Una regolarizzazione insoddisfacente: cosa resta della sanatoria per il lavoro dei migranti

Che non fosse un provvedimento risolutorio una volta per tutte, esperti e addetti ai lavori avevano già avuto modo di . La regolarizzazione dei lavoratori stranieri, inserita nel DL Rilancio il 14 maggio, un piccolo passo in avanti nella gestione dei diritti dei cosiddetti “invisibili” , nel mercato nero del lavoro nelle campagne o tra i compiti domestici: ha previsto per questi la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno – seppur temporaneo – o di veder riconosciuta legalmente la loro occupazione. In questi mesi – già alle prime letture dei dati parziali emanati dal ministero dell’Interno – non sono stati pochi sull’efficacia del provvedimento. Grazie all’analisi dei dati sulle domande totali aggiornati ed alle domande rivolte a , abbiamo ripercorso le mosse del procedimento di regolarizzazione dei lavoratori stranieri e migranti, chiedendoci se sia stato un passo sufficiente. Sabato 15 agosto è scaduto il termine per presentare la domanda di regolarizzazione: 30 mila per il lavoro subordinato in ambito agricolo (il 15%). Da maggio, le stime iniziali della platea che poteva esser coinvolta in questo provvedimento sono subito scese realisticamente: da persone inizialmente previste, che a diverso regime contribuiscono all’economia sommersa italiana, le cifre si sono attestate intorno ai . Principale ragione di questa previsione è stata la selezione dei settori di lavoro coinvolti ai quali si sarebbe potuta applicare la misura (l’ ), condivisa in fase di compromesso tra le forze politiche governative. Ad allarmare soprattutto i decisori politici è stata, da subito, . La regolarizzazione è stata legata, così, a necessità prettamente economiche, dovute alla grave situazione sanitaria. , si legge che tra le domande relative ai lavori domestici la regione che ha ricevuto più richieste è stata insieme alle province di Milano, Napoli e Roma, mentre rispetto alle istanze riguardanti e le province Caserta, Ragusa e Latina sono quelle che hanno ricevuto il numero più alto di richieste. I datori di lavoro che hanno presentato domanda per la regolarizzazione dei propri lavoratori nel settore domestico sono per la maggior parte italiani, seguiti da datori dal Pakistan, Bangladesh e Cina; mentre per il settore agricolo, dopo la maggioranza italiana, seguono datori di lavoro provenienti da Albania, Marocco e India. Anche la maggior parte dei lavoratori del settore agricolo che hanno presentato richiesta di regolarizzazione vengono, per la maggior parte, da questi tre paesi, mentre coloro che sono coinvolti nei lavoratori domestici provengono prevalentemente da Ucraina, Bangladesh e Pakistan. La possibilità di fare domanda per la regolarizzazione è stata effettiva dal 1° giugno: prima la scadenza è stata fissata al 15 luglio, poi prorogata al 15 agosto, grazie anche alle pressioni del mondo associazionistico impegnato nell’aiuto e nella cooperazione, che da mesi richiedevano l’apertura di un percorso di possibile integrazione e legalizzazione per i tanti migranti . Le stesse sono state protagoniste della mobilitazione in tutta Italia con , che ha visto coinvolte numerose associazioni e onlus locali e nazionali, con figurava, ad esempio, quella di prorogare però fino al 30 settembre il termine di scadenza delle domande, di abrogare il contributo economico per presentarla, di ampliare la documentazione allegabile e i termini del periodo di lavoro pregresso. Tra tutte, , dai piccoli commercianti a coloro che lavorano nella ristorazione, nell’edilizia e nell’artigianato. Attivisti e attiviste della campagna Siamo qui-Sanatoria subito – Fonte: MeltingPot Europa La stessa istanza era già portata all’attenzione dei legislatori, dal Tavolo Asilo, tramite la campagna dei Radicali, ed è stata bocciata dalla Commissione Bilancio, che ha rifiutato di ampliare la platea dei beneficiari, suscitando da parte delle associazioni che l’hanno appoggiata (tra cui ActionAid, Amnesty International Italia, ASGI, Arci, Caritas e molte altre). A inizio anno, tra gennaio e febbraio, la stessa campagna di sensibilizzazione al diritto di cittadinanza per gli stranieri e per un sistema a maggior integrazione aveva ottenuto di essere Quali giudizi possiamo dare in ultimo alla regolarizzazione? Un passo falso o troppo timido, comunque necessario? Cosa poteva funzionare meglio, e come? Alle domande di The Bottom Up ha risposto che ha seguito da vicino lo sviluppo e il lavoro della campagna “Siamo qui. Sanatoria Subito”: «Dal punto di vista dei numeri, i dati della regolarizzazione per l’emersione dei rapporti di lavoro ci mostrano un quadro insoddisfacente ». Le associazioni di settore, che in questi mesi sono al fianco dei lavoratori migranti per aiutarli nella realizzazione della domanda, hanno fin dal principio lamentato carenza di informazioni, passaggi illogici e limiti nel procedimento burocratico, nonostante il previsto per presentare la domanda: da parte del datore di lavoro o del lavoratore stesso. Per quanto ha riguardato il primo canale, «il dato di grosso squilibrio (tra i settori lavorativi implicati) era ampiamente prevedibile: – continua Bleggi – vi erano perplessità sulla norma e una procedura complicata, legata esclusivamente alla volontà del datore di lavoro con una serie di passaggi di difficile lettura e interpretazione, che via via si sono districati con le circolari ministeriali, ben quattro di cui l’ultima solo il 7 agosto». in difficoltà le stesse amministrazioni nell’interpretazione dell’articolo 103 del Dl Rilancio , quello che regola appunto la procedura di emersione del lavoro irregolare, , quando è stata pubblicata una circolare che chiarisce alcuni dubbi che bloccavano molte domande. Quest’ultima ha permesso, ad esempio, che anche i richiedenti asilo potevano partecipare e che poteva essere sufficiente un contratto di lavoro pregresso di almeno 6 mesi con 5 giornate lavorative al mese. «Un richiedente asilo può già lavorare, perché allora avviare procedura? In molti si sono posti queste domande. La procedura non era avviabile per i contratti già in essere, per tutti coloro ad esempio che già lavoravano in campo agricolo – anche se con contratti fittizi o limitanti. Le informazioni sono state più chiare solo dopo il 24 luglio, prima sono state interpretate diversamente in diversi territori dalle stesse prefetture. C’è stata una grande disomogeneità, che abbiamo riscontrato grazie ai nostri più di 50 sportelli in tutto il territorio, la legge è stata scritta male», ci dice sempre Stefano, che aggiunge: «Molte persone interessate alla regolarizzazione hanno deciso di licenziarsi perché non lavoravano nei settori indicati, sebbene con contratto ma senza permesso, per poi presentare domande come colf o badanti, ad esempio, nella speranza poi di ottenere permesso tramite la regolarizzazione. I numeri del settore domestico possono essere poco veritieri». Le questioni burocratiche hanno colpito anche il secondo canale di presentazione della domanda, quello relativo direttamente al lavoratore irregolare: « ». I tre requisiti erano i seguenti: avere un permesso di soggiorno scaduto dal 30 ottobre 2019, aver avuto nei settori indicati (agricolo e domestico) un lavoro regolare con contratto, dover esibire un documento di identità consiliare al momento della compilazione della domanda alla posta. «Molti lavoratori non sono riusciti a reperire in tempo utile la documentazione. In più, il permesso temporaneo che con la domanda si poteva ottenere è di 6 mesi, durante i quali è necessario trovare un lavoro certo», in uno scenario ancora precario per via degli sviluppi della pandemia. A questo si possono aggiungere le quote che gli attori coinvolti nel rapporto di lavoro hanno dovuto pagare per procedere alla regolarizzazione: i datori di lavoro 400 euro per ogni lavoratore, oppure quest’ultimo 160 euro per la propria domanda (a cui talvolta vanno aggiunte le spese di supporto all’associazione competente). Non ultimo, i rallentamenti sono stati dovuti da aspetti dissuadenti del procedimento generale: per l’imprenditore che assume non sono previsti incentivi economici, mentre il lavoratore migrante non regolare avrebbe dovuto, in taluni casi, praticamente fornendo indirizzo e generalità, anche quando rischia di vedere il proprio permesso di soggiorno non rinnovato dopo sei mesi. Non solo, «la paura di controlli, anche con lavoratori presenti con contratto, è stata percepita anche da parte degli stessi datori di lavoro», ammette Bleggi. Non sono mancati, poi, in questi mesi , c’è chi ha proposto ai migranti di inoltrare la domanda, associando un contratto di lavoro, per poi scomparire al momento della firma. , nelle prassi la procedura continua: altro requisito è stato la richiesta di idoneità alloggiativa, in questo caso i tempi si allungano (per ricevere il permesso dai Comuni di residenza). Pensiamo che molte idoneità saranno difficili da avere: pochi datori di lavoro decidono di dare alloggio e molti lavoratori non hanno un contratto di affitto valido, perché versano in condizioni di estrema povertà», conclude Bleggi. Continuare a seguire il procedimento amministrativo dei lavoratori coinvolti sarà compito delle associazioni di settore e delle istituzioni, mentre il dibattito nazionale sembra già aver dimenticato il clamore dei mesi passati. A chi . A mancare è sicuramente una piena soddisfazione per i risultati del procedimento: non basta un decreto di emergenza a risolvere problemi endemici nel mercato del lavoro (lo sfruttamento, il caporalato, le occupazioni non regolarizzate del mercato nero e “grigio”) e nella gestione dei diritti degli irregolari, gli “invisibili”, migranti e stranieri senza cittadinanza. , soprattutto dai Decreti Sicurezza emanati durante il primo governo Conte e non ancora modificati durante il secondo – nonostante ammissioni e presunte volontà di superamento di quei provvedimenti, al momento solo sbandierate. Lo scorso 9 luglio la Corte costituzionale l’illegittimità della norma di quei Decreti che non permette ai richiedenti asilo l’iscrizione anagrafica, abolendo di fatto una delle parti più criticate della prima legge Salvini sull’immigrazione. Sebbene fosse un punto che gli amministratori locali hanno da subito provato ad aggirare con liste speciali (è apparso sovente fondamentale fornire ai più credenziali di accesso, come identità e residenza, per i servizi sociali), la decisione priva la legge di efficacia e spinge ancora di più verso una sua modifica, che potrebbe arrivare, dopo diversi tira e molla tra le forze di governo, a , che così per necessità hanno rimpolpato il mercato lavorativo sommerso e acuito difficoltà logistiche degli attori che lavorano nel settore di gestione e cooperazione per il fenomeno migratorio (si pensi agli operatori comunali della gestione decentrata dello Sprar, prima soppresso, che potrebbe esser ristabilito nel prossimo futuro). Per un simile effetto, non si può non menzionare la legge del 2002 che legifera l’immigrazione in Italia, che non prevede canali di ingresso legali dai paesi extra-comunitari, se non con un contratto di lavoro già effettivo. Lungi dal controllo, l’effetto prodotto sin dai primi anni è stato il contrario: molti migranti sono comunque arrivati sul suolo italiano, senza possibilità di inserirsi in percorsi legali, educativi e lavorativi, presto diventati irregolari e “invisibili” – o «clandestini», grazie poi alla propaganda xenofoba e allarmista – tali da stimolare l’intervento necessario del Governo. Già allora, e più di oggi, infatti furono cospicue regolarizzazioni a «sanare», dare diritti, a milioni di persone: la misura più ingente fu proprio quella relativa alla Bossi-Fini, a cui fecero capo oltre 700 mila domande; 540 mila quelle inerenti all’anno 2006; circa 300 mila le istanze del 2009. . Quest’ultima del 2020 non spicca, tra tutte, per particolare efficacia.