Cronache di un Festival: Visioni Italiane

Festival del corto e mediometraggio “Visioni italiane” presso la Cineteca di Bologna . Novità e sperimentalismo sono stati i protagonisti assoluti, coinvolgendo registi italiani e stranieri. Sono state molte, infatti, le sorprese che hanno piacevolmente rispettato le attese di un evento giunto ormai alla sua All’interno di questo vasto ed eterogeneo panorama cinematografico dipanatosi in cinque giorni, è d’obbligo essere concisi e selettivi riguardo alla grande quantità di materiale messa in onda in sala. Chi scrive si trova in qualche modo obbligato a fornire delle opinioni filtrate dalla propria esperienza diretta dell’evento. D’altra parte, lasciamo ai lettori il giudizio sui vari film proiettati, rimandandovi alle singole visioni e anche al , circa le più esaustive informazioni su partecipanti, vincitori, giudizi su di essi e voci dal festival. Il Festival ha ospitato alcune figure piuttosto celebri del mondo dello spettacolo. Di certo il momento di massimo risalto si è avuto a causa della ha accusato la Cineteca di fornire spazi non adeguati per i fan al suo seguito si è confermato un prodotto italiano che ha riscosso successo presso un’ampia fetta di pubblico del panorama nazionale , che ha parlato del suo passato da tennista e dei suoi esordi: con l’atteggiamento dimesso che lo contraddistingue, (direttore della Cineteca) spaziando dal proprio passato da tennista agli esordi nel mondo del cinema, dal successo di , in cui si è trovato a lavorare nella grande produzione con un budget elevato e professionisti di calibro. Per quanto riguarda le pellicole che sono state proiettate in sala, partiamo dalla fine: nell’ultima giornata del Festival si è tenuta la cerimonia di premiazione, che, per la verità, si è contraddistinta soprattutto per la durata e la cascata di vincitori proclamati . I premi erano molti (forse troppi) e le varie giurie si sono avvicendate sul palco con i loro giudizi critici. La , portata quasi agli estremi del paradosso, trattando un tema che “fa discutere le persone in sala dopo la visione” – come dichiarato dal giovanissimo regista (classe 1991) – “stimolando discussioni del tutto estranee al cinema”. In effetti, dal punto di vista socio-antropologico, questo film ha molto da dire, sottolineando una strada di ricerca percorsa anche da altre pellicole presentate al Festival. Abbiamo visto da una parte pellicole che possiedono la volontà di indagare il contesto urbano e le sue periferie dal punto di vista socio-antropologico: ne sono un esempio ), dove in pochi minuti viene tracciato il contesto sociale di una . Dall’altra parte, abbiamo assistito a una ricerca di senso negli ambienti extra-cittadini, soprattutto nella sezione “Visioni Sarde”, dove si è portata l’attenzione dell’occhio continentale su una realtà isolana e marginale, densa di significati, archetipi e interessi riguardo alle tradizioni riportate in vesti mitiche (consigliamo, a tal proposito, la visione di ), documentario incentrato sul fotografo Luciano Nadalini che, per l’Unità, ha raccontato i movimenti giovanili bolognesi tra anni ’80 e ‘90, la cultura punk, la Pantera e l’Isola del Kantiere. , da cui emerge un ritratto a tutto tondo del regista tunisino, delineando la sua ostinazione nel perseguire la scomodità di certi temi dei suoi film, come ad esempio il Incontro con Stefano Grossi, regista di “Nemico dell’Islam?” – Foto di Daniele Barresi ), una grande sorpresa: il regista ha messo in scena la vita di un uomo che diviene il proprietario dell’azienda di famiglia specializzata nella produzione di mine antiuomo. Il film riprende in maniera convincente sia un dramma storico (legato al conflitto bosniaco) sia il dramma privato di un personaggio che si mette in discussione dopo una profonda crisi esistenziale. Degno di nota, infine, ragazza oggetto di violenze sessuali da bambina all’interno del contesto politico iraniano . Non si racconta soltanto la storia di una bambina, “ma una situazione che può accadere a tutti” – ha dichiarato Seyed Ali alla cerimonia, con italiano dinoccolato – “non dobbiamo mai dimenticare che tutti possiamo essere oggetto di violenza”. Un film sofferto, che ha fornito una grande lezione di umanità al pubblico presente in sala: la pellicola ci ricorda, appunto, che siamo umani e potenziali vittime dei nostri stessi simili. Ma il messaggio veicolato da questo corto (e da molti altri proiettati al Festival) sta nel valore del prodotto artistico: c’è, per fortuna, la possibilità di una redenzione, un viatico, seppur minimo, contro il dolore. Clicca per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)