Arto Paasilinna: ridere, piangere, bere

, forse il più conosciuto tra gli autori finlandesi contemporanei, almeno in Italia, nonché uno dei principali nomi nel vasto ventaglio di scrittori nordici pubblicati da È inutile tentare le solite commemorazioni del giorno dopo, che puzzano sempre di sciacallaggio mediatico, quindi ci si accontenterà di un breve ritratto senza pretese di un autore che, in un senso o nell’altro, si è rivelato profondamente tanto da meritarsi una certa fama anche al di fuori dell’affascinante (ma ristretto) mondo degli appassionati di letteratura nordica. Ho qualche difficoltà, obiettivamente, a reperire di tutti questi il titolo originale per poter confrontare la traduzione, ma da lettore di Paasilinna posso serenamente affermare che, a prescindere dalla forma, i titoli italiani rispecchiano perfettamente il contenuto. tutto questo si ritrova senza eccezione in tutti i suoi libri, e vi si ritrova tutto insieme. . Paasilinna non sfaccetta la vita in superfici incidenti che tra loro formano angoli: così il lettore sarebbe costretto ogni volta a osservare un lato solo e, se volesse cambiare prospettiva, dovrebbe in un certo senso ruotarsi o ruotare il libro per osservare meglio. Invece la vita viene sempre presentata da Paasilinna nella sua integrità inseparabile, indivisibile, e di conseguenza piena di contraddizioni, ansie, paure, bellezza e dubbi e soprattutto risate. Nel caso del nostro, sicuramente anche piena di distillati di dubbia qualità: non c’è libro in cui almeno un personaggio non cada nel vizio del bere, il che se da un lato è sicuramente un ritratto fedele della società finlandese, dall’altro vuole, almeno a mio modo di vedere, essere un che solo alcuni salutari guasti ai freni inibitori possono donare (“senza vodka, senza speranza” recita un proverbio finlandese). Se c’è un denominatore comune nelle sue opere potrei dire che è una sorta di morale da fiaba: superato Esopo, Fedro, Andersen e compagnia, sembra che Paasilinna voglia dirci, con la massima semplicità possibile (e forse, quindi, anche con la massima possibile) che il riso vince sempre sul pianto. Non si tratta di una massima dozzinale, buona al più per foglietti dentro cioccolatini, bensì di una serena ammissione di una filosofia di vita. Un “ ” (come sentenzierà meravigliosamente sir Falstaff nel finale verdiano dell’opera omonima), garanzia non di un nichilismo amaro (che ghigna più che sorridere) bensì di una serena accettazione del tutto come parte di un meraviglioso ordine più grande di ciascuno.