Prima repubblica e male minore, il referendum per noiseFromAmerika

NoiseFromAmerika.org (nFA) è una rivista online che riunisce un gruppo di economisti italiani di orientamento liberale che hanno studiato negli Stati Uniti e lì lavorano o hanno lavorato, che analizzano da un punto di vista in qualche modo esterno la situazione politica, economica e sociale italiana. Proprio per questo loro essere “in qualche modo esterni”, dicono, le loro considerazioni verranno interpretate spesso come niente più che “rumore” da chi le legge in Italia: da qui viene il nome del progetto. Ciononostante, i loro scritti sono spesso lucidi, chiari e diretti, se non addirittura spietati, e poiché anche nFA ha pubblicato alcune riflessioni sul referendum costituzionale ho pensato di raccoglierle qui, anche per dimostrare che il “rumore” non è affatto rumore.

Sul referendum si è espresso per primo, per il NO, Michele Boldrin (capolista di Fare per Fermare il Declino alle elezioni europee 2014 – giusto per darvi delle coordinate), che ora ha perso ogni interesse per la politica (attiva): al suo articolo ha fatto seguito, per il SÌ, quello di Giovanni Federico; a ottobre, poi, ha pubblicato un articolo per il NO Giovanni F. Accolla, seguito a sua volta da un articolo per il SÌ, a opera di Sandro Brusco.

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Michele Boldrin: Le mie ragioni per votare NO

Boldrin, turandosi il naso “per la pessima compagnia”, voterà NO al referendum, e il suo argomento si basa al 49% su questioni riguardanti la legge elettorale e al 51% sul merito della riforma.
Lui stesso, mettendo le mani avanti, ammette che criticare la legge elettorale che, nel concreto, non ha nulla a che fare con la riforma costituzionale non è molto corretto, ma dice anche che la legge elettorale ha un peso politico nel contesto della campagna per il referendum (e questo lo stiamo vedendo noi nelle ultime settimane – l’articolo di Boldrin è del 23 settembre). La confusione sulla legge elettorale e sul suo destino post-referendum, però, la lega comunque indissolubilmente al destino della riforma costituzionale. Secondo Boldrin, se cade la riforma va rifatta anche la legge elettorale: rigettando questo argomento, la sua opposizione alla riforma cade, come detto sopra, al 49%.
Il restante 51%, ovvero la parte più importante dell’argomento secondo Boldrin, include principalmente due temi: il bipolarismo che risulterebbe dal riassetto istituzionale e il ritorno di alcune competenze dallo stato alle regioni.
Boldrin tratta prima il tema del federalismo, sul quale già in passato si è espresso in diversi modi: ammette che il sistema pseudo-federale attuale è un mostro, ideato da una sinistra “che del federalismo ha terrore” e attuato da una destra “in via di fascistizzazione” che davvero federalista non è stata mai. Secondo Boldrin, senza responsabilizzare le regioni e gli enti locali, una vera riforma del settore pubblico, che elimini gli sprechi, riduca le tasse e riporti, in breve, il paese a crescere, non è possibile. Dunque questa riforma rappresenta un passo indietro.
L’altro problema della riforma è che offre una soluzione al problema della scarsa governabilità che nasce già vecchia: sarebbe stata utile negli anni passati, dai ’60 ai ’90, quando c’era un vero bipolarismo destra-sinistra, mentre oggi lo scenario politico è infinitamente più frammentato, e ne vediamo gli effetti in altri paesi, dall’Inghilterra alla Spagna, con l’esempio macroscopico (e quasi profetico) degli Stati Uniti, dove Clinton ha perso le elezioni per via di una frammentazione addirittura interna al suo partito.
L’opinione di Boldrin si conclude in modo amaro, ammettendo che lui l’alternativa non ce l’ha (e anche se ce l’avesse, dice, non avrebbe comunque i voti per metterla in atto), ma la prudenza lo invita, essenzialmente, a non cambiare le cose tanto per cambiarle, ma aspettare ancora un po’ che arrivi una proposta di cambiamento migliore di questa.

Giovanni Federico: Perché voterò SÌ

Il post di Federico nasce come replica a quello di Boldrin. Sul federalismo, pur concordando che la versione attuale del “federalismo” all’italiana sia un mostro, Federico ritiene che riportare competenze allo stato, sebbene non ottimale, sia una soluzione discreta al clientelismo imperante nelle regioni e al loro abuso di diritto di veto su diverse materie.
Riguardo al riassetto istituzionale, Federico sostiene che sarebbe stato meglio abolire del tutto il senato (una proposta che, però, sarebbe chiaramente un suicidio politico), dato che la “camera delle regioni” alla tedesca che dovrebbe diventare non ha più molto senso, visto il depotenziamento delle medesime contenuto nella stessa riforma, e critica due argomenti, uno del SÌ e uno del NO, ovvero rispettivamente il costo ridotto dell’istituzione, che sarà ridotto ben poco dato che la maggior parte sono stipendi di dipendenti pubblici non licenziabili, e il fatto che i senatori siano nominati e non eletti, dato che, a parte il fatto che non è vero perchè verranno nominati tra sindaci e consiglieri regionali comunque eletti, con l’eliminazione delle preferenze nel 1991 si tolse comunque la nomina diretta da parte degli elettori per metterla in mano ai partiti.
L’abolizione del CNEL e delle province, secondo Federico, è un provvedimento essenzialmente decorativo: il primo è utile ma poco rilevante, mentre il secondo è puramente di facciata, dato che, come i dipendenti del senato, neanche quelli delle province possono essere licenziati e andranno dunque ricollocati.
Data la legge elettorale, la maggioranza per il partito vincente alla camera non consentirebbe comunque l’elezione “in solitaria” del presidente della Repubblica, dunque anche su questo nessun problema. La modifica delle cose minori o tecniche è tutto sommato ragionevole, ma in ogni caso di poco impatto.
Arriviamo però al punto centrale dell’analisi di Federico: il referendum, ormai, è diventato un referendum sul governo. Dice Federico che Boldrin voterebbe NO solo per dare al parlamento il tempo di fare una nuova legge elettorale che impedisca una vittoria al M5S al ballottaggio. Se vincesse il NO, però non ci sarebbe una maggioranza con cui fare una legge elettorale decente, dunque la soluzione meno improbabile sarebbe un ritorno a un proporzionale con una soglia di sbarramento bassissima, ovvero (come nel titolo dell’articolo di Brusco), “il ritorno alla prima repubblica”. Forse il destino del Paese, afferma, “ma anche la fine di ogni speranza di riforma”.
La dicotomia destra-sinistra di cui parla Boldrin è effettivamente finita, ma ha lasciato spazio a quella tra “modernizzatori” e “populisti”, ovvero chi accetta i lati negativi della globalizzazione per averne i benefici e chi invece ne vorrebbe i benefici senza i lati negativi. Dice Federico, che non ama molto Renzi, che ritiene le sue soluzioni il meno peggio possibile data la situazione politica intorno a lui e l’ostilità degli stessi elettori alle riforme. L’unico leader possibile di uno schieramento modernizzatore sarebbe proprio lui: “chi ci mettiamo? D’Alema? Bersani? Parisi? Berlusconi?
Con il NO ci si ritroverebbe di nuovo di fronte un governo di larghe intese – l’ennesimo – fino al 2018, come minimo, e una nuova ammucchiata fino al 2023 se il M5S si rifiutasse di formare un governo con altri partiti: il tutto causato da un inevitabile ritorno al proporzionale.
Se vincesse il sì, invece, con una riforma dell’Italicum ci sarebbe un barlume di speranza nella vittoria del PD al ballottaggio, grazie a un miglioramento della situazione economica e, dice Federico, soprattutto grazie alla “palese incapacità dei grillini a governare”. Certo, potrebbero anche vincere i grillini. Ma a questo punto la catastrofe sarebbe meritata.

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Pausa gattini. Credo che ne abbiamo tutti bisogno.

Giovanni Accolla: Al referendum voterò NO e dico no alla scelta del male minore

Qualche settimana dopo, Accolla afferma che “non ha più senso nulla se non si comincia a scegliere per il meglio”.
Nell’articolo l’autore conferma, di fatto, quanto affermato poche settimane prima da Giovanni Federico: il referendum è diventato un referendum sul governo, e ad Accolla il governo di Renzi piace molto poco. Accolla è un sostenitore del sistema proporzionale, e ritiene che il combinato-disposto legge elettorale + riforma istituzionale non potrà che portare a “una forma di pseudo dittatura postmoderna”, ma, confessa, voterà NO per vedere Renzi andare a casa, non potendo più sopportare il suo modo di governare – pur dicendosi poco convinto che andrà a casa davvero, citando casi di altri politici che avevano dichiarato che sarebbero spariti una volta terminato l’incarico, restando invece nei paraggi (uno su tutti D’Alema, che, come ricorderete, affermò di volersi occupare di politica estera, e invece eccolo qui a lottare per il NO al referendum).
Se continuiamo di “meno peggio” in “meno peggio”, finiremo col dover votare Grillo per difenderci da qualcuno di peggio di lui?

Sandro Brusco: Un SÌ contro il ritorno alla prima repubblica

L’opinione di Brusco, un paio di giorni dopo quella di Accolla, comincia con un’affermazione piuttosto lapidaria: “Se vince il SÌ al prossimo referendum costituzionale non ci saranno grossi miglioramenti. Se vince il NO invece la situazione peggiorerà, e parecchio.
Dopo un excursus su come le riforme costituzionali siano state per tutta la storia della Repubblica uno specchietto per le allodole, spacciate ogni volta per cambiamenti epocali e lavori faticosissimi quando in realtà hanno cambiato molto poco, Brusco conclude un po’ sconsolato che, secondo lui, sarà quello il caso anche con questa riforma. Eppure, se la riforma non dovesse passare, la conseguenza più probabile e principale sarebbe un ritorno del proporzionale come sistema elettorale, e questa, secondo Brusco, è un’eventualità da evitare “come un’epidemia di peste bubbonica”.
Brusco, in ogni caso, si rende conto di non essere entrato troppo nel merito, ma per non allungare ulteriormente, rimanda all’opinione di Federico di qualche settimana prima e a questo intervento di Roberto Bin, collaboratore in passato di nFA.
Riguardo ai due articoli per il NO, Brusco ammette che, auspicando un ritorno al proporzionale, Accolla fa benissimo a votare no, mentre si affida di nuovo a Federico per quanto riguarda le risposte all’opinione di Boldrin.
La sua opinione, però, si chiude con una replica proprio a quest’ultimo e alla sua visione del federalismo come soluzione dei mali dell’Italia: senza discutere sulla bontà dell’idea, Brusco afferma che, secondo lui, il federalismo in Italia non sarà mai possibile per la semplice ragione che piacerebbe a lui, a Boldrin e forse a un altro 0,5% dell’elettorato. Per questo motivo è meglio una riforma, pur lontana dall’essere ben fatta, che almeno cancella le assurdità sulle competenze condivise contenuti nella riforma del 2001.

Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus

[L’immagine di copertina di questo articolo è presa dalla pagina Facebook di nFA.]

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