Incontriamo Aisha (un nome di fantasia necessario per tutelare la sua sicurezza) in una fredda sera tra autunno e inverno. È molto composta nei movimenti, il tono di voce basso ma deciso. Ci parla a nome di HAWCA (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan), associazione di donne afgane di cui è un membro ormai da molto tempo. HAWCA inoltre, fin dal 1999 riceve il sostegno del COSPE, ong fiorentina nata più di trent’anni fa su impulso della bolognese Luciana Sassatelli.
In quale contesto è nata HAWCA?
L’associazione è nata in Pakistan nei campi dei rifugiati dove le donne e le bambine vivevano in condizioni di grave povertà, proprio per rispondere a questi bisogni, in particolare quelli educativi, quindi si è puntato su alcune classi di alfabetizzazione. In quel periodo moltissimi afghani erano rifugiati in Pakistan e in Iran. Durante il periodo di dominio dei talebani abbiamo tenuto classi segrete per le bambine e per le donne e piano piano ci siamo spostati dal Pakistan all’Afghanistan. Dopo la caduta dei talebani abbiamo aperto 4 uffici nelle regioni più grandi dell’Afghanistan e ci siamo concentrati di più sui diritti umani e delle donne e abbiamo iniziato i nostri programmi nelle regioni afgane.
Qual è la situazione di donne e bambine nel suo paese?
Nonostante gli Stati Uniti e quaranta altri paesi del mondo siano venuti in Afghanistan sotto la bandiera dei diritti delle donne pochissimo è cambiato per loro: esse vivono nella violenza, vivono senza alcun potere, senza alcun diritto e quindi noi ci ritroviamo a dover continuare a lottare. La violenza contro le donne in Afghanistan ha molte forme. Violenza domestica, stupro, stupro di gruppo, matrimoni forzati, matrimoni precoci, vendita delle bambine e fra le violenze vi è anche l’auto-immolazione. Il paese vive in una situazione di grande insicurezza, corruzione e criminalità, è un produttore mondiale di oppio e con i fondamentalisti al potere, persone che non hanno alcun rispetto per i diritti umani e a maggior ragione per i diritti delle donne, quindi questa è, oggigiorno, la situazione nel paese. L’Afghanistan è un paese dominato dai maschi, la cultura dominante è quella per cui le donne devono restare in casa a badare ai bambini senza uscire di casa e fare altro.

In un quadro generale così fosco, dal vostro punto di vista emerge anche qualche segnale positivo?
Quattordici anni di attivismo delle donne stanno producendo dei risultati, stiamo vedendo che nei nostri centri sono molte di più le donne che vengono col desiderio di liberarsi da situazioni di violenze e di abuso. Singole donne, attiviste e organizzazioni di donne, hanno cominciato a creare una massa critica sufficientemente importante che ha influenza sul coraggio delle donne nei loro tentativi di liberarsi dalla violenza.
Tutto questo nonostante le richieste dei partner occidentali di una maggiore presenza femminile negli organi politici del paese…
Sebbene il governo faccia molta propaganda sul fatto che ci siano donne nel Parlamento, nel Governo, negli uffici dello Stato, sono tutte donne che appartengono ai partiti fondamentalisti e quindi sono controllate da questi partiti e loro stesse promuovono questo tipo di politica e di cultura e quindi non fanno nessuna concreta differenza per il benessere delle donne. Invece ci sono e ci sono state donne in Parlamento che lavorano e lottano onestamente per i diritti di genere ma generalmente vengono ostacolate anche con minacce di morte e uccisioni; questo pone dei seri limiti al lavoro delle donne attiviste, perché spesso esse si ritrovano a dover lavorare in situazioni di semi-clandestinità, tenendo un basso profilo per evitare di essere uccise.
Neanche il quadro generale dell’Afghanistan è particolarmente felice, nel paese è ormai data per certa la presenza dell’ISIS di al-Baghdadi.
Con la nomina a presidente di Ashraf Ghani, a settembre del 2014, la situazione della sicurezza nel paese ogni giorno peggiore: i talebani hanno preso sempre più il controllo di vaste aree del paese. A questo si aggiunge ovviamente l’ISIS, una creatura più brutale dei talebani, e la mancata nomina di un Ministero della Difesa dopo più di un anno dall’arrivo al potere di Ghani. La strategia dell’ISIS è ancora più risolutiva perché armano e stipendiano direttamente i giovani afgani disoccupati dando loro un “lavoro” grazie ai finanziamenti che ricevono dall’esterno. A questi problemi e al peggioramento della sicurezza, si sommano una situazione instabile, la disoccupazione in crescita, il dramma dei rifugiati che scappano verso l’Occidente dopo essere fuggiti a piedi per giorni senza cibo, né mezzi di trasporto, pagando grandi somme ai trafficanti di esseri umani e rischiando di morire solo per giungere in Europa, dove cercano occasioni per migliorare le loro condizioni di vita. La via dell’illegalità è una conseguenza del fatto che Iran e Pakistan pongono sempre più problemi a quegli afgani che cercano di attraversare i loro confini.
Quali sono ruolo e responsabilità della comunità internazionale in Afghanistan?
Il ruolo della comunità internazionale è evidente: in 14 anni la situazione è peggiorata, al punto che alcuni rimpiangono i tempi dei talebani, almeno dal punto di vista della sicurezza personale, nonostante gli statunitensi ritengano di essere intervenuti proprio per difendere i diritti degli afghani. Ma negli anni ’70, prima che gli americani appoggiassero le fazioni anti-sovietiche in Afghanistan, questi diritti già erano assicurati e l’intervento del 2001 avrebbe dovuto ristabilirli. Un’altra responsabilità degli USA è stata quella di aumentare all’inverosimile la produzione di oppio, perché sotto i talebani era stata praticamente azzerata mentre oggi il paese produce quasi il 94% dell’oppio circolante nel mondo. I contributi occidentali vengono spesi per le operazioni militari in Afghanistan che portano alla morte di persone innocenti o per sostenere il governo afgano che è a capo di uno dei primi paesi al mondo per corruzione politica. Nonostante questi investimenti la situazione delle infrastrutture è ancora disastrosa. Solo un’infinitesima parte di questi soldi va alla società civile e ai programmi di sostegno e protezione delle donne.
Aisha, la strada dell’Afghanistan sembra ancora molto lunga e non priva di ostacoli. Ci sono reali possibilità per il popolo afgano di migliorare la propria condizione e quella del paese?
Sarà un percorso molto lungo, si parla di anni. Oggi esistono organizzazioni e gruppi a uno stato embrionale però privi di potere e anche senza grandi mezzi. Comunque esistono così come esistono molte persone che hanno la volontà di dedicarsi al proprio paese.
Marco Colombo
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