Gipi in bianco e nero: note su “La terra dei figli”
 
        Quando si dice che un libro non si giudica dalla copertina finisco quasi sempre per storcere il naso; so benissimo che questo potrebbe costarmi sguardi di sdegno e dita puntate contro la mia presunta o lampante superficialità, tuttavia il significato che intendo qui è proprio quello letterale, perché è dalla copertina che ho prestato occhio, e tutto ciò che ne consegue, al libro di cui sto per parlare: Per chi non lo sapesse, Gipi (Gian-Alfonso Pacinotti) classe ’63 (e da vendere) è un . Per Coconino Press ha pubblicato tutti i suoi libri, fra cui , finalista al Premio Strega 2014, prima volta per un fumetto. : un corpulento cartonato nero con al centro un cerchio bianco nel quale campeggia, in maiuscolo, il titolo. Mi ha colpita subito, mi ha fatto pensare ad un pozzo, alla terra, alla luna, a un numero di (#359 per essere precisi), spingendomi a cercare in giro quante più notizie possibili. È stato proprio grazie a una dello stesso autore (“anche nella splendida cover variant”) che mi sono detta di volerlo leggere. Ed è successo: puntuale come i chili di troppo a Natale, è arrivato anche lui, il mio libro. . Sembra strano parlare di tripudio, soprattutto se si fa riferimento a soli due colori, ma questo è quello che ho visto: ampie distese selvagge, il silenzio e poi loro, i , fragili e forti come solo i sopravvissuti sanno essere. É chiaro che si sta iniziando dalla fine e non è dato sapere dove si arriverà si presenta sin da subito come complicata e spigolosa, i silenzi e il non detto fanno da padroni; il loro è quindi uno dei leitmotiv del racconto, insieme all’ostinato tentativo dei due ragazzi di capire cosa ci sia oltre quel lembo di terra malconcia, oltre i dettami imposti dalla necessità, oltre l’ostilità di certe situazioni per loro assolutamente normali: è il mondo così come lo hanno trovato e conosciuto, lasciandoci – proprio per via di questo scarto – un senso di La loro vita scorre così, tra piccoli gesti di ordinaria rudezza, fino ad arrivare laddove la curiosità li ha spinti, in un che, se spogliato di certe caratteristiche, non è poi così diverso dalle dinamiche della società nella quale siamo immersi, spesso a testa in giù e con i piedi legati da una corda (potrei o no aver usato “impropriamente” un’immagine del libro, scusa Gipi); una , tipici dei popoli tribali di cui ci diciamo naturale evoluzione (?), di cui ci sentiamo un calco rivisitato e corretto. Cosa succede poi? Chi altro si muove nella scena? E infine: si tratta di un pozzo, di una palla o della luna? Io non posso dirlo, lo spoiler è un crimine, ammettiamolo. Posso però dire con assoluta certezza che mai avrei pensato al , così forte e ovattato; e che certi “quaderni” riescono a dire tantissimo pur non avendo alcuna bocca. Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
