Baratto Amministrativo - Sblocca Italia

Il baratto amministrativo e l’ansia da pubblicità

Baratto Amministrativo - Sblocca Italia
Il contadino oppresso da decima, imposte e corvèe: il baratto amministrativo prima della Rivoluzione Francese.

Sono molti i comuni che, a partire dal 2015, hanno deciso di attuare la misura contenuta nell’articolo 24 dello Sblocca Italia (decreto legge 133/2014poi convertito in legge, con modifiche, nella 164/2014), introducendo il Baratto Amministrativo.

Sostanzialmente, nei comuni dove viene adottato, i cittadini, singolarmente o in gruppo, potranno prestare il proprio tempo e lavoro in opere di manutenzione ordinaria del territorio (cura del verde pubblico, manutenzione stradale, imbiancamento locali comunali, etc.). In cambio, il comune riconosce loro dei crediti che possono andare a saldare debiti tributari (arretrati su tasse, multe e simili). Teoricamente, io cittadino potrei proporre al comune il mio lavoro in cambio di riduzioni o esenzioni di tributi. Tra i moltissimi comuni che hanno adottato questa misura, spicca per importanza e dimensione il comune di Milano. La giunta Pisapia ha infatti annunciato, ad inizio marzo 2016, l’emanazione di un bando pubblico a cui possono partecipare cittadini con determinati requisiti reddituali e in condizione di morosità incolpevole, persone con un reddito medio-basso che, a seguito di licenziamento, infortunio o di una contrazione del reddito di altro tipo, si sono ritrovate in condizioni di non poter più onorare i debiti verso la pubblica amministrazione.

Il maggiore comune lombardo ha identificato una serie di opere di manutenzione ordinaria e ha deciso di “convertire” circa cento mila euro di crediti arretrati. I cittadini che verranno selezionati e a cui verrà riconosciuto un bonus di 10 euro per ora di lavoro (valore voucher INPS), avranno la possibilità di saldare, in parte o in tutto, i loro debiti. Se nei tanti comuni che hanno adottato questa misura i risultati sono stati interessanti, le aspettative poste sulla buona riuscita del progetto a Milano sono, ovviamente, delle più alte.

Ora, però, non fraintendetemi per quello che vado a scrivere. Parliamo di un provvedimento anche sofisticato, che cerca di risolvere con dignità situazioni complicate di persone in difficoltà e riconosco le potenzialità dello strumento.

Ciò che stride, a mio avviso, è il nome: baratto.

Il baratto è uno scambio di beni intrapreso da due soggetti liberi, che hanno come fine ognuno la soddisfazione di un proprio bisogno o desiderio, io voglio una gallina ed ho un coniglio, tu vuoi un coniglio e hai una gallina. Se io, volendo una gallina, mi prendo la tua a saldo di un debito che hai nei miei confronti, la definizione corretta è recupero crediti. Se poi io sono lo Stato (o una amministrazione locale) e i crediti che vanto sono tributi che non hai potuto pagare incolpevolmente, allora rischiamo di doverla chiamare corvèe (esagero provocatoriamente).

Il cittadino in questione non è libero di decidere, quei tributi li deve pagare, punto. Semplicemente lo stato gli dà la possibilità di farlo in un altro modo, non monetario. Di fatto è la rappresentazione reale di chi, non avendo soldi al ristorante, finisce per lavare i piatti. Chiamatelo pure baratto, se vi pare, consci però che non è la definizione di ciò che viene promosso in questi mesi. È un nome, oltre tutto non previsto nel decreto legge, che rappresenta coerentemente l’auto-narrazione portata avanti negli anni dai governi che si sono susseguiti (in particolar modo da quest’ultimo), che ha come scopo la promozione pubblicitaria dell’operato governativo, per cui l’etichetta, che viene mostrata come l’anima del prodotto, è ciò che ci è chiesto di giudicare. Pure quando, come in questo caso, il provvedimento è sostanzialmente buono così come è, anche in questo caso, non paghi, si è deciso di mettergli una veste ancora migliore, perché se ciò che va male sembra bello, ciò che è buono deve sembrare bellissimo.

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