“… e come schiavo della LeQuint Dickey Mining Company, da adesso in poi, fin quando morirai, ogni giorno, per tutto il giorno non farai che alzare e abbassare una mazza, trasformando grandi sassi, in piccoli sassi.”
La prima mezz’ora di Balolè, the Golden Wolf , di Aïcha Chloé Boro, è una rappresentazione visiva concretissima del destino che il vecchio Stephen (Samuel L. Jackson) aveva pianificato per Django (Jamie Foxx), nel film di Tarantino. Film previsto dal programma online del Terra di Tutti Film Festival per il 9 ottobre.
A distanza di pochi anni dall’insurrezione popolare che ha rovesciato il regime di Blaise Compaorè in Burkina Faso nel 2014, i lavoratori di una miniera di granito di Ouagadougou, capitale dello Stato africano, si stanno organizzando per ribellarsi allo sfruttamento a cui sono sottoposti da parte di intermediari che vendono ai clienti la ghiaia prodotta, trattenendo gran parte del profitto. Tramite l’associazionismo, i lavoratori riescono ad ottenere condizioni migliori, riuscendo ad aggirare il monopolio degli intermediari.
La cava è un simbolo che va oltre il luogo di lavoro: è un buco non solo nella sua conformazione fisica, ma anche da un punto di vista formale. Si tratta di un territorio non registrato e non presente nei registri del demanio, nascosto alla vista della città da un campo militare e da uffici statali. Il proprietario precedente l’ha abbandonata al termine della concessione e, nel presente del documentario, è diventata un bene comune in cui i liberi lavoratori producono ghiaia di granito da vendere ai clienti. Uomini, donne e bambini, invisibili a tutti, che ogni giorno, per tutto il giorno, alzano e abbassano una mazza, trasformando grandi sassi in piccoli sassi.
L’opera di Boro è scandita dal picchiare delle mazze sulle pietre, che accompagnano le testimonianze, i momenti di riunione sindacale e le conversazioni private. Un interminabile lavoro, insalubre, faticoso, alienante, che però contribuisce a convogliare gli sforzi e le energie dei lavoratori a costruire qualcosa di migliore, partendo da una consapevolezza: se è stato possibile rovesciare un regime, è possibile anche conquistare i propri diritti sul lavoro. Tutta la prima metà di Balolè, the Golden Wolf è permeata di questa energia positiva che ribolle, e da ciò che la alimenta: la consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie condizioni.
La seconda metà dell’opera racconta l’evoluzione della vita nella cava a due anni di distanza. L’associazione sindacale ha dato i suoi frutti, i lavoratori hanno saputo far valere i propri diritti e, organizzandosi, hanno migliorato le proprie condizioni economiche, a tal punto che i ragazzi, prima impegnati nella cava tutti i giorni, possono ora andare a scuola, riducendo molto il loro tempo di lavoro: la scuola è la loro speranza per il futuro. La salute si prende il palcoscenico, e sottolinea in maniera evidente la precarietà che i lavoratori vivono. Chi, bloccato dal mal di schiena, si considera in una sorta di coma, inutile alla sua famiglia e in attesa della sua ora, nonostante la giovane età; chi invece, a seguito di problemi respiratori dovuti a polvere e fumi della cava, non riesce ad essere d’aiuto all’associazione.
Alla fine, però, un senso di ottimismo e di grande forza pervade l’opera. La forza di una popolazione che prima ha saputo mettere un punto alle pretese di un dittatore che non li considerava cittadini, ma sudditi, e che poi, forti di queste conquiste, non si sono accontentati, iniziando a conquistarsi, centimetro dopo centimetro, tutti i loro diritti.
“Perciò, non dobbiamo essere compatiti, accettiamo solo una rispettosa benevolenza. Meritiamo rispetto.”
Balolè, the Golden Wolf è un’opera bellissima visivamente e importante per gli argomenti che affronta, che ribadisce ancora una volta la necessità di organizzarsi, di unirsi e di comunicare, perché i problemi di ognuno diventino problemi di tutti, e come tali vengano affrontati.
Luca Sandrini