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Sudafrica, gli studenti “coloured” in piazza per poter studiare

Anzio Jacobs è un sudafricano nero, figlio del post apartheid e di una madre single. Nero sì, una precisazione indispensabile. Questa storia, infatti, nasce e si sviluppa sulla base di questa divisione. Da una parte i coloured e dall’altra i bianchi. Figli e nipoti dei primi Afrikaner provenienti, principalmente, dall’Olanda. Quando Anzio cominciò a studiare, i neri vivevano in quartieri periferici. Per raggiungere la scuola dovevano camminare per ore ed ore. Oggi, dopo un ventennio, lui e quelli come lui vivono ancora in ghetti isolati lontani dal resto della “civiltà”. A guardarla da questa prospettiva, infatti, la segregazione non sembra essere mai finita.

Anzio e i suoi amici la pensano, quasi, tutti così. La loro opinione, si fonda su un preciso stato di cose. Quello che vede, gli studenti bianchi, portare nel cestino della merenda deliziose tavolette di cioccolato. Mentre, i loro colleghi neri nient’altro che tozzi di pane duro del giorno prima. Devono parlare un inglese impeccabile e, soprattutto, parlare poco soppesando con attenzione le parole da dire. Infatti, dice Anzio, l’accesso all’istruzione per noi è sempre stato considerato come un dono. Concesso magnanimamente dai bianchi, che come tale non deve e non può essere criticato.

A 25 anni frequenta ancora il secondo anno di università. No, non è uno con la testa fra le nuvole Anzio. Il suo unico problema è che non potendosi permettere di pagare le rate universitarie ha dovuto ricominciare il ciclo di studi. Quello che lo ferisce di più, però, è dover ammettere che il “razzismo è ancora una realtà”. Gli studenti neri, infatti, sono sovente oggetto di bullismo e delle umiliazioni degli studenti bianchi. Nessuno fa niente, però. Come se sovvertire l’ordine costituito sia impossibile ancora oggi. I bianchi, continua Anzio, ricevo stipendi 4 volte maggiori dei neri e hanno la possibilità di accedere a posizioni professionali di gran lunga migliori.

studenti sudafricani protestano per i loro diritti

È proprio qui, allora, che la nostra storia prende una piega diversa, inaspettata. L’immagine simbolo adesso è Zulaikha Patel. Una studentessa nera come tante, ma con un spirito battagliero. Tanto da diventare l’icona delle proteste che sono esplose un po’ in tutte le università sudafricane. Le sue braccia incrociate sopra la testa in segno di sfida, quasi si perdono in mezzo a quei foltissimi capelli ricci. “Acconciature Afro” le chiamano. Dopo che la prestigiosa Pretoria High School for Girls ha cercato invano di bandirle, sono diventate l’emblema della lotta al nuovo apartheid. O meglio, al vecchio sistema di segregazionismo che, a quanto pare, non sembra ancora superato.

Un’apparente questione di stile, intrecciata però con una problematica più ampia e complessa. Quella della, faticosa, riconciliazione nazionale. Una fase transitoria che oggi, nel 2016, passa per il diritto all’istruzione. Attraverso la decisione del Governo di diminuire i finanziamenti pubblici e con, l’inevitabile, innalzamento delle tasse universitarie. La conseguenza? Un’ondata di manifestazioni e di scontri che hanno infiammato il paese, costringendo i rettori di alcune università a sospendere le lezioni e bloccare l’accesso ai campus. Temono di non poter più studiare Anzio, Zulaika e tutti i ragazzi del #feesmustfall moviment. Per questo sono scesi in piazza.

I fatti della Pretoria High School for Girls, però, sono stati solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’indignazione. Prima, infatti, era accaduto che il Preside della Curro Foundation School aveva avuto la “brillate” idea di creare classi separate, per i bianchi e per i neri. Decisione poi rientrata, ma ormai il danno era fatto. Un danno irreparabile che, unito ai casi di discriminazione raziale che hanno visto coinvolti diversi studenti coloured, ha finito per alzare la tensione alle stelle. Episodi umilianti, raccolti un film dal titolo Lustier (Listen), che confermerebbero come le nuove generazioni di Afrikaner non abbiano affatto abbandonato le “cattive abitudini” dei loro padri.

Si sa, il lupo perde il pelo, ma non di certo il vizio. Così, da un giorno all’altro, il web è stato invaso da immagini di scimmie in procinto di ritirare diplomi universitari, studenti neri costretti a mangiare cibo sporco di pipì, ragazze di colore aggredite e obbligate a parcheggiare lontano dalle zone bianche. Ciò che ne emerge, è un paese ancora ostaggio dei vecchi fantasmi. Veri e propri mostri duri da sconfiggere. In Sudafrica, infatti, qualsiasi cosa è in grado di mettere gli uni contro gli altri, persino lo sport. Neri contro bianchi. Calcio contro Rugby. Sono lontani anni luce i giorni in cui Mandela passava in rassegna i bianchissimi Springbok che si accingevano a salire sul tetto del mondo.

Nonostante il regime di apartheid sia, ufficialmente, finito da più di vent’anni, il Sudafrica sta ancora facendo i conti con il suo passato. Quel passato che fai fatica a cancellare e che, quando meno te lo aspetti, ritorna prepotente. Questo, infatti, è il paese dalle mille contraddizioni. Con un sistema economico in crisi, certo, ma che rimane pur sempre il più avanzato del continente. Allo stesso tempo, però, la povertà che lo affligge ti colpisce al stomaco come un pugno. Qui, dove il divario tra bianchi e neri, ormai, lo fa il college dal quale provieni o l’università in cui ti sei laureato. Qui, dove il colore della pelle segna ancora il confine tra il successo e il fallimento, le università sono il luogo perfetto in cui questa generazione di “nati liberi” può sfogare tutta la sua rabbia e la sua frustrazione.

Logica vuole che siano cultura istruzione a limare disparità economiche e disuguaglianze sociali. Come abbiamo già detto, però, questo è il paese dalle mille contraddizioni. Così, può accadere che siano proprio cultura ed istruzione ad allargare la forbice ricchi e poveri, tra privilegiati e diseredati. Una condizione che, a pensarci bene, accomuna questi ragazzi ai loro coetanei europei. Figli di una libertà che i loro padri poteva solo sognare, incapaci però di sfruttarla a pieno. Paralizzati come sono da un sistema che non li sostiene, ma che invece li ha lasciati “schiavi” di vecchi pregiudizi mai del tutto superati.

Mattia Bagnato

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