Questo era il modo più semplice per introdurre l’argomento. Sport e moda sono indissolubilmente legati, soprattutto nell’era della pubblicità visiva. Gli sportivi (chiaramente non di tutti gli sport) sembrano fatti apposta per essere modelli. Pensateci. Sono fisicati per antonomasia, mediaticamente esposti e già entrati nelle case di mezzo mondo tramite tubo catodico o carta stampata. Diventano testimonial perfetti più o meno per ogni cosa, ma se possono mostrare il capello perfetto, la mascella volitiva e l’addominale tartarugato il brand ne risulta ancor più valorizzato. Ma dato che a noi di The Bottom Up piacciono le storie “degli altri”, parleremo solo brevemente di fenomeni mediatici come i due qua sopra o Rafa Nadal, per parlare sia di modelli non convenzionali che di sportivi che hanno deciso di non mettere il loro corpo al centro del progetto, ma il loro nome, o magari la loro conoscenza. Questa è la storia di sportivi reinventatisi imprenditori o stilisti.
I primi due esempi, rimanendo legati al secolo scorso, nascono quando non è ancora finito il primo decennio dell’ultimo secolo del millennio. Un po’ complicato. Nel 1904 nasce uno dei tennisti che dominerà gli anni ’20, mentre nel 1909 quello che dominerà gli anni ’30. Il primo è René Lacoste, che nel palmares personale può vantare in singolo tre Roland Garros, due Wimbledon e due US Open, oltre che tutte le Coppe Davis dal 1927 al 1932. Renè, entrato pure nella Hall of Fame del tennis nel 1976, non appena appesa la racchetta al chiodo, fondò con l’amico e collega Andrè Gillier una piccola casa di produzione di indumenti sportivi mirati per la pratica del tennis, che fossero eleganti come richiesto dai maggiori tornei internazionali ma che non impedissero i movimenti. La nascita della polo lo rese parecchio ricco, ed il marchio del coccodrillo, con cui lui era soprannominato sui campi da tennis, lo rese immortale. Di solo cinque anni più giovane è il secondo, nato dall’altra parte della Manica. Frederick John Perry, noto come Fred, fu campione di ping pong (due bronzi, un argento e un oro mondiale) prima ancora che di tennis. Ma con la racchetta grande vinse un Australian Open, un Roland Garros, tre Wimbledon e tre US Open. Fred era amico di Lacoste, e pare che insieme giunsero all’invenzione della polo, commercializzata in Francia da Renè. In Inghilterra cominciò a venderla proprio Perry, marchiandole non con il coccodrillo lacostiano ma con una corona d’alloro, tuttora simbolo della casa di produzione inglese.

Rimaniamo in ambito tennistico, per collegarci al territorio nazionale. Il protagonista di questa storia in realtà non ha una grande carriera internazionale, però nel 1960 può vantarsi di aver battuto il miglior tennista italiano del momento (e della storia) Nicola Pietrangeli. Si tratta di Sergio Tacchini, che trova nella vita extrasportiva la vera realizzazione. La sua azienda, nata come Sandys e diventata presto Sergio Tacchini s.p.a., si lancia nella realizzazione di indumenti da tennis, con una caratteristica innovativa rispetto al passato: sono colorati. Infatti, come ora avviene solamente a Wimbledon, al tempo in ogni competizione i tennisti indossavano il bianco, un po’ per regolamento, un po’ per prassi. Il successo è stato tale tale che tuttora Tacchini ha sponsorizzato campioni del calibro di Pete Sampras e John McEnroe, e, più recentemente, Novak Djokovic, oltre alle italiane Flavia Pennetta, Sara Errani e Roberta Vinci.
E’ giunto il momento di cambiare sport, ma prima di passare all’onnipresente calcio ancora un protagonista dello sport e della moda italiana merita di essere citato. Ottavio Missoni, prima di intraprendere la carriera nella moda, correva i 400 e i 400 ostacoli, partecipando anche alle Olimpiadi di Londra del 1948. In realtà già nel corso della sua carriera sportiva, Missoni aveva dimostrato una particolare propensione verso la sartoria e come couturier. (Alè.) Infatti la rappresentativa italiana per i giochi del dopoguerra scelse di indossare per l’occasione le tute create da Missoni, che si trovò così ad avere addosso una sua creazione nella finale dei 400 ostacoli, in cui arrivò sesto.

Ed eccoci allo sport che nel mondo, e soprattutto in Italia, accoglie la maggior parte delle attenzioni e delle forze economiche. Nel calcio gli sponsor si contendono giocatore per giocatore, in modo che la squadra di turno indossi e metta in bella mostra durante le interviste quell’orologio, quella cravatta o quelle scarpe. Spesso chiaramente i giocatori sono i protagonisti degli spot pubblicitari per la stessa compagnia che sponsorizza la squadra, o anche loro personalmente. Ma qui noi non stiamo trattando chi è mezzo della moda o delle aziende, ma chi invece ne entra volontariamente, e spesso come primo motore. I primi ad accorgersi che la moda, legata ad un nome nel calcio, poteva rendere sono stati Michele Nappi, ex terzino della Roma e del Perugia, e Lamberto Piovanelli, attaccante del Pisa e dell’Atalanta. Entrambi hanno aperto un negozio di abbigliamento, uno in Umbria e l’altro in Toscana, con il loro nome, diventando punto di riferimento per lo shopping sportivo. In più Piovanelli, che è stato anche convocato in Nazionale (una partita per le qualificazioni ad Euro 92 a Cipro, terminata 0-4 e con il Nostro nemmeno sceso in campo) ha scelto come logo del suo negozio l’immagine stilizzata di un calciatore che colpisce il pallone di testa, mandandolo in rete. Ecco, quel calciatore è lui, ed il gol è la rete decisiva che porta in Serie A il Pisa, che casualmente è anche la città dove si trova il suo negozio.
C’è dunque anche chi non si limita ad aprire il negozio, ma anche a riempirlo di articoli firmati del proprio brand. Uno degli esempi in questo settore è Bobo Vieri, che ha creato insieme all’amico, socio ed eterno rivale Paolo Maldini il marchio Sweet Years (il cui sito è una scoperta dopo l’altra http://www.sweetyears.it/ ). Dato il successo dell’iniziativa, il Bobone nazionale ci ha riprovato con Christian Brocchi, ancora una volta un ex milanista, ed insieme hanno creato la “Baci&Abbracci”. Come loro, anche Francesco Coco, Alessandro Del Piero e Francesco Totti (che ha usato se stesso ed, oculatamente, anche la moglie Ilary Blasi) hanno brandizzato il loro nome per creare collezioni di abbigliamento, che sia sportivo, casual o elegante.
Ecco, è giunto il momento di chiudere. E come sanno fare quelli bravi, chiudo da dove ho cominciato. Quei due monellacci lassù non sono solo uomini immagine. In realtà hanno sfruttato questa loro “caratteristica” per ampliare i loro orizzonti, o se non i loro dei loro manager o della loro famiglia. Cristiano Ronaldo ha recentemente lanciato la propria collezione di scarpe (dal nome in realtà non troppo fantasioso di CR7FootWear), mentre Beckham è da sempre molto attento a mettere in mostra ogni elemento del suo look, con sponsor in bella vista. Da qualche anno a questa parte però il brand in mostra porta il suo stesso nome. Certo, anche David si diletta a disegnare abiti, ma a firmare collezioni su collezioni è la moglie Victoria Caroline Adams, anzi, Beckham. L’ex Posh ha spesso lanciato in passerella proprie collezioni, stando sempre ben attenta che il marito ed i quattro figli (Brooklyn Joseph, Romeo James, Cruz David ed Harper Seven) comparissero con creazioni dell’amorevole madre. Perché alla fine il filo conduttore di queste storie è sempre lo stesso. Sapersi vendere aiuta.