Basket, volley, minorità e guerre tra poveri: non-calcio di tutta Italia, unitevi!

Non so se avete presente Rodolfo Rombaldoni. Non potrei biasimarvi, Rombaldoni è uno di quelli che a malapena si hanno presenti a se stessi, se così posso esprimermi. Di questo, tuttavia, parleremo un’altra volta, oggi mi serve solo dire che è sulla sua bacheca che ho trovato traccia di mi attizzi (che ritengo il coronamento perfetto di Twitter nella sua prerogativa di dare sacralità, gravità e importanza alle peggiori e insulse minchiate che gente a caso o gente famosa si scambia sull’uccellino), tenterò un riassunto vecchia maniera. , giocatrice padovana di pallacanestro del ’78, uno scudetto e qualche trofeo alle spalle, ancora in attività ma a un livello più basso. Ha un blog da settembre, dove parla in maniera leggera, ma con pochi filtri, di pallacanestro femminile e maschile. Il 15 ottobre scrive in cui opera un confronto – un po’ da bar, per essere franchi, ma con qualche punto nondimeno interessante – fra . Il punto di base è che, vista la doppia subalternità che i due sport condividono, rispetto al maschile e rispetto al calcio, più il volley non ottiene successi in ambito internazionale o raccoglie l’entusiasmo della nazione, più la pallacanestro ne trarrà giovamento. In che senso? , sia in termini economici, sia di attenzione e perciò di partecipazione su grande scala delle persone, come due o forse duecento cani randagi lottano per succhiare un osso già spolpato. Nello specifico, la Gottardi aderiva a una disincantata visione di dei dirigenti della sua squadra che gridavano allo scampato pericolo dopo il mancato coronamento della prestazione eroica della nazionale di pallavolo femminile ai Mondiali organizzati per di più in casa. La formula del pezzo era un classico : nel Paese del campanilismo fra scappellatori a destra e scappellatori a sinistra, figurati se un intervento del genere – a dire il vero , che è un po’ sullo stesso stile osteriale – attenzione, nutro un profondo rispetto per le osterie, sia chiaro. Ora, il problema, nonostante le apparenze, è serio, per quanto racchiudibile serenamente in bel #firstworldproblems, che basterebbe già a farci tirare giù la serranda e andare a parlare di (a-ha), mi sento toccato. Un punto sensibile che la Gottardi tocca è questo: dato che l’unica cultura sportiva realmente radicata in modo profondo su tutto il territorio nazionale è quella del , gli altri sport faticano a trovare le risorse necessarie per la propria sopravvivenza, a più livelli. Perciò Satana è meno propenso a espandersi in occasione di successi internazionali di squadre nazionali o club (cioè: dopo Germania 2006 non mi pare ci sia stato un boom d’iscrizioni nelle scuole calcio), mentre come questi. Se ne parla ogni volta dopo le Olimpiadi, o quando l’Italrugby ogni tanto ci illude giocando bene nel Sei Nazioni. Perciò pare naturale che il basket femminile tiri un sospiro di sollievo nell’apprendere che il volley femminile non ha vinto i Mondiali. in qualche modo, perché lo sport, quando si è bambini, è come il rock: espressa dalla narrazione mediatica (e non) che racconta quello sport. E si basa anche sul fatto che i tuoi compagni o compagne di classe vanno a fare Io credo che molti – e per nulla a torto- siano di trovarsi a operare in un ambiente piccolo, con piccoli numeri e senza i problemi che le grandi masse comportano. Magari non si è contenti di questo ai piani alti delle Federazioni o se sei un Presidente di una società dilettantistica o medio-piccola che fa una fatica bestia a trovare spazi decenti per far allenare le proprie squadre e soprattutto per raccattare un paio di sponsor che, , ti diano sostegno per tirare avanti. Il punto è che gli sponsor non ti devono aiutare per buon cuore, a meno che non si tratti di macroaziende che sfruttando i lavoratori pensano bene di fare restituendo alla comunità qualche denaro per permetterle di svagarsi nelle ore di riposo rispetto alle ore in cui li sfrutta. , ad esempio facendo in modo che anche le cestiste si possano che sottolineino le proprie forme, come succede normalmente presso la pallavolo, come qualunque maschio abbia guardato quindici secondi di pallavolo in tivù o dal vivo sa bene. là dove questo sport l’hanno inventato, coltivato e, a differenza dell’Inghilterra col calcio, sono sempre rimasti l’avanguardia e il punto di riferimento mondiale. E visto che parliamo di femminile, rivolgiamoci alla , anche se non si capisce bene perché una afroamericana dovrebbe mettersi del Da quel che capisco, no. In compenso sono sicuro che per gli uomini, la Nba abbia deciso, dall’anno scorso, di promuovere delle “, per mutuare ciò che una mia amica cestista mi ha detto recentemente (riferendosi a me, O l’effetto è lo stesso rispetto a quello degli uomini (#inchiavabili)? La risposta secondo me è mista, nel senso che favorisce le giocatrici che sarebbero favorite comunque e , insomma. E se anche indossassimo gli occhi del dirigente marketing della Federazione, non saremmo così sicuri di volerle introdurre al fine di reperire (a) persone che guardano il basket femminile alla tivù o (b) sponsor che vogliono il loro nome stampato sopra il seno esaltato dalla divisa. Qua, come avrete notato, la nostra discussione ha subito un’improvvisa sterzata. Ora stiamo parlando del fatto che una donna (laureata in marketing peraltro) abbia proposto, più o meno provocatoriamente, di sfruttare il corpo della donna-atleta ai fini del bene del movimento cestistico femminile, anche nei suoi aspetti migliori (più bambine che si iscrivono a basket perché perdono la paura di diventare ‘maschiacci’) e lasciando stare quelli deteriori ($$$). Da un punto di vista delle atlete indirizzato verso il “consumatore finale”, che non è per forza quello che le giocatrici stesse pensano sia giusto per loro. Quest’ultima idea leggevo brevi interviste a diverse giocatrici e una delle domande fisse era una cosa che suonava come: “Ma è vero che il è oggigiorno diffuso nel basket femminile?”. Per fortuna, le risposte delle giocatrici erano mediamente più intelligenti della domanda. Infine un altro punto interessante preso in mezzo dalla Gottardi è quella della , dal punto di visto del regolamento. Intanto, come premessa, c’è da dire che, a differenza di Satana, il basket ha saputo sempre e continuamente rinnovarsi nelle proprie regole, anche fondamentali (i tre secondi in area, l’introduzione del tiro da tre, l’arretramento della linea del tiro da tre, per citare i più macroscopici). Quindi la sua proposta di abbassare l’altezza del canestro per il femminile, che già si avvantaggia di un pallone più piccolo, suona sensata. Ora, se devo pensare alla mia esperienza, tutte le persone che hanno avuto a che fare col basket femminile, persino come allenatori, mi hanno sempre detto che del confronto non è Nba contro Wnba. Per quel poco che so, tendo – ahimè – a essere d’accordo, nel senso che l’agonismo non manca, anzi la vulgata vuole le donne si menino furiosamente, ma il tasso atletico resta decisamente minore,. Da ciò viene il fatto che la tattica pesi di più nel determinare gli esiti di una partita. Purtroppo, a qualsiasi livello, la tattica non è certo quello che rende spettacolare un’esibizione. Sinceramente, non so quanto abbassare il canestro (e di quanti centimetri, poi?) potrebbe essere una soluzione valida, tralasciando i problemi di applicazione concreta. del CONI sui numeri dello sport in Italia. La FIP, Federazione Italiana Pallacanestro, con una , con una differenza tra canestri e reti di 100.000 persone. Satana ride con un vantaggio di 600.000 tesserati in più. La cosa tragica, consentitemi, è Sì, da un certo punto di vista quello che si gioca , ma un tale orgoglio rispetto alla propria sfiga esistenzialmente intesa è qualcosa da cui persino Max Pezzali si tirerebbe indietro. Secondo me, è chiaro che i termini della questione vadano ribaltati, per il bene di tutti coloro che si oppongono a Satana: che hanno numeri e atteggiamenti assimilabili ai nostri. Cosa sono centomila tesserati a livello nazionale? Uno sputo. Basta vantarsi di quella che non è una medaglia d’argento, bensì una coppa di legno ripiena di soldi sfumati. affinché si capisca che non ha senso questa guerra tra poveri per aspirare al titolo di . Certo, è realista dire così, siamo d’accordo. Ma l’obiettivo dovrebbe essere quello di far sì che i non-calcio vivano aiutandosi reciprocamente, cercando di passare oltre la fase della coltivazione del proprio orticello fra invidie e celodurismi. : il buon, caro, vecchio Google, mentre cercavo risposta alla domanda “Do Wnba players wear makeup?” mi ha suggerito queste