Ma quanto etico ti vesti? La moda sostenibile in Italia

Ma quanto etico ti vesti? La moda sostenibile in Italia

, in concomitanza con la chiusura dei 6 mesi di EXPO 2015. La rassegna milanese, tra le altre cose, avrebbe voluto anche essere uno stimolo alla riflessione su che come viene prodotto e da dove viene quelle che mangiamo. La stessa domanda si sono fatti i promotori del Oltre al frusto sintagma “Made in Italy” entrato ormai da anni nel discorso pubblico senza che la parola acquisisse un significato spendibile sensatamente al di fuori dello small talk o della retorica ufficiale, spesso l’attenzione che si presta alla provenienza dei tessuti che compongono le nostri vesti è prossima allo zero. Il FRD è nato come reazione del mondo occidentale al più di 1000 morti e più di 2500 feriti, la maggior parte dei quali donne, che  lavoravano come operaie in quell’edificio di 8 piani rivelatosi abusivo e non adatto a ospitare pesanti macchinari per la tessitura. Qual è il nesso tra una tragedia simile e il nostro shopping quotidiano? In quell’edificio, citando Wikipedia in lingua inglese (che a differenza di quella italiana riporta le fonti), si lavorava per conto dell’italiana Tutte aziende che provengono da e vendono in Occidente. Come in moltissimi altri campi dell’industria e dei servizi, i prezzi bassi che molte aziende riescono a offrire ai consumatori europei o nordamericani sono merito della delocalizzazione di parte dei processi produttivi in aree del mondo dove il costo del lavoro è sensibilmente più basso, tendenzialmente l’est e il sud del mondo. Perché si pagano poco gli operai (spesso, le operaie), perché si concedono loro poche o nulle tutele sindacali o, come nel caso, si risparmia sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. il diritto alla sicurezza e a una giusta retribuzione di queste persone fosse più importante del diritto di un occidentale di comprare una t-shirt “Made in India” a 4.99 $ o 4,99 € . In realtà, non solo le condizioni di lavoro sono messe sotto accusa, ma, ad esempio, anche i processi di coltivazione del cotone, per quanto riguarda l’uso di sostanze nocive per la terra e l’ambiente. A questo proposito, Ma, oltre alle foto dei testimonial famosi, c’è chi, nel concreto, sensibilizza il pubblico a questi temi, ma, soprattutto , al fine di aumentare la loro sensibilità nei confronti dei parametri ambientali legati alla produzione di vestiario. è un’associazione no profit nata in Campania ma che opera in tutta Italia, aiutando le PMI a “rendicontare la propria attenzione verso l’ambiente, le persone (consumatori e lavoratori) e l’intero contesto territoriale” per potersi “fregiare di un tratto distintivo di eccellenza”, tramite la compilazione di un (ad esempio di consumo d’acqua, nella lavorazione delle materie prime), la aiuto a trovare soluzioni meno impattanti per l’ambiente e per il welfare dei lavoratori e, facendo una mini-operazione di improntata alla sostenibilità e all’ecologia, la spingo a farne un vanto in termini etici e commerciali. Infatti, la nicchia di mercato per gli indumenti biologici è piccola, ma in espansione, mi racconta uno spazio ben consolidato (anche commercialmente) per quanto riguarda il cibo ; tuttavia, i consumatori stanno cominciando pian piano a capire che non è importante solo quello che mettono dentro il proprio corpo, ma anche quello con cui lo rivestono. Le imprese che hanno accettato di farsi coinvolgere in questo cambiamento di prospettiva Tuttavia, riferisce Minolfi, la più grande difficoltà riscontrata da lei e dalle altre 5 persone che portano avanti l’associazione, non sta tanto nel convincere i consumatori a vestirsi etico – dato che peraltro le varie imprese coinvolte offrono prodotti sia di fascia popolare sia più ricercati nel e quindi più costosi – quanto nel persuadere le aziende a fare rete fra loro: peccherebbero infatti di eccessiva . Certo, la crisi non aiuta e diversi soggetti sono costretti a chiudere, ma ritagliarsi un’immagine (fondata però su concrete pratiche produttive proposte dall’associazione) “bio”, anche se non si fanno mozzarelle o vini, è forse il tipo di tessuto ecologico più conosciuto, ma un’altra pianta che sta riacquistando importanza è la , che – precisa Minolfi – è differente da quella usata per scopi ricreativi ( , prima che l’ambiguità legata al Thc facesse fare alle autorità – è proprio il caso di dirlo – di tutta l’erba un fascio finendo col per qualsiasi scopo. Al momento esistono due soli macchinari trasformatori della materia prima in semilavorato, uno a Taranto e l’altro a Torino: l’auspicio degli operatori del settore è di poterne avere almeno uno per regione, dato che tramite i fondi europei il costo si aggirerebbe sui 3 milioni di euro per impianto. Questo è solo un esempio di questa nuovo movimento di opinione, che allo stesso tempo è anche già passato alla fase di implementazione nel industriale grazie a iniziative come quella di Cittadinanza Aziendale, che vuole far sì che dire , tanto che uno dei prossimi progetti dell’associazione è quello di creare una rete che inviti al Clicca per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)