Objector: quando il rifiuto viene dall’interno

Objector: quando il rifiuto viene dall’interno

è un lungometraggio diretto da Molly Stuart, che sarà proiettato l’ al Cinema Tivoli di Bologna, in occasione della quattordicesima edizione del , in una serata che proporrà lo sguardo internazionale di tre registi per parlare di vita e di morte, di guerra ed amore, di scelte e conseguenze. È proprio una storia di scelte e conseguenze quella di Atalya, ragazza israeliana di 19 anni che mette in discussione le pratiche militari violente del suo Paese nei confronti del popolo palestinese e : gli uomini per 30 mesi, le donne per 24. Se questo ha sempre (o quasi) rappresentato un rito di passaggio per i e le giovani, racconta una storia di rifiuto dall’interno, in cui Atalya Ben-Abba mette a repentaglio tutte le sue certezze e la sua libertà, La prima parte del film ci porta nei mesi precedenti al giorno dell’arruolamento nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF) della protagonista, mesi in cui lei stessa, spinta dalla curiosità di capire quali azioni il suo Paese stesse portando avanti nei confronti dei palestinesi, si unisce ad un gruppo chiamato “Visit Palestine” che la porta nei territori della West Bank per vedere con i suoi occhi i soprusi perpetrati dall’esercito israeliano. È in questo percorso che viene a conoscenza della violenza dell’occupazione israeliana, toccandola con mano in esperienze come quella che vive a Gerico, dove i soldati israeliani hanno demolito la casa di alcune famiglie arabe intimando loro di trasferirsi in un altro luogo, o all’insediamento Carmel, dove la qualità della vita di alcuni colonizzatori israeliani è stata “disturbata” dagli odori provenienti dalle cucine del villaggio palestinese contingente ed essi hanno reagito con l’abbattimento dello stesso. In questo viaggio nei territori palestinesi occupati viene espressa l’immoralità di tali azioni dall’interno, da parte di una giovane israeliana che rifiuta di riconoscersi in tanta violenza. Atalya visita per settimane la West Bank, per insieme al gruppo di attivisti e attiviste di cui fa parte, fino ad arrivare alla consapevolezza di dover fare qualcosa. “Rifiutarmi era l’unica cosa da fare”, afferma lei. Quando mio nonno aveva la mia età ha visto gli abitanti di interi villaggi palestinesi venire stipati nei camion e deportati. Mio nonno mi ha raccontato che questo gli ha spezzato il cuore, ma anche che era necessario. Quelle persone potevano essere miei amici o parte della mia famiglia. Così mi sto chiedendo cosa posso fare e quale potere io abbia per cambiare le cose qui, ed è così che mi sono risposta che ho il potere di rifiutarmi Atalya è consapevole del fatto che disobbedire all’obbligo della leva militare non terminerà l’occupazione, ma è comunque l’inizio di qualcosa, è una presa di coscienza rispetto a quello che il suo Paese sta facendo ad un altro popolo. È attraverso la sua azione che grida la sua convinzione nella necessità di sicurezza per tutte le persone, in Israele e in Palestina, che deve essere raggiunta attraverso il È proprio a causa del suo rifiuto e della sua obiezione che e nel giugno 2017 è interrogata dal “Comitato di Coscienza” dell’IDF, che la considera “inadatta” al servizio militare a causa del suo “pessimo comportamento”. Viene così rilasciata dopo 110 giorni di detenzione. Un’azione che non è stata del tutto vana, ma che si prospetta come il potenziale inizio di un’ondata di dissenso: nel dicembre dello stesso anno delle scuole superiori hanno firmato una lettera pubblica in cui dichiarano che rifiuteranno di essere arruolati nelle IDF, continuando così a manifestare la disapprovazione nei confronti delle azioni portate avanti dal proprio governo e dal proprio esercito. Un film che porta alla luce una lotta che dura da decenni e che ancora si concretizza nella violenza dell’occupazione israeliana. , che ci porta all’interno di una società e dà voce agli invisibili, agli obiettori e alle obiettrici, che si oppongono alla conformazione al pensiero unico, violento e colonizzatore del loro Stato di appartenenza.