nel 1973 Valeri si trasferisca nuovamente alla Dinamo. Lì fa arrivare anche Valentin Petrovski, il preparatore atletico di Valerij Borzov, doppio oro olimpico nelle insanguinate Olimpiadi di Monaco. I risultati sono eccezionali. La forma fisica della Dinamo è nettamente superiore rispetto a qualsiasi altro avversario. Al termine del primo anno da allenatore a Kiev, la Dinamo conquista sia il campionato che la coppa Sovietica, mai successo dalla loro fondazione. Nel secondo anno, arriva pure la Coppa delle Coppe, vinta contro gli ungheresi del Ferencvaros, e la Supercoppa europea, a discapito del Bayern Monaco. Il successo internazionale gli apre le porte della Nazionale. E’ l’allenatore perfetto per portare alla vittoria il collettivo sovietico, che contrasta totalmente con l’idea di calcio dell’Europa Occidentale. Attenzione però, non è che nella Dinamo di Lobanovski il singolo sia schiacciato. Solamente è al servizio del gruppo. Proprio l’anno della Coppa delle Coppe, a vincere il Pallone d’Oro è Oleg Blochin, ventiduenne di Kiev.
Inutile dire che il Lobanovski ct travasa l’intera Dinamo in Nazionale, tanto che i vertici del calcio sovietico spostano la sede delle partite da Mosca a Kiev. In realtà però non arrivano le vittorie sperate, all’Europeo la squadra va male e alle Olimpiadi arriva solo il bronzo, tanto che l’esperienza sulla panchina della Nazionale dura solo un anno.
La sua Dinamo diventa la squadra dell’Unione Sovietica, incoraggiata proprio dai vertici dell’URSS che vedono le vittorie di Kiev come sintomo di unità nel paese. In realtà, mentre passano gli anni, l’Unione è sempre meno unita, ma la Dinamo continua a sfornare campioni e titoli, mentre Lobanovski torna ad essere ct della nazionale altre due volte nel corso degli anni ’80. Nel 1986 arriva anche la seconda Coppa delle Coppe, vinta sull’Atletico Madrid di Luis Aragones, ed il secondo Pallone d’Oro, conquistato questa volta da Igor Bjelanov. Proprio lui, arrivato l’anno prima, racconterà che al suo primo allenamento con la maglia della Dinamo, i compagni in pochi giri di campo lo doppiarono due volte, e si demoralizzò tanto da voler andare subito via.

Alla fine degli anni Ottanta, Lobanovski è nuovamente CT, senza mai lasciare la panchina della Dinamo. Ma il periodo d’oro è finito. Sia in patria, dove Kiev non è più la capitale del calcio, sia in Nazionale, dove i giocatori realmente talentuosi sono pochi. Italia ’90 è l’ultima possibilità per l’intera Unione Sovietica. Possibilità che non viene sfruttata, perchè il viaggio dell’URSS si ferma ai gironi.
E’ il capolinea. Di Lobanovski e dell’Unione. Mentre la patria crolla sotto i colpi del capitalismo, lui va negli Emirati Arabi Uniti prima ed in Kuwait poi, per allenare le nazionali. Tanti soldi ma poca gloria. I giocatori, dilettanti, spesso non si presentano nemmeno agli allenamenti. Sembra la fine.
Ma nel 1996 arriva, di nuovo, la chiamata. E’ ancora Kiev, ma questa volta intorno c’è l’Ucraina. E di nuovo si vince. Ovvio, intorno c’è poco o niente, le squadre di Mosca, di Tblisi e di Yerevan giocano in altri campionati, ma comunque torna a vincere. In sei anni vince cinque campionati e tre coppe nazionali.
Allenerà anche un giovane, che partirà presto in direzione Milano. E a dimostrazione dei suoi metodi di allenamento, quando questo giovane ucraino arrivò in Italia, ai primi allenamenti nessun compagno riusciva a stargli dietro, ed all’inizio credeva che quello che era allenamento pesante per tutti gli altri fosse solo riscaldamento. Andrij Shevchenko vincerà il Pallone d’Oro nel 2004 e la Champions League nel 2003.
Ma Valeri Lobanovski non farà in tempo a vederlo. Era morto infatti nel 2002, sulla panchina della Dinamo durante una partita a Zaporizzja. Dopo aver vinto la Champions ed anche dopo aver ricevuto il Pallone d’Oro, Sheva prende un volo direzione Kiev, per portare la sua medaglia sul monumento al Colonnello, posto sul viale Dimitri Lobanovski e di fronte allo Stadio Dinamo Lobanovksi.
Marco Pasquariello